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La finestra sul cortile – Spiare un delitto

La finestra sul cortile (1954) è uno dei film più noti della filmografia di Hitchcock, nonché uno dei miei preferiti.

In maniera piuttosto prevedibile, dato i pochi spazi utilizzati e il cast di principali piuttosto ridotto, il budget è di appena 1 milione di dollari (circa 12 milioni oggi). E incassò veramente benissimo: 37 milioni in tutto il mondo (circa 463 oggi).

Di cosa parla La finestra sul cortile?

L’avventuroso fotoreporter Jeff è costretto sulla sedia a rotelle dopo un brutto incidente. Nella sua ultima settimana di ricovero in casa, nota qualcosa di strano che accade nell’appartamento di fronte…

Vi lascio il trailer per farvi un’idea:

Vale la pena di vedere La finestra sul cortile?

Assolutamente sì.

La finestra sul cortile è una delle sperimentazioni più interessanti di Hitchcock, che aveva già in parte messo in scena nel precedente Nodo alla gola (1948) – con protagonista sempre James Stewart, ormai attore feticcio.

Il film si svolge all’interno di un unico ambiente, esplorando il circondario tramite un abilissimo uso della soggettiva, con l’inserimento di piccole storie autoconclusive dal forte sapore umoristico.

Inoltre, la costruzione della tensione è superba, narrativamente e registicamente integrata in maniera eccellente nella storia, rendendo questa pellicola il perfetto esempio di thriller alla Hitchcock.

Inquadrare il protagonista

L’incipit de La finestra sul cortile è uno dei migliori di tutta la filmografia hitchcockiana.

Anzitutto una carrellata rivelatoria ci racconta, in pochi secondi, moltissimo del protagonista: un fotoreporter d’assalto, particolarmente appassionato del suo lavoro, ma che rischia continuamente la sua vita per ottenere scatti spettacolari.

La sua situazione viene anche meglio inquadrata dalla telefonata con il suo caporedattore: con una simpatica gag, scopriamo che Jeff è all’ultima, noiosissima settimana di ricovero domestico.

In ultimo, l’arrivo di Stella, l’infermiera, ci racconta le intenzioni del protagonista, continuamente indaffarato a spiare – con un gusto non poco voyeuristico – i suoi vicini e a seguire le loro vicende, fra il comico e grottesco.

Ma dal loro dialogo emerge anche un altro elemento importante.

Una donna in posa?

Avere fra le mani un’attrice così magnetica come Grace Kelly non era cosa da poco.

Il suo personaggio viene introdotto dallo scambio fra Stella e Jeff, in cui l’infermiera rimprovera il protagonista per non essere in grado di suggellare la relazione con la ragazza – da subito definita meravigliosacon il tanto sospirato matrimonio.

All’inizio sembra insomma che il rapporto fra Jeff e Lisa sia antagonistico.

Ma la prima apparizione del personaggio racconta anche altro: a livello sentimentale e – soprattutto – sessuale, Jeff e Lisa hanno un’intesa profonda ed evidente, complice anche l’aspetto così delicato, ma anche fortemente attraente, della ragazza.

Il conflitto riemerge da alcuni scambi fra i due, in cui entrambi raccontano il loro rifiuto di abbandonare il proprio stile di vita attuale: da una parte un’esistenza abbastanza superficiale e mondana, dall’altra una vita avventurosa e piena di pericoli.

Apparentemente, i due sono incompatibili.

Sulle prime Hitchcock sembra sfruttare l’incredibile presenza scenica di Grace Kelly, mettendola in non poche scene in posa. E così sembra anche che il suo personaggio sia ridotto ad un mero vezzo estetico…

Per fortuna non è così.

Il loro rapporto si risolve perché Lisa – anche abbastanza indipendentemente da Jeff – si dimostra davvero intraprendente: va a caccia di indizi, fornisce al protagonista delle informazioni fondamentali, rischia la sua stessa vita infilandosi nell’appartamento dell’assassino, arrivando persino ad ingannarlo.

Insomma, la ragazza si dimostra ben più intelligente, acuta e intraprendente di quanto Jeff avrebbe mai immaginato – anche sottovalutandola, evidentemente. E, nella migliore delle ipotesi, questa piccola avventura sancirà un loro ricongiungimento.

Tante piccole storie

La costruzione narrativa de La finestra sul cortile è di rara eleganza.

Hitchcock non vuole introdurre immediatamente – e smaccatamente – il delitto e il colpevole, ma lo nasconde in un folto gruppo di personaggi secondari, le cui vicende continuano per tutta la pellicola.

Troviamo diverse figure, meno tipizzate di quanto potrebbe sembrare: l’ape regina – che in realtà è sposata con un militare – la donna solitaria – che ritrova l’amore tanto cercato nell’altrettanto solitario pianista – la coppia focosa

La presenza di queste storyline, apparentemente del tutto accessoria, è in realtà fondamentale: oltre ad offrire maggiore profondità allo spazio scenico, regala qualche momento di leggerezza e elegante ironia.

E in una storia così ricca di tensione, è un comic relief essenziale.

Costruire la tensione

Inizialmente la storia di Lars non sembra tanto diversa da quella dei suoi vicini: una velenosa vicenda matrimoniale, in cui la moglie, indisposta a letto, bullizza e deride il marito, che sulle prime sembra anche incapace di tenerle testa.

Il punto di svolta è quella fatidica notte, che, in linea con i migliori noir, racconta un delitto che si consuma nell’ombra, e le cui prove sono del tutto indiziarie. E la tensione è già perfetta proprio in questa sequenza, in cui il protagonista cerca di non addormentarsi per seguire i movimenti di Lars…

Il mistero è dinamico ed intrigante: il protagonista continua a osservare attentamente le azioni del suo sospettato, sentendosi pronto all’azione e all’intervento a parole, ma impossibilitato fisicamente.

E la bellezza della costruzione narrativa sta anche nella costante difficoltà del protagonista – in cui lo spettatore può rispecchiarsi – nel riuscire a farsi credere dagli altri personaggi, in particolare dal suo amico poliziotto.

E proprio quando sembra essersi convinto che era tutto frutto della sua immaginazione, un altro delitto riapre il mistero: l’avventato omicidio del cagnolino troppo curioso, il cui colpevole emerge proprio dalla sua assenza in scena…

Allora continua un crescendo di tensione, con un abilissimo uso della soggettiva…

La finestra sul cortile soggettiva

Le sperimentazioni con la soggettiva sono uno dei marchi di fabbrica del cinema di Hitchcock, con il picco che si vedrà in Psycho (1960).

In particolare, questa specifica inquadratura è al centro de La finestra sul cortile: la maggior parte delle vicende sono mostrate filtrate dallo sguardo del protagonista stesso, che permette fra l’altro allo spettatore di immergersi nella scena ed identificarsi con l’eroe.

E l’abilità di Hitchcock sta proprio nell’utilizzarla per mostrare il colpo di scena della pellicola: quando Lars finalmente si accorge di essere osservato, guarda direttamente negli occhi Jeff – e, da un certo punto di vista, sta guardando anche noi…

Come se non bastasse, il momento dello scontro fra l’eroe e l’antagonista è proprio definito dalla soggettiva, con il punto di vista che rimbalza fra l’uno e l’altro.

Infatti, come Jeff vede Lars emergere minacciosamente dall’ombra, vediamo anche l’effetto stordente che le mosse dell’eroe hanno sugli occhi del suo assalitore, con una tecnica semplicemente perfetta.