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Birdman – La dura finzione

Birdman (2014) di Alejandro González Iñárritu è la pellicola che fece veramente conoscere questo regista al grande pubblico, proprio grazie alla sua improvvisa – e inaspettata – vittoria agli Oscar 2015, confermandone la (breve) ascesa l’anno successivo con Revenant.

A fronte di un budget davvero risicato (16,5 milioni di dollari), riscosse un ottimo successo commerciale: 103 milioni di dollari in tutto il mondo.

Di cosa parla Birdman?

Riggan è un ex-star del cinema supereoristico che sta cercando di riproporsi al pubblico in una veste nuova, portando il suo spettacolo teatrale a Brodway. Ma il passato lo assilla…

Vi lascio il trailer per farvi un’idea:

Vale la pena di vedere Birdman?

Michael Keaton, Naomi Watts e Zach Galifianakis in una scena di Birdman (2014) di Alejandro González Iñárritu

Assolutamente sì.

È davvero difficile parlare in maniera oggettiva di una pellicola che è fra le mie preferite in assoluto. Sono assolutamente innamorata del suo taglio surreale e fantastico perfettamente bilanciato, dell’utilizzo magistrale del piano sequenza e della costruzione della trama davvero avvincente.

Nonostante non abbia visto tutta la filmografia di Iñárritu, è in assoluto la mia preferita delle sue opere, nonché l’inizio di un brevissimo amore, dissipatosi con Revenant (2015) – film artisticamente splendido ma che trovo di una pesantezza immane – e sopratutto col profondo fastidio che ho provato vedendo Bardo (2022).

Ma, anche per questo, vi consiglio caldamente di recuperarlo.

Il nido

Michael Keaton in una scena di Birdman (2014) di Alejandro González Iñárritu

La maggior parte della pellicola si svolge in un claustrofobico piano sequenza all’interno del teatro.

Ed è veramente opprimente per come la macchina da presa inquadra i personaggi, molto spesso quasi schiacciandoli nell’inquadratura e al contempo inseguendoli di spalle nei loro movimenti, con una dinamicità veramente coinvolgente.

Il teatro è come un luogo di incubazione, un nido in cui il protagonista si è rinchiuso per riuscire a rinascere, spiccare il volo. Ma quello che dovrebbe essere un luogo conciliante e stimolante, è invece profondamente angosciante, più simile ad una trappola.

Michael Keaton in una scena di Birdman (2014) di Alejandro González Iñárritu

Il teatro rappresenta profondamente il tentativo di rinascita di Riggan, che si sente totalmente schiavo della sua identità da eroe mascherato, e che non vuole farsi coinvolgere all’interno del vortice perverso di star di alto livello che diventano supereroi.

E si citano casi da poco avvenuti, come Jeremy Renner, AKA Occhio di falco, che si era fatto conoscere poco tempo prima per The Hurt Locker (2008).

E infatti Riggan, appena esce dal teatro, viene ogni volta assalito dall’identità di cui vuole liberarsi, anche se cerca di rifugiarsi in luoghi altrettanto chiusi ed angusti

La verità in scena

Michael Keaton e Edward Norton in una scena di Birdman (2014) di Alejandro González Iñárritu

Nonostante le apparenti differenze e l’aspro antagonismo, Riggan e Mike sono due figure complementari.

Entrambi non riescono ad avere successo nella vita reale, e per questo mostrano la loro vera faccia solo quando sono in scena. Tuttavia, con delle differenze fondamentali: Mike è del tutto consapevole di questa realtà, e anzi la sbandiera quasi con rassegnazione. E infatti diventa tanto più aggressivo sul palco, nella disperazione di voler plasmare l’unica realtà che riesce veramente a controllare: quella scenica.

Al contrario, Riggan si sente oppresso dal palcoscenico, e riconosce solamente col tempo quanto la stesso racconti effettivamente le sue angosce più profonde. Così il suo desiderio di essere apprezzato, i suoi problemi relazionali e il suo arrendersi all’inevitabile…

L’identità strappata

Michael Keaton in una scena di Birdman (2014) di Alejandro González Iñárritu

Il tormento del protagonista per la sua identità si traduce anche materialmente in scena.

In particolare, nella scena in cui si trova chiuso fuori dal teatro viene privato, proprio con uno strappo, della sua identità. E si ritrova confuso, senza una meta, a vagare, nudo, immerso in una folla che lo soffoca e reclama a gran voce che ritorni nei panni che sta cercando di fuggire: quelli di Birdman.

Per questo la tappa successiva è il ritorno al teatro stesso, in questo splendido gioco metanarrativo in cui il protagonista irrompe in scena e mima la finzione scenica, non bussando alla porta ma urlando knock knock, e usando la mano a mo’ di pistola.

Michael Keaton in una scena di Birdman (2014) di Alejandro González Iñárritu

Ed è quello il momento della consapevolezza.

Proprio recitando le parole che ha detto mille volte – ma mai veramente capito – io non sono qui, sono invisibile, accetta finalmente non solo di liberarsi della sua identità, ma anche di portare la sua vera realtà sulla scena, accentandola come spazio per esprimersi.

Finalmente può spiccare il volo.

Cosa succede nel finale di Birdman?

Il finale di Birdman parla di morte e rinascita.

Riggan, in un certo senso, muore due volte: si uccide in scena, ma si uccide anche nella vita reale – in realtà poi solo distruggendosi il naso. Si ritrova così nella stanza dell’ospedale con un’altra maschera addosso – quella delle garze – che gli copre parte del volto e che sembra proprio la maschera di Birdman.

A quel punto, guardandosi allo specchio, vede come il suo nuovo naso lo faccia ben più assomigliare al suo demone, ma decide definitivamente di salutarlo – anche in maniera piuttosto brusca.

Michael Keaton in una scena di Birdman (2014) di Alejandro González Iñárritu

Come sembrava che ci potessero essere solo due identità possibili – o Birdman o l’attore di teatro – Riggan trova una terza via. Il piacere del volo, del poter viaggiare sopra agli altri era all’inizio solamente una fantasia – come ben testimonia la conclusione della sequenza dedicata.

Invece alla fine il protagonista capisce di potersi librare, leggero e senza il peso di nessuna identità ingombrante, e spiccare il volo come un uomo nuovo.

E ridere di felicità insieme alla figlia.

Birdman: quando la realtà supera la finzione

Il caso di Birdman è veramente singolare.

Fin dall’inizio è evidente l’idea di costruire un personaggio su misura per Michael Keaton, pieno di riferimenti al suo vero passato cinematografico. Non a caso Birdman in inglese assomiglia molto nella pronuncia a Batman, personaggio che lo rese effettivamente famoso.

Tuttavia, da lì in poi, non era mai riuscito a spiccare il volo con qualche altro ruolo.

E, in un primo momento, il ruolo nel film di Iñárritu concesse a Keaton di intraprendere pellicole di ampio respiro e di alto livello, come Il caso Spotlight (2015) e poi The Founder (2016). Ma, in poco tempo, prese la strada infausta prospettata dal film.

Infatti nel 2017 prese i panni dell’Avvoltoio nel film Spiderman Homecoming.

E il parallelismo con Birdman è quasi scontato.

Non ho idea di quanta ironia ci fosse nella scelta di Iñárritu in questa pellicola, né se all’epoca sapesse dei progetti di Keaton – che sembra che accettò il ruolo da supervillain solo nel 2016. Tuttavia la coincidenza è impressionante.

Ma lo è ancora di più se si pensa che, da qui a poco, Keaton dovrebbe riprendere i panni di Batman proprio in The Flash (2023), in un ruolo che sembra quasi da coprotagonista, per la gioia dei fan del personaggio…

Edward Norton Birdman

Michael Keaton e Edward Norton in una scena di Birdman (2014) di Alejandro González Iñárritu

Un discorso analogo si può fare per Edward Norton.

Il suo personaggio è stato costruito proprio sulla sua vita e carriera: all’inizio si dice che Mike ha abbandonato un progetto, probabilmente sia perché licenziato sia perché si è fatto cacciare, come suo solito. È interessante perché non molto tempo prima Norton era stata recastato come Hulk dopo la sua performance in L’incredibile Hulk (2008) nei panni del protagonista.

E i motivi sembrano proprio quelli raccontati nella pellicola: sembrerebbe che Norton facesse il bello e cattivo tempo con la sceneggiatura e sul set, e per questo fu cacciato.

Michael Keaton e Edward Norton in una scena di Birdman (2014) di Alejandro González Iñárritu

La sua carriera era già da tempo in declino, dopo i grandi successi che lo avevano reso iconico di La 25ª ora (2002) e Fight club (1999), fra gli altri, partecipando solo sporadicamente ai film di Wes Anderson come cameo, e poco altro. E dovendo anche scontrarsi anche col flop del suo secondo film da regista, Motherless Brooklyn (2019).

Per fortuna ultimamente l’abbiamo rivisto in scena in un film di ampio successo, Glass Onion (2022), in un ruolo che ho personalmente apprezzato e che spero sia il punto di partenza per una sua rinascita attoriale.

Birdman meritava di vincere l’Oscar?

Gli Oscar del 2015 portarono diverse novità.

Per la prima volta in Italia la cerimonia venne trasmessa in chiaro dal Canale Cielo, e, più in generale, tutti i candidati vennero annunciati tramite conferenza stampa – fino a questo momento solo le dieci categorie più importanti erano annunciate in tv.

Un’edizione dove i film con maggiori candidature ebbero anche il maggior numero di premi: nove statuette per Birdman e Grand Budapest Hotel, e quattro vittorie ciascuno. Oltre al film di Wes Anderson, nella categoria Miglior film c’erano altri contendenti forti: American Sniper e La teoria del tutto.

Tuttavia, vinse appunto Birdman.

Per quanto consideri diversi contendenti molto validi – sopratutto Grand Budapest Hotel – non penso che nessun film meritava una vittoria più di Birdman, un film incredibile sotto ogni punto di vista: registico, artistico e interpretativo.

Il miglior film dell’anno, per davvero.