La dolce vita (1960) è probabilmente il titolo più famoso della filmografia di Federico Fellini, che ne definì la popolarità non solo in Italia, ma anche oltreoceano.
A fronte di un budget di 800 milioni di lire – circa 400 mila euro – è stato un enorme successo commerciale: 19 milioni di dollari in tutto il mondo, compresi gli incassi per il noleggio.
Di cosa parla La dolce vita?
Marcello è un giornalista di costume che sembra vivere la vita dei sogni, fra feste, VIPS e amori impossibili…o forse no?
Vi lascio il trailer per farvi un’idea:
Vale la pena di vedere La dolce vita?

Assolutamente sì.
Nonostante il titolo – e tutto l’immaginario che si è creato intorno – possa far credere ad uno spaccato dell’Italia del Boom dai toni ironici, in realtà, al pari del poco successivo Il sorpasso (1962), La dolce vita racconta la profonda tragedia del sogno inconsistente e passeggero della sua epoca.
Infatti, se ci si ferma ad ascoltare la pellicola nei momenti in cui davvero ci parla, si può cogliere l’amarezza crescente dei suoi personaggi, immersi in un sogno che sembra non finire mai, ma che li rende anche privi di un punto di arrivo, di uno scopo, di un motivo per essere vivi.

Idolo

L’apertura della pellicola racconta tutto di sé stessa.
Un grottesco quanto attraente Gesù in oro massiccio sorvola le cime di Roma, attraendo prima lo sguardo della strato sociale più basso, e poi giungendo alla vetta, e cercando brevemente di dialogare con la sua classe di rappresentanza, ma senza riuscirci.

In altre parole, La dolce vita ci parla di idoli…
…e di idoli passeggeri, interscambiabili, per nulla legati ad una morale cristiana – come racconta bene il passaggio dal Gesù d’oro alla divinità esotica rappresentata dal danzatore nel club – ma anzi con lo sguardo sempre puntato altrove, specificatamente verso gli Stati Uniti.
Per questo l’avvenente stella del cinema, Sylvia, è davvero il simbolo della pellicola.

In un primo momento Marcello la disdegna – quantomeno a parole – proprio come il suo paese in parte si faceva forte di non essere influenzato dalla cultura d’oltreoceano, ma finendo infine per essere inevitabilmente innamorato, seguendola nella sua sciocca esplorazione dei simboli nostrani.
Infatti, il personaggio di Anita Ekberg prima si appropria delle vesti religiose per salire sulle guglie del Vaticano e quasi prendere il posto del Papa, poi si immerge nel suo abito vaporoso e avvenente nello scenario posticcio dell’Antica Roma, più volte protagonista dei peplum statunitensi.

E il sogno si autoalimenta nella sua crescente bellezza, finendo per immergersi nelle acque intoccabili della Fontana di Trevi, dove lo schiocco del bacio fra Marcello e Sylvia è al contempo il punto d’arrivo del climax di passione e il momento del risveglio dal sogno.
Così infine il protagonista si trova nell’imbarazzo dell’essere scoperto in pieno giorno, finendo malmenato per strada dalla Grande America.
E l’avventura finisce così…
…o no?
Circo

Lo spettacolo non può mai finire.
La sensazione di un circo infinito domina la pellicola in ogni sua parte, sia nella sua scansione narrativa – che ci porta da una situazione all’altra senza soluzione di continuità – sia nel suo atto centrale, nella sequenza del Cha Cha, in cui ad uno spettacolo ne segue immediatamente un altro, e poi un altro ancora…
E la fugacità del sogno è rappresentato proprio dalla sua immediata attrattiva: che si tratti dell’ultimo scandalo di celebrità o del supposto miracolo popolare, i media – che siano i paparazzi o la televisione – sono sempre pronti all’assalto della notizia, per darla in pasto ad un pubblico immerso in un’euforia apparentemente senza fine.

Ma è proprio nel secondo quadro de La dolce vita – quello dedicato alla festa a casa di Steiner – che emerge effettivamente il dramma della pellicola, impersonato dalla figura del futuro suicida, che racconta prima la sua volontà di ridimensionarsi – come persona e come sogno:
Se mi vedessi bene, sapresti che persona piccola che sono.

…e poi con il suo angosciante tentativo di fuga, rappresentato dai suoni ambientali di cui ormai si è privato, troppo immerso nel fracasso costante a cui la vita mondana lo costringe, troppo intrappolato in quel quadro felice da esserne incapace di fermarsi e di coglierne la vera natura:
Mi sembra che sia solo un’apparenza e che nasconda l’inferno.
E proprio nella mancanza di punti fermi si trova una delle maggiori angosce della pellicola.
Legami

Marcello non può legarsi a nessuno.
La sua vita è scandita da amori passeggeri e scostanti, dall’incapacità di amare la donna che lo ricambia – Emma – e dall’impossibilità di ottenere la donna che desidera – Maddalena – con cui finisce solo per inseguirsi, persino appartarsi nella segretezza della casa di una prostituta.
Entrambe le figure femminili sono sfuggenti, desiderate, respinte e respingenti, in una dinamica di inseguimento che non riesce mai a concludersi, dove vengono dette parole importanti, sia ingiuriose – come nel caso di Emma – sia appassionate – nei confronti di Maddalena…

…per trovarsi sempre al punto di partenza, in un’insopportabile stasi.
Marcello è quindi solo e inascoltato, vive sempre in potenza di qualcosa che potrà succedere – da cui l’emblematica spiegazione della sua vita al padre – e, quando si ferma, riscopre la sua immobilità e solitudine, come proprio nella scena della stanza del Castello, in cui infine Maddalena scompare fra le braccia di un altro uomo.

Infatti, proprio come a teatro, i personaggi entrano ed escono di scena, a volte senza un reale motivo, ma causando la reale sofferenza del protagonista, che si rende conto di non avere un rapporto concreto e significativo con nessuno, nemmeno col padre che prima viene assorbito dalla vita del figlio…
…ma che, infine, senza nessun motivo, deve abbandonarlo.
E proprio in questa occasione si introduce il tema della incomunicabilità.
Comunicare

I personaggi non possono cambiare anche perché non possono comunicare.
La baraonda delle loro vite è troppo importante, troppo imprevedibile perché possa essere evasa, la parata in cui vengono coinvolti per entrare e uscire di scena è troppo travolgente per non farne parte, per non essere rinchiusi in una vita perfetta, in realtà profondamente disconnessa e senza significato.

Per questo, le strade possibili sono solo due.
L’uscita di scena, quella definitiva, di Steiner, che, consapevole di non poter mai essere ascoltato, di non poter mai pretendere una vita differente, se la toglie, lasciando Marcello nella consapevolezza di non aver veramente ascoltato l’amico, di non averlo mai veramente conosciuto nel suo profondo ed incompreso dolore.
Oppure, lasciarsi sopraffare.

La profonda tragedia della perdita di Steiner spinge Marcello ancora più al centro della scena, sempre più inconsistente e frivolo, quasi folle nel suo agire, nel suo voler comporre la scena a suo piacimento, per continuare in eterno una festa da cui non può fuggire.
Per questo, ormai in ginocchio sulla spiaggia, non riesce ad ascoltare niente di diverso, nemmeno la voce innocente e forse alternativa di Paola, che lo distanzia solo di pochi metri eppure che non riesce a penetrare la bolla in cui Marcello si è rinchiuso…
…in cui sceglie infine di ritornare, con un mezzo sorriso sornione di cui ormai ha accettato un’infelice esistenza.