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Arrival – Una fantascienza diversa

Arrival (2016) di Denis Villeneuve è un film fantascientifico di genere invasione aliena. Un momento importante nella cinematografia del regista, con cui riuscì finalmente, e ancor prima di Dune, a farsi conoscere dal grande pubblico.

La pellicola fu infatti un grande successo commerciale: 203 milioni di incasso contro un budget di 47. Un ottimo investimento su un ottimo regista.

Di cosa parla Arrival?

Dodici astronavi aliene atterrano in diversi luoghi della Terra. La linguista Louise viene coinvolta nel cercare di venire a contatto e comprendere le intenzioni di questi potenziali invasori, in uno scacchiere internazionale piuttosto bollente…

Vi lascio il trailer per farvi un’idea:

Perché Arrival è un film imperdibile

Jeremy Renner e Amy Adams in una scena del film Arrival (2016) di Denis Villeneuve

Assolutamente sì.

Arrival è uno di quei film che non puoi non recuperare, in particolare se ti è piaciuto Dune (2021). Villeneuve è stato capace di spogliare il genere sia della retorica americanocentrica sia del tipo narrazione piatta e ripetitiva che vediamo in molti film di questo tipo.

Al contrario ha portato una pellicola riflessiva, con un taglio potentemente credibile e una morale molto interessante. Insomma, è stato capace di prendere una storia apparentemente semplice e impreziosirla con una tecnica registica di altissimo livello.

Una fantascienza credibile

Amy Adams in una scena del film Arrival (2016) di Denis Villeneuve

Un elemento di grande valore della pellicola è la sua credibilità, per nulla scontata per questo tipo di film.

Solitamente, infatti, ci si trova davanti a prodotti di largo consumo che vengono inutilmente esagerati e che si appiattiscono in topoi ripetitivi. Così l’eroe per caso, il padre di famiglia che deve salvare la figlia o la famiglia, e via dicendo.

In questo caso invece troviamo un racconto credibile fin dalle prime battute: inizia come un qualunque film catastrofico (simile a quella schifezza di Birdbox, che ha avuto lo stesso sceneggiatore), ma a sorpresa non parte con l’azione come ci si potrebbe aspettare.

Vediamo invece l’inizio della narrazione in cui la protagonista è un personaggio passivo, quasi indifferente agli eventi. Diverse sequenze in cui resta inerme davanti alla televisione, a veder raccontati eventi su cui non può intervenire.

E fin da subito, per una volta, la vicenda non coinvolge solamente gli Stati Uniti, ma anche il resto del mondo. D’altronde Villeneuve è canadese e quindi non imbevuto di questo tipo di egocentrismo tutto statunitense.

E infatti la potenza militare più minacciosa non sono gli Stati Uniti, ma la Cina.

Come sarebbero gli alieni

Amy Adams in una scena del film Arrival (2016) di Denis Villeneuve

Molto spesso per semplificare la narrazione, sia in prodotti cinematografici che fumettistici, si utilizzano diversi escamotage per fare in modo che gli alieni possano parlare la nostra lingua. E che al contempo abbiano delle sembianze per noi comprensibili.

Nessuna delle due cose in Arrival: il modo di comunicare degli alieni è del tutto incomprensibile per noi e così nel loro aspetto non troviamo elementi riconoscibili. Non hanno la bocca né gli occhi, per esempio. E realisticamente è molto più credibile che, se incontrassimo gli alieni, sarebbero più come quelli di Arrival che come quelli dell’immaginario collettivo.

L’incomunicabilità

Amy Adams in una scena del film Arrival (2016) di Denis Villeneuve

Il punto centrale della pellicola è l’incapacità degli umani di comunicare con la specie aliena.

E infatti, per la complessità dello studio di Louise, si è scelto di non raccontarlo in maniera estensiva, ma di portare un’ellissi narrativa che mostra poi i protagonisti in una fase più avanzata dei loro studi. In questo modo si è evitato di semplificare un discorso davvero complesso.

E alla fine Louise riesce a comprendere la loro lingua e così anche il loro modo di pensare, così avendo una visione circolare del tempo. Infatti il film si basa su una teoria per cui, imparando una lingua nuova, se ne assorbe anche il modo di pensare dei parlanti.

Così la protagonista, comprendendo il linguaggio circolare degli alieni, riesce ad assorbire la loro capacità di conoscenza totale del tempo.

Una morale divisiva?

Amy Adams in una scena del film Arrival (2016) di Denis Villeneuve

La morale del film è tutt’altro che scontata.

Se sapessimo che la nostra vita potesse andare verso un evento drammatico, pur regalandoci degli splendidi momenti nel mentre, sceglieremmo comunque di viverli?

Louise, in un modo forse egoista, decide di vivere quel poco di felicità che la vita le potrebbe concedere, una piccola parentesi che poi probabilmente la porterà al punto di partenza in cui la vediamo all’inizio del film. Ma, per una donna così svuotata dalla vita come la vediamo all’inizio, è stato un regalo a cui non poteva dire di no.

Perché il finale di Arrival non mi ha convinto del tutto

Per quanto il finale non sia per nulla pessimo, anzi ben integrato nel contesto della pellicola, mi ha poco convinto perché l’ho trovato troppo idealizzato e ingenuamente ottimista.

Basta quindi una frase per far tornare sui suoi passi un generale così agguerrito?

È molto bello da immaginare così, ma è poco credibile.

E la credibilità è il punto di forza della pellicola…

Cosa dice Louise al generale?

La frase che Louise dice al generale Shang in mandarino significa

In the war there are no heroes, only widows.

In guerra non ci sono eroi, ma solo vedove.