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House of the dragon – L’altro lato del fantasy

House of the dragon è una serie tv prequel spin-off di Game of Thrones prodotta da HBO. Un prodotto accolto con tanta (anche giusta) diffidenza, dopo il disastro unanimemente riconosciuto del finale della serie madre.

Ma secondo me molti hanno dovuto ricredersi.

Fra l’altro una serie che è uscita in contemporanea con un’altra grande serie fantasy, Rings of power, rappresentandone la perfetta alternativa.

Di cosa parla House of the dragon?

Circa 200 anni prima di Game of thrones, i Targaryen dominato la scena politica di Westeros, monopolizzando il Trono di Spade e la conseguente discendenza. Il re in carica è Viserys, uomo pacato e pacifico, che si trova a dover gestire la complicata discendenza con la primogenita, Rhaenyra, mentre il trono è insidiato da ogni parte…

Vi lascio il trailer per farvi un’idea:

Vale la pena di vedere House of the dragon?

Emma D'Arcy in una scena di House of The Dragon, serie tv HBO prequel di Game of Thrones

Premetto che sono molto di parte: al di là di tutti i difetti che può avere, è una serie che ho semplicemente adorato.

Ma, parlando più obiettivamente, se vi piace un fantasy più dark, con rimi molto concitati, pochi personaggi protagonisti e una robusta storyline principale, probabilmente vi piacerà. Se al contrario, preferite una serie più corale, con un fantasy più classico e ritmi più compassati, è ora di vedere Rings of Power.

Oppure vedetele entrambe.

Ma sopratutto House of the dragon.

L’ho detto che sono di parte.

Il percorso di Rhaenyra

Emma D'Arcy in una scena di House of The Dragon, serie tv HBO prequel di Game of Thrones

Rhaenyra è l’indiscussa protagonista della scena, e la sua maturazione è di fatto il perno della narrazione. Nella prima parte della stagione è di fatto una principessa ribelle, del tutto allergica al suo ruolo da donna di corte, che a Westeros significa di fatto supportare la discendenza della propria casata sfornando infinita prole.

E il padre tenta in tutto i modi di domare il suo spirito, ma Rhaenyra è indomabile: nonostante indubbiamente col tempo ritorni sui suoi passi, accetti il matrimonio e le gravidanze, comunque continua ad agire praticamente sempre con la sua testa: con la tresca con Ser Criston Cole e poi con Lord Strong, da cui lo scandalo di corte, e poi il matrimonio con Daemon.

Tuttavia indubbiamente Rhaenyra dimostra col tempo una grande maturità, sopratutto sul finale, quando si trova ad un passo dalla guerra, ma decide di agire con prudenza.

E invece Aemond deve rovinare tutto.

Alicent: lasciarsi trasportare dagli eventi?

Olivia Cook in una scena di House of The Dragon, serie tv HBO prequel di Game of Thrones

Alicent è un altro personaggio che mostra un interessante cambiamento nel tempo, con un’evoluzione del tutto organica. Infatti fin dalla prima scena Alicent è subito raccontata come una giovane donna del tutto ligia al dovere, tanto che accetta in maniera abbastanza obbediente l’invito del padre ad intrattenersi con Viserys dopo la morte della moglie.

Tuttavia già da qui si capisce come Alicent sia una donna che non si appiattisce nel ruolo di arpia e arrampicatrice sociale: non ha mai il ruolo di seduttrice, ma, in un altro contesto, si sarebbe intrattenuta abbastanza felicemente con il suo futuro marito senza neanche essere obbligata.

E così accetta a testa bassa anche il matrimonio, facendosi negli anni avvelenare dal padre, Otto, che la mette più volte in guardia sulla minaccia della successione ai suoi figli e la incoraggia più o meno malignamente a prendersi sempre più spazio a corte per ottenere il trono. E tanto peggio quando si affida alle cure di Larys Strong.

Ed è quasi commovente come fino alla fine e nonostante tutto, Alicent cerca una via pacifica con la vecchia amica…

Viserys: la pace a tutti i costi

Paddy Considine in una scena di House of The Dragon, serie tv HBO prequel di Game of Thrones

Sarebbe riduttivo definire Viserys un inetto, ma indubbiamente è un personaggio che si trova al centro di una situazione che è incapace di gestire con il pugno di ferro, o, meglio, come gli altri si aspetterebbero da lui.

E per certi versi Viserys non è tanto dissimile dalla figlia: la maggior parte delle volte segue la sua testa e non quello che gli dicono gli altri. Anche se alla fine accetta di mettere sulle spalle della figlia il peso del trono, non si piega l’agghiacciante possibilità del matrimonio con la giovanissima Laena, per quanto fosse la cosa migliore da fare per mantenere la solidità della discendenza.

E cosi continua a difendere strenuamente la figlia davanti alle accuse di adulterio, unicamente perché vuole mantenere questa pace impossibile e di fatto fittizia che si è creato intorno. E nonostante tutto riesce ad andarsene in pace, guardando negli occhi la moglie perduta…

Daemon: l’eterna invidia

Matt Smith in una scena di House of The Dragon, serie tv HBO prequel di Game of Thrones

Daemon è un personaggio per certi versi più fumoso, anche se sembra complessivamente guidato sempre dallo stesso sentimento: l’invidia.

Invidioso prima del fratello e poi della nipote e moglie per la loro ascesa al trono, che non è mai riuscito ad ottenere. Un personaggio che per fortuna non ha cambiamenti da una puntata all’altra: rimane sempre un uomo violento e iroso, che alza le mani contro gli altri, sopratutto gli innocenti, la maggior parte delle volte solo per sfogare la sua rabbia cieca.

E penso infatti che sarà interessante se approfondiranno meglio la relazione con Rhaenyra, che è molto meno intima e felice di quanto lei stessa potesse pensare. Perché è così evidente come Daemon viva per attaccar briga e mettersi a capo di battaglie non tanto perché ci crede, ma perché deve dimostrare qualcosa a se stesso.

E a questo aggiungiamo la sua possibile impotenza che viene più volte suggerita, sembra il classico caso del personaggio maschile che si sente demascolinizzato e risponde con violenza.

Ma, come tutti i personaggi di questa serie, non è mai appiattito su un solo concetto.

Un finale perfetto

Emma D'Arcy in una scena di House of The Dragon, serie tv HBO prequel di Game of Thrones

Per quanto il finale non sia forse stato l’incredibile, fantastica e scioccante conclusione che alcuni si aspettavano, io l’ho trovato perfetto così.

Nell’ultima puntata Rhaenyra dimostra la sua maturità politica, evitando di correre subito alle armi nonostante ce ne fossero tutti i motivi. In generale la protagonista sembra aver in parte interiorizzare quello che il padre aveva cercato di portate avanti fino alla fine della sua vita.

Ed è altrettanto interessante che l’effettivo casus belli, o la famosa goccia che fra traboccare il vaso, sia di fatto un incidente che però non sarà mai dimostrabile, anzi indubbiamente nessuno crederà mai veramente che Aemond non abbia ucciso volutamente Lucerys.

E questa è effettivamente la scintilla che fa scoppiare la guerra, in maniera anche storicamente credibile e interessantissima.

Il femminile tridimensionale

Emma D'Arcy in una scena di House of The Dragon, serie tv HBO prequel di Game of Thrones

Un elemento che ho decisamente preferito rispetto a Rings of Power è la gestione dei personaggi femminili.

Se infatti in Rings of Power in generale tutti i personaggi sono un po’ appiattiti dagli schemi narrativi in cui sono incasellati, House of the dragon sceglie di rinunciare a a qualsiasi tipo di veridicità storica e mette al centro l’emotività dei personaggi.

E così ne derivano personaggi femminili molto tridimensionali, che prendono però strade diverse: Rhaenyra che è appunto la ragazza ribelle, che però non è banalizzata né all’essere edgy senza motivo né nell’essere una Mary Sue altrettanto senza motivo.

Invece la sua ribellione è ben contestualizzata all’interno di contesto politico complesso ed intricato.

Il momento migliore al riguardo è la scena del suo debutto sessuale con Ser Criston: una sequenza diretta con particolare eleganza, che mette al centro il piacere e il desiderio femminile, senza drammatizzare il momento.

Meglio di cosi difficilmente avrebbero potuto farlo.

Una strada diversa quella di Alicent, che racconta invece un femminile plagiato dal maschile, a cui il personaggio si sottomette più o meno obbedientemente. Il momento cardine è quando Alicent deve concedersi in tarda notte al marito, con un montaggio alternato che mette in luce il grande divario fra lei e Rhaenyra.

Verso il finale della stagione mostra un minimo di ribellione e rivalsa, ma in realtà da questo punto di vista secondo me Alicent ha ancora molto da raccontare.

Il problema dei time skip

Personalmente non ho trovato particolarmente problematici i time skip, che nella serie abbondano. Ho preferito per certi versi che la vicenda politica non avvenisse in un lasso di tempo ristretto, ma che si prolungasse più realisticamente all’interno di periodo più ampio.

Per quanto riguarda i personaggi, è tutto un altro discorso.

Sulle prime i rapporti e caratteri dei personaggi non mi avevano dato particolare fastidio, anche perché banalmente mi emozionavo a vedere i nuovi casting ogni puntata. Tuttavia, alla lunga mi sono resa conto dei problemi. I rapporti fra i personaggi forse non sono così tanto problematici, perché sforzandosi un attimo si possono capire, meno credibile è il fatto che alcuni non invecchino di un giorno in vent’anni di narrazione.

Se per esempio fate un confronto fra il Daemon della prima puntata e quello dell’ultima, non sembra passato neanche un anno. E con tutto che nel finale c’è stato un lavoro oculato sulla fotografia per dare al suo volto delle luci più drammatiche che lo fanno apparire più invecchiato. Tuttavia nel complesso il lavoro da questo punto di vista non è stato particolarmente intelligente.

L’eccesso

Matt Smith in una scena di House of The Dragon, serie tv HBO prequel di Game of Thrones

Per quanto sia stata una delle più strenue difenditrici della serie, è innegabile che ci siano dei momenti in cui la abbiano portato alcuni elementi all’eccesso.

Per quanto mi abbia emozionato la scena, è stato al limite del trash il momento in cui Daemon decapitata Vaemond nell’ottava puntata, complice anche una CGI veramente scarsa. Forse anche peggio l’ormai famosa scena della nona puntata in cui Larys si masturba guardando i piedi di Alicent. Infatti, per quando il concetto fosse anche interessante nel complesso della caratterizzazione di Alicent, la messa in scena è stata veramente di cattivo gusto.

In generale la combo fra CGI scarsa, che purtroppo è un problema abbastanza evidente di tutte le puntate, e il tentativo di sconvolgere lo spettatore è stato in più momenti una combo micidiale.

Tuttavia in generale non sto dalla parte di chi in generale condanna in toto il cosiddetto wow-effect: per me, semplicemente, dipende da come viene fatto.

E raramente ho visto momenti in questa serie che mi hanno davvero dato fastidio.

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Peacemaker: storia di un eroe ridicolo

Peacemaker (2022) è la serie sequel del poco fortunato film The Suicide Squad (2021), sempre nelle mani del brillante James Gunn. Proprio per il flop economico del film, probabilmente non ci si aspettava molto da questo prodotto. Invece il riscontro del pubblico è stato ottimo, portando in poco tempo ad un rinnovo per una seconda (e meritatissima) stagione.

Peacemaker è una serie ben realizzata, con una trama semplice ma funzionale, personaggio indovinati, un umorismo geniale ma mai ingombrante, oltre ad un ottimo comparto tecnico. Di fatto Gunn si conferma un eccellente autore e regista, anche capace di reinventarsi: probabilmente per non dover sottostare ad un rating castrante come era stato per The Suicide Squad, la violenza è molto più castigata e l’umorismo meno pesante. Non di meno è sempre una violenza abbastanza fortina e per nulla patinata come per la maggior parte delle serie di questo genere.

Al momento la serie non è arrivata in Italia e non si sa quando arriverà, ma probabilmente sarà trasmessa su Sky.

Di cosa parla Peacemaker

Chris Smith, anche conosciuto come Peacemaker, in ospedale dopo gli eventi di The Suicide Squad, viene nuovamente coinvolto in una missione governativa. Infatti, per evitare di tornare in galera, Peacemaker dovrà collaborare con la Squadra Speciale X, per il misterioso Project Butterfly.

Non aggiungo altro per evitare di spoilerare troppo e vi lascio al trailer.

Perché Peacemaker funziona

Anzitutto, io credo che James Gunn abbiamo imparato la lezione: per quanto non penso fosse quello il motivo principale dell’insuccesso della pellicola, il rating molto alto e la smisurata violenza di The Suicide Squad sicuramente ha allontanato una parte del pubblico. Io, come ho già spiegato, ho amato il film e vorrei che Gunn fosse libero di mettere tutti gli smembramenti che vuole, ma riconosco anche che, se avesse cominciato ad inanellare un flop dietro l’altro, sarebbe probabilmente stato escluso dalle future grosse produzioni. E per il genere sarebbe stata una perdita enorme. Quindi va bene così.

Il reale e il paradosso si incontrano

Il grande punto di forza di questa serie è il suo realismo: James Gunn porta in scena supereroi credibili ed umani, con problemi reali, che spesso vanno oltre al loro ruolo di eroi. Non sono divinità incorruttibili come i personaggi snyderiani, ma persone comuni che hanno scelto una strada diversa dagli altri, non per forza per via di capacità eccezionali. E il fatto che Gunn prediliga o personaggi senza poteri o personaggi con poteri assurdi rende il tutto, incredibilmente, ancora più credibile.

Gunn porta infatti sulla scena situazioni strane e paradossali, ma che in realtà appaiono estremamente realistiche e spogliate di quella narrazione idealizzante che molto spesso permea le narrazioni supereroistiche. La serie gioca molto con gli stereotipi del genere, ma al contempo cerca appunto di riportarle coi piedi per terra, spesso facendo uso di un umorismo parecchio riuscito e che rende la narrazione estremamente credibile nelle sue dinamiche.

L’insospettabile John Cena

Nella mia vita vorrei avere anche solo la metà della convinzione che ha John Cena in questo ruolo. L’ex-wrestler, divenuto per un certo periodo fenomeno della cultura pop all’inizio degli anni 2000, è riuscito splendidamente reinventarsi come attore, sotto l’ottima guida di Gunn, dopo essersi già fatto notare per Fast and furios 9 (2021). Il suo personaggio è stato in parte riscritto rispetto alla pellicola, cercando di renderlo più tridimensionale.

Peacemaker è infatti un eroe ridicolo, nel senso più positivo del termine: è ridicolo perché rappresenta un personaggio fragile, insicuro, fortemente ingenuo, che cerca di fare la cosa migliore secondo lui e spesso per i motivi più sbagliati possibili. È quindi un personaggio assolutamente fallibile e criticabile. E, per questo, una figura in cui possiamo immedesimarci.

La scena è abbastanza divorata da lui e da Vigilante, la sua spalla comica (e non solo), ma anche il resto del cast dà il meglio di sé, anche se talvolta indugia su una recitazione abbastanza stereotipata.

Una trama semplice ma vincente

La trama di per sé non andrebbe neanche esaltata in tempi normali: è piuttosto semplice, con una costruzione da manuale, anche se portata avanti in maniera molto sapiente. Tuttavia, davanti a praticamente tutte le serie della Marvel fatte di buchi di trama, puntate filler e vicende noiose ed inconcludenti, direi che è un aspetto che va riconosciuto.

In generale è una serie pensata per il rilascio settimanale, con costanti cliff-hanger che vengono un po’ depotenziati da una visione in binge watching.

L’inclusività fatta bene

John Cena, Danielle Brooks, Steve Agee e Chukwudi Iwuji in una scena della serie Peacemaker 2022 HBO Max

Ormai da anni le case di produzione cercano di inseguire il pubblico sulla (giustissima) questione dell’inclusività. Purtroppo molto spesso si tratta di operazioni fatte con grande superficialità, solamente per non essere accusati di alcunché, includendo quelli che non sono altro che dei token, ovvero dei personaggi non bianchi, non uomini e non eterosessuali per fare presenza (ne abbiamo un esempio recente in The King’s Man).

In Peacemaker (come prima anche in The Suicide Squad) la questione è ben diversa. Anzitutto Gunn è solito mettere in scena moltissimo i corpi maschili, sessualizzandoli anche in maniera ridicola, piuttosto che quelli femminili. È il caso del protagonista della serie, che sia qui che nella pellicola è molto spesso spogliato.

Inoltre in una scena in particolare Gunn dà finalmente l’idea di ascoltare le donne, e non portare sulla scena, come spesso appunto succede, una rappresentazione assolutamente irrealistiche delle stesse. Dal momento che la scena in questione è interpretata dalla sua fidanzata, non escludo che sia stata lei stessa a portare avanti questa idea.

Oltre a questo, i personaggi non bianchi sono ben contestualizzati all’interno di una serie che non vuole portare la narrazione di una società idealistica e totalmente inclusiva come spesso accade, ma include anche le fasce più estreme (ma anche estremamente reali) della società americana, dando voce ai problemi reali ed alle situazioni reali in cui appunto le POC (People of color) si trovano a vivere quotidianamente.

Posso guardare Peacemaker senza aver visto The Suicide Squad?

In generale, sì: all’inizio viene fatto un piccolo recap del film. Però è veramente un peccato, perché vi spoilera i momenti salienti della pellicola e, se siete fan di Gunn, dovreste assolutamente recuperarla. Se avete ancora bisogno di essere convinti su Gunn e non ve ne importa nulla degli spoiler, allora guardatela.

La maggior parte dei personaggi erano presenti anche nel film, ma erano molto secondari, quindi in realtà la pellicola non aggiunge molto su di loro. Anche Peacemaker come personaggio si può cominciare a conoscere direttamente da questa serie. Le vicende fanno riferimento ad alcuni elementi della pellicola, ma in generale è una serie che si può guardare anche da sola.

Soft Gunn

Se non vi è piaciuto The Suicide squad, non è detto che questa serie non vi possa piacere. Dipende da quale sia il vostro problema con il film: se vi ha dato fastidio la violenza eccessiva e l’umorismo troppo pesante, in questo caso entrambi gli aspetti sono molto più castigati, soprattutto il primo.

C’è molta violenza e anche molto pesante, ma è molto meno ostentata e visibile in scena. Quindi se il vostro problema era quello e in generale apprezzate il Gunn col freno a mano tirato come in Guardiani della galassia, allora può piacervi anche questa serie.

Se invece non vi piace Gunn, né come tipo di umorismo né come tipo di scrittura e preferite un tipo di cinecomic più classico, più vicino a serie come la recente Hawkeye della Marvel, molto probabilmente non farà per voi.

In generale se la volete vedere e non avete visto The Suicide Squad vi consiglio di recuperarvi la pellicola nell’attesa che esca ufficialmente in Italia.