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2022 Avventura Dramma familiare Drammatico Film

Women Talking – Una violenza da camera

Women Talking (2022) di Sarah Polley è un dramma storico ispirato ai reali eventi della colonia di Manitoba in Bolivia nel 2011.

A fronte di un budget abbastanza contenuto – 20 milioni di dollari – nonostante l’ottimo riscontro agli Oscar 2023, è stato un tremendo insuccesso commerciale: 9 milioni in tutto il mondo.

Di cosa parla Women Talking?

Un gruppo di donne senza nome nella comunità mennonita scopre di essere stato ripetutamente violentato nella notte dagli uomini della colonia.

E ora bisogna scegliere cosa fare…

Vi lascio il trailer per farvi un’idea:

Vale la pena di vedere Women Talking?

Rooney Mara in una scena di Women Talking (2022) di Sarah Polley

Assolutamente sì.

Women Talking è stata davvero una bella sorpresa: un film che può essere considerato quasi un dramma da camera, basato quasi esclusivamente sul serrato dialogo fra le protagoniste, è risultato infine incredibilmente coinvolgente e stimolante.

Lo scambio fra i personaggi è infatti ben calibrato nei toni e negli argomenti, andando a toccare delle tematiche non scontate e muovendosi sempre con grande delicatezza ed eleganza in argomenti per cui era facile scadere nel facile melodramma.

Insomma, da riscoprire.

Antefatto

L’incipit di Women Talking è stato per me piuttosto sorprendente.

Come mi aspettavo quantomeno un primo atto dedicato all’atto scatenante della pellicola, invece lo stesso diventa l’antefatto che si intreccia con la narrazione introduttiva della storia, che vive di poche inquadrature ben scelte.

Infatti del fattaccio intravediamo solamente pochi attimi, frammenti di ricordi delle stesse protagoniste, che evitano abilmente di dare fin troppa enfasi alla violenza in sé, insomma di darla in pasto al pubblico…

…raccontandone principalmente le conseguenze.

E in questa fase si può anche perdonare la principale forzatura della pellicola, che agisce quasi come un what if… della storia reale – al pari del romanzo a cui si ispira – che diventa quasi un pretesto per intavolare un discorso non scontato su violenza, potere e colpe.

Perché le protagoniste hanno in realtà una via più facilmente percorribile…

Perdono

Dio ha molte facce.

Dio è vendicativo, violento e giustiziere, e prende possesso di Salome quando si ribella come una furia all’ordine corrente, andando a ribadire la stessa violenza che ha dovuto subire sui colpevoli, tanto da dover essere trattenuta nel suo slancio omicida.

Ma Dio è anche perdono, ed è quello che viene richiesto alle vittime: lasciarsi alle spalle questi orribili atti e riaccogliere questi uomini che verranno solo sommariamente puniti dalla giustizia terrena, e che potranno così liberamente tornare a avventarsi su di loro.

Quindi le vie percorribili sono due.

Rimanere, rimanere sottomesse e passive a quelli che credevano essere i loro compagni e fratelli, accettare il perdono e mantenere intatta la comunità e i suoi fragili equilibri, unico luogo che conoscono e da cui sono state definite, anche in queste nuove condizioni.

Oppure combattere, prendere in mano armi di fortuna e rispondere alla violenza con una furia che le protagoniste forse nemmeno sospettavano di avere dentro di sé, ma che è un’opzione più volte accarezzata per riuscire finalmente ad autodeterminarsi.

Oppure…

Fuga

Gli uomini possono andarsene?

Le protagoniste si trovano in una situazione del tutto nuova, in cui riscoprono il loro diritto di parola, il potere della stessa, e come questa può essere esercitata non solo contro di loro, ma contro gli uomini stessi.

Per una volta, insomma, queste donne che non avevano portato avanti nemmeno le più minuscole richieste, i più piccoli favori all’interno dell’universo domestico, realizzano il paradosso di intraprendere ora una richiesta così importante.

Perché, l’alternativa è scappare.

Questa prospettiva cresce progressivamente all’interno del gruppo, si rincorre nelle parole di queste donne spaventate e senza meta, tenute appositamente nell’ignoranza per depotenziarle…

…ma che al contempo cresce come consapevolezza di essere l’unica via possibile per continuare a vivere, trovandosi ormai in un punto di non ritorno, con una consapevolezza che non possono più ignorare.

E allora, di chi è la colpa?

Colpa

Rooney Mara e Claire Foy in una scena di Women Talking (2022) di Sarah Polley

La colpa è di tutti.

Uno dei frangenti più interessanti del dialogo di Women Talking riguarda l’indagine della radice dello stupro, giungendo alla dramma consapevolezza di averne sempre avuto indizi sulla futura violenza sotto i loro occhi, come se la matrice della stessa fosse sempre stata insita nella colonia.

Per questo diventa ancora più importante capire come scrivere diversamente il futuro, come evitare che questa dinamica si ripeta, andando così a porre su un quesito per nulla semplice: quanto possono essere pericolosi i nostri stessi figli che muovono i primi passi verso pubertà?

Ne deriva un ritratto piuttosto sfumato e sorprendente di un’età imprevedibile e turbolenta, che si intreccia con la consapevolezza intergenerazionale di essere state passive davanti ad un dramma che si stava già consumando – e che era solo l’antipasto della violenza che ne è seguita.

E infine non ci rimane altro che vedere queste donne dirigersi verso un orizzonte incerto, senza aver bisogno di sapere altro sul loro futuro e sul loro eventuale fallimento, rinfrancandoci con la visione della loro definitiva autodeterminazione.

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Avventura David Lynch Dramma storico Drammatico Film

The Elephant Man – Dietro l’orrore

The Elephant Man (1980) è il primo film della fase commerciale di David Lynch – aperta e chiusa in pochi anni con Dune (1984).

A fronte di un budget molto piccolo – 5 milioni di dollari, circa 19 oggi – è stato un ottimo successo commerciale: 26 milioni in tutto il mondo (circa 100 oggi).

Di cosa parla The Elephant Man?

Frederick Treves è uno studioso di chirurgia che si trova davanti ad un caso veramente anomalo. Ma quello che sembra solo una bestia…

Vi lascio il trailer per farvi un’idea:

Vale la pena di vedere The Elephant Man?

John Hurt in una scena di The Elephant Man (1980) di David Lynch

In generale, sì.

Facendo parte del suo timido approccio al grande pubblico di Lynch, The Elephant Man non offre ovviamente la tipica esperienza della sua filmografia, ridotta a pochi accenni comunque ben pensati, ma che mai farebbero pensare ad uns sua pellicola.

Tuttavia, nel complesso rimane una pellicola godibile, che in tempi non sospetti affronta con rara delicatezza – e, soprattutto, senza una virgola di pietismo – la storia di un moderno Frankenstein da un altro punto di vista.

Insomma, dategli un’occasione.

Nascosto

John Hurt in una scena di The Elephant Man (1980) di David Lynch

Una delle idee più indovinate di The Elephant Man è tenere per lungo tempo nascosto il protagonista.

Infatti, quella che potrebbe sembrare la classica tattica di questo tipo di film di tenere nascosto il mostro per accrescere la curiosità morbosa dello spettatore, è invece un modo intelligente e sottile di fare in modo di farci vedere prima la crudeltà che circonda il personaggio…

…così da farci empatizzare con lui per la sua condizione ora di fenomeno da baraccone, quasi una bestia, e poi come corpo che mostrare e umiliare a piacimento per una dimostrazione scientifica, senza mai curarsi dei suoi sentimenti.

E così, pur arrivando alla rivelazione del suo mostruoso aspetto in una modalità molto classica, ci arriviamo anche carichi di una particolare consapevolezza sull‘angoscia ancora inespressa di questa creatura, che proprio per la mancanza apparente di intelletto non può avere alcuna dignità.

Eppure…

Prova

John Hurt in una scena di The Elephant Man (1980) di David Lynch

John deve dare prova della sua umanità.

I goffi tentativi del Dottor Treves sono facilmente rivelati come se volesse ammaestrare l’uomo elefante, quasi come una scimmia che non fa altro che imitare il parlato umano, ma senza avere alcun tipo di capacità di elaborare pensieri propri.

E invece molti timidamente infine il protagonista riesce a dimostrare di essere molto più di quello che sembra, di saper decantare interi passi di opere letterarie, che ha segretamente imparato a memoria, e che gli permettono di evadere questa dolorosa condizione.

E nella fase centrale, man mano che John acquisisce il suo nuovo status, il film viaggia sul filo di un pericoloso pietismo, proprio per le struggenti esternazioni del protagonista davanti alla ritrovata e insperata gentilezza nei suoi confronti.

Eppure The Elephant Man rimane sempre solido su questo fronte…

…e per fortuna, considerando l’ultimo atto.

Agguato

John Hurt in una scena di The Elephant Man (1980) di David Lynch

Lo stato bestiale è sempre in agguato.

È in agguato nelle parole delle domeniche, le stesse che sulle prime erano inorridite dall’aspetto di John, ma che ora invece si dimostrano concretamente preoccupate davanti alla curiosità morbosa degli ospiti di John…

…per paura che il protagonista possa essere ferito da individui che lo continuano a considerare come un fenomeno fa baraccone.

John Hurt in una scena di The Elephant Man (1980) di David Lynch

E quel pericolo è sempre in agguato soprattutto per la presenza del crudele, colpevole di una scena veramente struggente in cui John viene totalmente spogliato della sua ritrovata umanità per diventare una pura bestia da strattonare secondo i desideri del pubblico…

…per poi essere definitivamente rapito per capitalizzare sulla sua pelle, spogliato e rinchiuso in una gabbia, vittima del generale ludibrio, che perlomeno attrae la naturale pietà degli altri freaks, che gli offrono la possibilità di fuggire.

John Hurt in una scena di The Elephant Man (1980) di David Lynch

Ma non basta.

Nel finale è fondamentale per il protagonista riuscire finalmente ad autodeterminarsi come uomo, davanti ad una folla pronta ad assaltarlo, accompagnandoci così ad un finale agrodolce, in cui John si abbandona ad un sonno sereno di quel che rimane della sua breve vita.

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Animazione Avventura Azione Commedia Dramma romantico Drammatico Fantasy Satira sociale Serie tv

Hazbin Hotel – La rivoluzione comincia dal basso

Nata come progetto indipendente su YouTube dalla sua creatrice, Vivienne Medrano, Hazbin Hotel (2019 – …) è diventato un fenomeno di costume, raccogliendo appassionati in tutti il mondo.

Se sapete già tutto sulla serie, cliccate qui per saltare alla parte spoiler. Se invece per voi è tutto nuovo, continuate a leggere.

Hazbin Hotel Guida Alla visione

Charlie Morningstar è la figlia di Lucifero e Lilith, i due ribelli biblici per eccellenza, impegnata nell’ambizioso progetto di salvare l’Inferno dal totale degrado con il suo Hazbin Hotel.

Ma la strada della redenzione è tutta in salita…

Charlie in una scena di Hazbin Hotel (2023 - ...)

Non posso che dirvi sì, assolutamente.

Hazbin Hotel è la classica serie che sembra mettere una serie di ostacoli apparentemente insormontabili per molti spettatori (io per prima): è un prodotto animato ed è un musical.

Lasciando da parte il pregiudizio sull’animazione – è dichiaratamente un prodotto per adulti – da non amante dei film musicali sono rimasta totalmente conquistata dalla bellezza della storia e delle canzoni.

Adamo e Lute in una scena di Hell is forever di Hazbin Hotel (2023 - ...)

Infatti quella che potrebbe sembrare l’ennesima riscrittura moderna della mitologia cristiana, è in realtà una profonda riflessione sul classismo odierno e sull’inevitabile conflitto generazionale che lo accompagna.

Oltre a questo, la colonna sonora è ricca di metafore e simbologie piuttosto ricercate, che intessono una narrazione musicale che dialoga fortemente con sé stessa, risultando assolutamente indimenticabile.

Insomma, superate i vostri pregiudizi e dategli una chance.

Sì e no.

La serie di Prime ha un atteggiamento piuttosto ambiguo sulla questione: una parte fondamentale della storia – l’origine di Alastor – presente nel pilot è ri-raccontata a metà stagione, in maniera secondo me anche migliore – e dopo aver lasciato ampio respiro al personaggio.

Al contempo, nel pilot sono presenti informazioni abbastanza importanti per comprendere appieno la trama, rispondendo a domande altrimenti insolute – in poche parole, molti dei personaggi presenti all’hotel non si capisce perché e come siano arrivati lì.

Il mio consiglio è di guardarvi la serie su Prime e solo dopo il pilot, così da colmare quei piccoli dubbi che sicuramente vi saranno venuti.

Banalmente, entrambi.

La scrittura dei dialoghi di Hazbin Hotel, soprattutto per le canzoni, è particolarmente ostica, in quanto spesso si utilizza un vocabolario piuttosto ricco e ricercato, con diversi giochi di parole sostanzialmente intraducibili in italiano.

Eppure, l’adattamento e il doppiaggio italiano di Hazbin Hotel è indubbiamente uno dei migliori che ho ascoltato in tempi recenti, che ha veramente fatto del suo meglio per rendere tutte le sfumature di significato della serie, anche quando sembrava davvero impossibile.

Insomma, se masticate abbastanza bene l’inglese, vi consiglio di darle una prima occhiata in originale, e poi rivederla in italiano.

Al contrario, se vi sentite più a vostro agio con i prodotti doppiati, è godibilissima anche in italiano, ma vi consiglio di rivedervi almeno le canzoni in inglese, per cogliere alcuni elementi che purtroppo non possono essere resi appieno nell’adattamento.

E Helluva Boss?

Helluva Boss è lo spin off di Hazbin Hotel – anche se tecnicamente sarebbe il contrario, perché questa serie è nata prima – ed è disponibile gratuitamente su YouTube, dove vengono pubblicate periodicamente le nuove puntate.

È una serie molto diversa da Hazbin Hotel per la gestione della storia: si tratta sostanzialmente di puntate autoconclusive con una trama di fondo che viene spalmata su diversi episodi, ricalcando temi già espressi nella serie madre, ma affrontando altri punti di vista altrettanto interessanti.

Inoltre, è un banco di prova molto importante per l’evoluzione evidente della animazione di Vivienne Medrano, che migliora puntata dopo puntata con sperimentazioni sempre più ardite ed affascinanti…

….che spero di trovare anche nel seguito di Hazbin Hotel.

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Dramma familiare Dramma romantico Drammatico Film Thriller Woody Allen Woody Allen 2000

Match Point – Una trappola personale

Match Point (2005) è il primo film strettamente drammatico della carriera di Woody Allen, al tempo considerato anche il suo grande ritorno artistico.

A fronte di un budget abbastanza contenuto – 15 milioni di dollari – fu un ottimo successo commerciale: 85 milioni in tutto il mondo.

Di cosa parla Match Point?

Chris è un ex campione di tennis che sbarca il lunario lavorando in un club sportivo come istruttore. Ma la fortuna sarà più dalla sua parte di quanto potrebbe pensare…

Vi lascio il trailer per farvi un’idea:

Vale la pena di vedere Match Point?

Scarlett Johansson e Jonathan rhys meyers in una scena di Match Point (2005) di Woody Allen

Assolutamente sì.

Match Point, insieme al successivo Blue Jasmine (2013), rappresenta un momento interessantissimo della carriera di Woody Allen, che per la prima volta fece uscire di scena il suo personaggio e la sua comicità iconica per provare un nuovo approccio...

…su temi già ampiamente esplorati, ma all’interno di un thriller con una riflessione piuttosto amara sulla fortuna, sul caso, sulle trappole sociali che noi stessi ci creiamo, pur consapevoli di quanto siano causa della nostra infelicità.

Insomma, da riscoprire.

Ricominciare

 Jonathan rhys meyers in una scena di Match Point (2005) di Woody Allen

La ripartenza di Chris sembra senza speranza.

Ormai stufo di una carriera sportiva senza futuro, si rifugia nell’unica alternativa possibile, nonostante la stessa non sia sufficiente né per la sua felicità né per permettersi neanche di vivere in uno squallido monolocale.

Eppure, proprio questa scelta è il punto di partenza per una serie di colpi di fortuna che gli permettono di costruirsi una vita molto più economicamente soddisfacente, grazie al contatto con un ambiente particolarmente propenso ad accoglierlo.

Infatti sia Tom che la sorella Chloe sembrano affetti da una irrisolvibile Sindrome della crocerossina, che li spinge a salvare individui dall’estrazione sociale molto bassa che, per vari motivi, meritano di essere aiutati.

E qui si pone una differenza fondamentale.

Dialogo

Scarlett Johansson e Jonathan rhys meyers in una scena di Match Point (2005) di Woody Allen

Nola e Chris sembrano uguali…

…ma non lo sono.

Fra i due si instaura un dialogo segreto e impercettibile, basato sulla comune consapevolezza di essere la vittima dell’interesse smodato e potenzialmente passeggero di due persone che in realtà non amano davvero…

…e che, soprattutto, sono del tutto ignare del vero peso di essere così incredibilmente fortunati tanto da non avere mai avuto una preoccupazione economica che non possa facilmente essere risolta grazie alla propria posizione sociale.

Così entrambi condividono una bellezza magnetica che si accompagna ad una sostanziale fragilità economica, e che li rende estremamente desiderabili come compagni di vita da sfoggiare all’occasione.

Ma la differenza fondamentale è che Chris si dimostra sempre estremamente accomodante, tanto che cerca il più possibile di non sembrare un approfittatore sociale, al contrario del carattere ben più volubile e molto meno docile di Chole.

Eppure, alla fine Chris è in trappola.

Trappola

Chris dovrebbe essere felice.

Smarcatosi da una condizione economica infelice, riesce a costruirsi una carriera favorevole in un campo piuttosto redditizio, fra l’altro con la sicurezza di potersi anche avventurare in investimenti rischiosi senza dover subire particolari perdite.

Scarlett Johansson e Jonathan rhys meyers in una scena di Match Point (2005) di Woody Allen

Ma non è una fortuna gratuita…

Infatti, la sua situazione lavorativa è del tutto succube al favore della famiglia Hawett, che dipende da un unico fattore: la felicità di Chole, che si concretizza nella sempre più pressante richiesta di costruire una famiglia insieme.

Per questo fin da subito Chris cerca una via di fuga…

Fuga

Scarlett Johansson in una scena di Match Point (2005) di Woody Allen

Chris è artefice della sua distruzione.

Lo è quando accetta di inserirsi in un sistema sempre più claustrofobico, in cui la sua vita personale si intreccia indissolubilmente con la sua carriera lavorativa, tanto che i due elementi non possono esistere indipendentemente.

Proprio per questo sa anche di non poter tirare troppo la corda con Chloe, sa di dover il più possibile assecondare nel suo progetto di vita, rimanendone un mansueto esecutore che non si azzarda quasi mai a lamentarsi.

Scarlett Johansson e Jonathan rhys meyers in una scena di Match Point (2005) di Woody Allen

Al contempo, Chris cerca la sua distruzione nella relazione con Nola, donna che insegue disperatamente in ogni momento della storia, con la quale non solo trova un’affinità sessuale, ma anche intellettuale.

E, nell’esecuzione del suo tradimento, è fin da subito maldestro e disattento, si lascia fin troppe porte aperte per farsi scoprire, fin troppo testimoni del suo segreto, proprio quasi come se volesse che il destino agisse per lui per liberarlo.

Ma la fortuna è fin troppo dalla sua parte.

Chiasso

Scarlett Johansson in una scena di Match Point (2005) di Woody Allen

Con la gravidanza di Nola, Chris si trova davanti ad un bivio.

Svelando il suo segreto alla moglie potrebbe perdere tutto, cadere in disgrazia e mettere un punto alla sua carriera, ma al contempo sarebbe – forse – finalmente felice in una relazione sessuale e affettiva davvero soddisfacente – e, soprattutto, molto meno vincolante.

Ma il protagonista è di fatto incapace di prendere una decisione, e così temporeggia, trova soluzioni alternative e di mezzo, risolvendosi infine a prendere la decisione più codarda possibile.

Scarlett Johansson e Jonathan rhys meyers in una scena di Match Point (2005) di Woody Allen

Ovvero, eliminare il problema Nola, personaggio diventato fin troppo invadente e chiassoso per continuare ad esistere, come ben rappresenta la scena in cui la donna si avventa su di lui nel mezzo della strada, pretendendo una risoluzione immediata.

Ma, ancora, è come se Chris volesse farsi scoprire.

Rete

Jonathan rhys meyers in una scena di Match Point (2005) di Woody Allen

Il crimine di Chris è quasi una rivendicazione.

Il protagonista è alla disperata ricerca di un briciolo di giustizia in un mondo che sembra regolato unicamente dai capricci dei potenti, senza che questi – e, per estensione, lo stesso Chris – vengano in qualche modo puniti per il loro agire.

Per questo il piano, per quanto ben congegnato per non farlo sembrare un crimine passionale, è pieno di disattenzioni: il diario lasciato come prova, l’agire del tutto casuale nel rovistare nella casa della vittima, la poca attenzione nel liberarsi delle prove…

Jonathan rhys meyers in una scena di Match Point (2005) di Woody Allen

…in particolare dell’anello della Eastby, che rimbalza sulla ringhiera del Tamigi proprio come la pallina da tennis sulla rete, aprendo una nuova possibilità per la tanto ricercata scoperta della colpevolezza del protagonista.

Ma infine, ancora una volta, la fortuna gli è avversa, chiudendogli l’ultima via di fuga possibile e regalandogli invece la continuazione di una vita perfettamente insostenibile.

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90s Back to....teen! Comico Commedia Commedia romantica Drammatico Film Teen Movie

Clueless – Il risveglio

Clueless (1995) di Amy Heckerling, noto anche come Ragazze di Beverly Hills, è un cult del genere teen movie.

A fronte di un budget piccolino – 12 milioni di dollari – fu un grande successo commerciale: 88 milioni in tutto il mondo.

Di cosa parla Clueless?

Cher è una ragazza ricca e popolare, ma che usa la sua influenza per aiutare gli altri. Ma la sua ingenuità sarà la sua rovina…

Vi lascio il trailer per farvi un’idea:

Vale la pena di vedere Clueless?

Assolutamente sì.

Clueless rappresenta davvero una perla del genere, anticipando fortemente i tempi con una narrazione dell’adolescenza femminile più collaborativa che vendicativa – come invece si vede in molte occasioni… – e un racconto della sessualità piuttosto dirompente.

Oltretutto, a differenza di film più difficilmente digeribili – per quanto magnifici – come Heathers (1989), è anche un prodotto piacevolissimo da guardare, che comunque non si risparmia in una serie di battute piuttosto sottili e non sempre a portata di adolescente…

Ingenuità

Alicia Silverstone e Stacey Dash in una scena di Cluless (1995) anche noto come Ragazze di Beverly Hills

Cher è totalmente ignara della sua condizione.

Intraprendendo fin da subito un intenso dialogo con lo spettatore – ottimo metodo, se ben pensato, per potenziare la narrazione, che sarà poi ripreso anche il Mean girls (2004) – ci racconta già moltissimo del suo personaggio – e della sua totale ingenuità.

Pur godendo di un armadio gigantesco, addirittura di un sistema di matching per gli outfit – una delle scene più iconiche, riprese, fra gli altri, in Barbie (2023) – Cher non è la classica adolescente ricca e viziata come ci si potrebbe aspettare.

Fin dalla prima scena viene infatti svelata la sua – seppur ingenua – buona volontà nell’aiutare gli altri, soprattutto il padre, così immerso nella sua turbolenta professione da non essere capace di prendersi cura di sé stesso.

Ma non è finita qui.

Bivio

Alicia Silverstone e Stacey Dash in una scena di Cluless (1995) anche noto come Ragazze di Beverly Hills

Clueless si trova in più momenti davanti ad una serie di bivi.

Cher è un personaggio che fin da subito si distingue dagli altri personaggi femminili dal punto di vista relazionale: genuinamente disgustata dai ragazzi della sua generazione, racconta fra il divertito e l’apprensivo la relazione fra la sua migliore amica, Dionne, e Murray.

E se questo poteva essere un buon momento per far partire la classica divisione fra ragazze buone e cattive…

Stacey Dash in una scena di Cluless (1995) anche noto come Ragazze di Beverly Hills

…e invece Clueless stupisce: non vi è mai un giudizio negativo nei confronti della libertà sessuale delle protagoniste, se non quello che talvolta i personaggi mettono su sé stessi – come quando Donnie dice, quasi con sprezzo, di essere tecnicamente ancora vergine.

E anche la stessa posizione di verginità della protagonista è piuttosto aleatoria…

Buone azioni

Alicia Silverstone in una scena di Cluless (1995) anche noto come Ragazze di Beverly Hills

Anche durante la classe di dibattito, Cher dimostra la sua deliziosa ingenuità.

La sua posizione sull’immigrazione è una piccola zampata nei confronti della totale cecità della borghesia statunitense nei confronti dei problemi reali del paese, ma anche un ulteriore momento per sottolineare la sostanziale bontà della protagonista.

Alicia Silverstone e Stacey Dash in una scena di Cluless (1995) anche noto come Ragazze di Beverly Hills

Infatti, come Cher potrebbe utilizzare la sua posizione per vendicarsi dei brutti voti di Mr. Hall, invece sceglie di prendere il meglio di quanto ha imparato da suo padre e di ammorbidire il carattere burbero del professore, facendolo innamorare.

Così, anche se un motivo assolutamente egoistico, Cher riesce a far ritrovare due persone molto sole.

Ed è solo l’inizio.

Makeover!

Brittany Murphy in una scena di Cluless (1995) anche noto come Ragazze di Beverly Hills

Fatta la prima buona azione, Cher non ne può più fare a meno.

Dopo uno sguardo piuttosto ironico sul panorama adolescenziale di Beverly Hills e le sue ragazze ricche, viziate e piene di botulino, viene introdotta la preda perfetta, la totale outsider che la protagonista può prendere sotto la sua ala per una nuova buona azione.

Qui Clueless raccoglie particolarmente l’eredità del romanzo da cui si ispiraEmma di Jane Austen – con un arguto parallelismo fra la società iper-classista della Regency e il panorama sociale non meno spinoso dell’alta società californiana.

Per questo, Tai è la via del risveglio.

Brittany Murphy, Alicia Silverstone e Stacey Dash in una scena di Cluless (1995) anche noto come Ragazze di Beverly Hills

Cher cerca fin da subito di catturare la sua nuova amica nel complesso sistema della scuola, partendo dal più classico momento di passaggio – il makeover – che viene però totalmente stravolto, riducendolo – al pari di tutte le indicazioni di Cher – in una mania senza significato.

Ed infatti è piuttosto interessante che fin da subito Tai tende a sottrarsi ai tentativi di Cher di incasellarla, prima di tutto negando la sua verginità – elemento estremamente raro in un personaggio di questo tipo – e interessandosi ad un ragazzo che Cher considera inadeguato.

Ma l’alternativa non è migliore…

Voltafaccia

Brittany Murphy e Alicia Silverstone
 in una scena di Clueless (1995) anche noto come Ragazze di Beverly Hills

Il piano di Cher è un disastro.

Proprio come una matchmaker d’altri tempi, la protagonista trova subito il candidato perfetto che Tai può usare come accessorio per riuscire ad imporsi definitivamente con la sua rinnovata immagine e posizione.

E se i tentativi nel complesso sembrano portare nella direzione giusta, con un Elton che si dimostra interessato ad avvicinarsi alla ragazza, infine scoppiano come bolle di sapone quando il personaggio rivela tutta la sua arroganza e classismo, cercando di saltare addosso a Cher.

E così, la caccia ha di nuovo inizio…

…aprendo la sezione che io personalmente considero più geniale della pellicola.

Seduzione

Alicia Silverstone in una scena di Clueless (1995) anche noto come Ragazze di Beverly Hills

Per quanto ingenua, Cher è molto più furba di quanto potrebbe apparire.

Appena posati gli occhi su Christian, prende subito le redini della seduzione, con tutta l’intenzione di dimostrarsi interessante agli occhi di questo fascinoso ragazzo, in una scena che mima sottilmente l’atto sessuale, come ben rivela la battuta di Mr. Hall:

It’s time for your oral!

È ora del tuo orale.

Tutta la dinamica successiva continua a calcare su questo fine racconto erotico, in cui Cher si rende sempre di più desiderabile e desiderata, in particolare portando l’attenzione sulla sua bocca sempre impegnata:

And anything you can do to draw attention to your mouth is good.

E qualsiasi cosa che attiri l’attenzione sulla tua bocca è una buona idea.

Ma la realizzazione infine che Christian non potrai mai essere il suo fidanzato – con una rivelazione molto figlia di tempi, ma perlomeno non offensiva nei toni – è il primo passo per la graduale presa di consapevolezza di Cher di non aver mai avuto il controllo sulla situazione…

…e di aver guardato sempre dalla parte sbagliata.

Insomma, è ora di parlare di Josh.

Realtà

Alicia Silverstone e Paul Rudd in una scena di Clueless (1995) anche noto come Ragazze di Beverly Hills

Josh è la chiave di volta per la maturazione della protagonista.

Sulle prime il loro rapporto sembra il classico enemy to lovers, ma è una dinamica abbandonata non appena il personaggio ha modo di mostrare il suo vero carattere: non uno sfaccendato collegiale, ma un ragazzo timido e insicuro, che cerca rifugio in un’altra famiglia…

…e che, come Cher, ha a cuore gli altri: particolarmente dolce e significativo il momento in cui, alla festa con Christian, la protagonista si rende conto che Tai si senta escluso, ma si rassicura quando vede l’intervento di Josh, che la fa meno sentire fuori posto.

E proprio la realizzazione di essere innamorata del suo ex-fratello, apparentemente improvvisa, invece mette un punto molto interessante al personaggio: non la classica protagonista che cerca il vero amore, ma piuttosto una ragazza che sa cosa è meglio per sé, e che vuole accanto una persona che senta vicina.

Allo stesso modo, Clueless getta una nuova luce su tutti i personaggi – e stereotipi che li accompagnano, svelando una realtà molto più complessa e variegata da quella che viene solitamente raccontata in prodotti similari.

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Avventura Dramma romantico Drammatico Netflix Serie tv Thriller

Ripley – La maschera cangiante

Ripley (2024) è una serie TV Netflix ideata da Steven Zaillian, con protagonista Andrew Scott.

Di cosa parla Ripley?

Tom Ripley è un truffatore di New York che ha l’incredibile occasione di diventare amico del rampollo Richard Greenleaf – e di prenderne il posto…

Vi lascio il trailer per farvi un’idea:

Vale la pena di vedere Ripley?

Andrew Scott in una scena di Ripley (2024) serie tv Netflix

Assolutamente sì.

Ripley è una di quelle perle di Netflix non abbastanza considerate – né pubblicizzate – curata da grandi autori hollywoodiani che scelgono di sporcarsi le mani in una serie TV, creando un prodotto di altissimo livello artistico e di scrittura.

Infatti l’incontro di una regia sublime e sperimentale, la splendida performance di Andrew Scott in uno dei migliori ruoli della sua carriera, unito ad una rappresentazione finalmente non banale dell’Italia, rende questa serie uno dei migliori titoli della stagione.

Occasione

Andrew Scott in una scena di Ripley (2024) serie tv Netflix

Ripley vive alla giornata.

Un protagonista che non è altro che un piccolo truffatore, che si guadagna da vivere con quella che sembra la sua indole naturale: prendere il posto di qualcun altro, cambiare identità e così riuscire a gabbare il malcapitato di turno.

E l’offerta di Greenleaf è la grande occasione per scoprire una nuova parte, per entrare nelle grazie del giovane Richard e, apparentemente, per riportarlo sui suoi passi, in realtà cominciando fin da subito ad intrecciare un’importante e vantaggiosa amicizia.

Perché la tentazione è troppo forte…

Esterno

Johnny Flynn e Dakota Fanning in una scena di Ripley (2024) serie tv Netflix

Ripley è un osservatore.

Numerose le scene in cui spia la vita di Richard da dietro le quinte, come a studiare la sua prossima, portata in scena dal suo miglior interprete, mentre in quella piccola finestra lontana continua con la sua vita ignaro di tutto.

Richard è infatti un personaggio del tutto innocuo, un dandy viziato che cerca di costruirsi una carriera alle spalle della famiglia, rivelandosi clamorosamente incapace in ogni sua passione – in particolare nei medici risultati artistici.

Johnny Flynn e Andrew Scott in una scena di Ripley (2024) serie tv Netflix

Come se non bastasse, Richard è una banderuola.

Mancante di una forte identità, Dickie si lascia facilmente trasportare dalla corrente, prima facendosi sedurre dalle lusinghe di Ripley – in particolare la sua presunta onestà – per poi essere rimesso al suo posto dalle insistenze di Marge, che vede un inevitabile contendente in questo nuovo amico.

E questo è il suo più grande errore.

Fuori

Johnny Flynn e Andrew Scott in una scena di Ripley (2024) serie tv Netflix

Ripley rischia di uscire di scena.

Richard gli concede un viaggio d’addio, una gita in barca per poterlo congedare dalla sua vita nella maniera più cortese possibile, non dicendoglielo neanche direttamente, ma tramite una serie di deboli consigli sull’ampliare la sua esplorazione italiana.

Ma Tom non ci sta.

Dickie diventa la sua prima vittima, la prima persona che il protagonista sceglie di schiacciare con colpi secchi e quasi chirurgici, portando fuori scena il suo personaggio per cominciare a prenderne il posto.

E, allora, è il momento di riscrivere Richard Greenleaf.

Riscrittura

Andrew Scott in una scena di Ripley (2024) serie tv Netflix

La riscrittura di Dickie è attenta e puntuale.

Tom è consapevole di non poter prendere immediatamente le vesti del personaggio senza conseguenze, in particolare per l’isteria di Marge, e sceglie per questo di alimentare raccontando la più grande paura della donna: un Dickie ormai disinteressato alla sua fidanzata.

Andrew Scott in una scena di Ripley (2024) serie tv Netflix

Così al telefono Tom si incastona in questa nuova vita creata ad arte di Dickie, che porta le sue passioni semplicemente altrove, lasciandosi alle spalle tutto quello a cui era legato, convincendo Marge che questo nuovo comportamento sia tutta un’idea di Tom.

Ma vi è un personaggio imprevisto.

Impreparato

Eliot Sumner in una scena di Ripley (2024) serie tv Netflix

L’apparizione di Freddie è una wild card.

A differenza di Marge, che si lascia schiacciare dalla sua disperazione, il suo personaggio comprende immediatamente le intenzioni di Ripley, non lasciandosi confondere dall’apparente confusione della proprietaria di casa, ma invece facendone tesoro per smascherare il falso Dickie.

Così la sua uccisione è improvvisa, mal calcolata, e tutto il piano per coprire le sue tracce lo rende visibile a non pochi testimoni, di cui paradossalmente i più utili sono quelli che non possono parlare: il gatto Lucio e le statue della Città Eterna, che spiano le improvvisate malefatte del protagonista.

Ma, come Freddie esce di scena, un altro personaggio minaccia la posizione di Ripley…

Maschera

Maurizio Lombardi in una scena di Ripley (2024) serie tv Netflix

L’austero ispettore Ravini è l’ultima grande minaccia di Ripley.

Nonostante il detective si dimostri piuttosto acuto e perseverante, nonostante prenda brutalmente il suo posto nella vita e nel salotto del protagonista – occupando tutto lo spazio possibile – si lascia anche facilmente gabbare dalla trama caotica e imprevedibile di Ripley.

Maurizio Lombardi in una scena di Ripley (2024) serie tv Netflix

E così, per quanto il protagonista cerchi il più possibile di fuggire le accuse di omicidio, per quanto cerchi di scappare dalle grinfie dell’instancabile ispettore, la pesantezza dei sospetti contro Dickie è troppo pressante per essere ignorata.

Per questo, è ora di cambiare maschera.

Nuovo

Nel finale, Ripley intraprende una tortuosa via che lo porta ad essere molti personaggi diversi.

In primo luogo, torna ad essere il vecchio e innocuo Tom, che conferma la convinzione di Marge sul cambio di passo del suo ex fidanzato, che ormai ha lasciato sia Roma che i suoi amici, per imbarcarsi alla volta dell’Africa e far perdere le sue tracce.

Infine, per consolidare la sua posizione, il protagonista crea ad arte un suo alter ego che unisce il mito di Caravaggio e le sue opere colme di ombre artistiche – e morali – al personaggio insospettabile di Tom Ripley, ormai diventato una figura di punta della Venezia da bene.

Infine, un nuovo cambio.

L’ultima maschera è un misterioso commerciante d’arte, che riesce a prendere sulle spalle tutto quello che Ripley ammirava di Dickie, ma nascondendosi dietro ad un nuovo nome, che lo rende ancora più sfuggente e introvabile.

E, allora, Ravini sarà infine capace di smascherarlo?

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Death Parade – Il peggiore di noi

Death Parade (2015) di Yuzuru Tachikawa è serie TV un anime di genere drammatico e fantastico.

Trasmessa in Giappone nei primi mesi del 2015, è arrivata in Italia tramite la web TV Dynit.

Di cosa parla Death Parade?

In un aldilà immaginario, i defunti sono sottoposti a dei giochi apparentemente innocui, in realtà mortali…

Vi lascio il trailer per farvi un’idea:

Vale la pena di vedere Death Parade?

Assolutamente sì.

Death Parade è un ottimo esempio di serie TV anime che riesce a coniugare al suo interno un ottimo equilibrio di temi e di tagli narrativi, passando dai frangenti più drammatici, thriller e quasi orrorifici, fino a momenti invece più spiccatamente comici e leggeri. 

Oltretutto nella serie vengono affrontati una grande varietà di concetti filosofici piuttosto fondamentali, come il valore della vita e la volubilità dell’animo umano davanti alle situazioni più spiccatamente stressanti e stringenti.

Insomma, da vedere.

Introduzione

Decim in una scena di Death Parade (2015) di Yuzuru Tachikawa

L’introduzione di Death Parade viaggia su due binari.

La primissima puntata – Death Seven Darts – introduce il più semplice degli scenari, per farci mettere il primo piede dentro la porta della serie: una coppia idilliaca di sposi si trova a scontrarsi in un gara apparentemente molto innocua di freccette.

Invece, già qui assistiamo alla prima escalation emotiva dei protagonisti: colpiti nei punti più sensibili, progressivamente si risveglia in loro la memoria delle ombre del loro rapporto, che li porta a scagliarsi gli uni contro gli altri in maniera sempre più feroce.  

Chiyuki in una scena di Death Parade (2015) di Yuzuru Tachikawa

Poi si cambia prospettiva.

La scena è riproposta dal dietro le quinte, dal punto di vista ancora molto ingenuo di Chiyuki, una giudice apparentemente molto improvvisata ed ingenua e che rimane sconvolta davanti alla crudeltà del gioco, e alla freddezza del giudizio…

…che, fin da subito, si rivela fallace.

Eterno

Decim e Chiyuki in una scena di Death Parade (2015) di Yuzuru Tachikawa

Il destino dell’umano è duplice.

Superando la banalizzazione del destino infernale e paradisiaco, il defunto viene in realtà messo nella condizione di essere scelto per un annullamento totale del suo essere, il vuoto, la caduta eterna dell’anima spogliata di ogni elemento di concretezza e vita

…oppure per essere salvato e riportato in un altro corpo terreno: anche nelle peggiori condizioni possibili, non ha comunque dato il peggio di sé, ma ha mantenuto nel complesso un comportamento dignitoso e che merita di continuare ad esistere.

Eppure non è così semplice.

Tatsumi in una scena di Death Parade (2015) di Yuzuru Tachikawa

Non vivendo le emozioni umane in prima persona, i giudici si illudono che questo test sia il metodo migliore per definire il valore di un’anima umana, proprio perché l’integrità di della stessa deve essere perpetua e inscalfibile neanche dai peggiori stimoli.

Invece, come ben ci racconta il detective nel suo duetto di puntate, è possibile per ogni essere umano dare il peggio di sé se messo nelle giuste condizioni – come dimostra lui stesso: prima un integerrimo poliziotto, infine uno spietato vigilante.

Per questo, la mancanza di empatia è così squalificante.

Emozione

I giudici sono delle bambole.

Dei burattini che vivono nella totale alienazione rispetto all’umano, che non le comprendono le sfumature, ma anche anzi propongono, in particolare Decim nelle sue prime battute, con una freddezza quasi meccanica i death game che definiscono il destino dei loro ospiti.

In questo modo, però, si perdono le infinite sfumature di significato che definiscono la complessità dell’umano, che non può essere giudicato solamente per una piccolissima parte della sua esistenza

In questo senso, il concetto di empatia si sviluppa su più livelli. 

Altro

L’umano è condannato per il suo egoismo.

I giochi mortali di Death Parade sono proprio per questo volti a comprendere quanto il defunto dia valore alla propria sopravvivenza e quanto invece sia disposto ad empatizzare con l’altro, perfino a sacrificarsi per lo stesso.

Un primo accenno di questa dinamica si vede quando Mayu Arita, una ragazzina apparentemente molto sciocca, sceglie di sacrificare la sua vita per il suo idolo, per arrivare a gettarsi nel vuoto pur di ritrovare l’anima di Harada.

Ma, soprattutto, Decim capisce il concetto dell’empatia grazie a Chiyuki.

Decim in una scena di Death Parade (2015) di Yuzuru Tachikawa

La ragazza era stata vittima della sua incomunicabilità, del suo essere incapace di esternare le proprie complesse emozioni, lasciando in vita persone che invece avrebbero potuto aiutarla, avrebbero potuto darle un nuovo motivo per vivere.

E quindi il suo grande insegnamento per Decim è il voler tornare in vita non per un proprio egoismo personale di rivivere e annullare la propria autodistruzione, ma piuttosto per colmare quel vuoto che ha lasciato negli altri.

E se un personaggio così austero come Decim riesce ad accennare un timido sorriso, c’è ancora speranza…

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Avatar: La leggenda di Aang – Una crescita a tappe

Avatar – La leggenda di Aang (2005-2008) di Michael Dante DiMartino e Bryan Konietzko è una serie animata di produzione statunitense, ma con grandi influenze derivanti dal panorama orientale.

In Italia la serie è andata in onda sul canale Nickelodeon fra il 2005 e il 2010.

Se non sapete niente di Avatar – La leggenda di Aang, continuate a leggere. Se invece siete i massimi esperti della serie, cliccate qui.

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Cowboy Bebop – See you…

Cowboy Bebop (1998-1999) di Shin’ichirō Watanabe è una delle più importanti serie di culto anime, di genere fantascienza-avventura.

La serie andò in onda in Italia solamente a partire dal 1999, su MTV nella fascia serale.

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Ergo Proxy – Cogito

Ergo Proxy (2006) è una serie tv anime di genere fantascientifico-cyberpunk, diretta da Shukō Murase, lo stesso che si occupò poco prima anche di Samurai Champloo (2004).

In Italia è stata distribuita prima in DVD nel corso del 2008, arrivando in tv solo fra il 2011 e il 2012 su Rai 4 in seconda serata.

Se non sapete niente di Ergo Proxy, continuate a leggere. Se invece siete i massimi esperti della serie, cliccate qui.

Ergo Proxy guida

Piccola guida alla visione se non avete mai visto Ergo Proxy.

Romdo in Ergo Proxy (2006) di Shukō Murase

Ergo Proxy è ambientata in un futuro post-apocalittico in cui l’umanità è costretta a vivere in delle comunità controllate e create artificialmente, con una vita scandita da uno stringente consumismo.

All’interno di questa utopia particolarmente distorta, i cittadini sono creati artificialmente e in serie, mentre gli immigrati devono dimostrare di essere distaccati dai loro averi per poter ambire alla cittadinanza.

Insieme agli umani vivono anche dei robot senzienti chiamati AutoReiv.

Re-l e Iggy in Ergo Proxy (2006) di Shukō Murase

A fronte della diffusione di uno strano virus fra i robot, il cogito, e della fuga del misterioso proxy, Re-l, nipote del nonno – il Reggente della città – comincia ad indagare…

…ma tutte le vie sembrano portare ad un unico personaggio: l’apparentemente innocuo Vincent Law, un immigrato da Mosk, misteriosamente coinvolto in tutti gli incidenti.

La serie è articolata in ventitré episodi di circa venti minuti ciascuno.

Inizialmente sembra che gli episodi seguano le indagini e le storie dei protagonisti – la cui risoluzione appare sulle prime anche piuttosto intuitiva – ma più la serie prosegue, più assistiamo a trame fra l’onirico e il simbolico

Re-l in Ergo Proxy (2006) di Shukō Murase

Ergo Proxy non è una serie, ma un’esperienza.

Se avete amato prodotti come Serial Experiments Lain (1998) e Ghost in the shell (1995), resterete semplicemente stregati da questo prodotto così profondamente filosofico e riflessivo.

Sicuramente non una serie di facile comprensione, ma che vale assolutamente la pena di esperire per scoprire fino a che punto un prodotto televisivo può uscire dai suoi canoni per creare qualcosa di straordinario.

Re-l Ergo Proxy

Re-l rappresenta in nuce il destino dell’umano.

La protagonista non è infatti altro che il prodotto di Romdo – anche più di quanto si renda conto inizialmente – che crea l’umano da una parte per renderlo il perfetto ingranaggio della macchina sociale, dall’altra lo spoglia di ogni abilità materiale perché sia inoffensivo.

Elemento che emerge particolarmente dalle parole di Iggy nella puntata Punti morti concettuali (13) – in cui le dice che è più inetta di quanto creda – e anche nella puntata Calma piatta (16) – in cui il terzetto è costretto ad aspettare per lungo tempo un vento migliore per continuare il viaggio.

Re-l in Ergo Proxy (2006) di Shukō Murase

In questo frangente Re-l si dimostra ancora di più la figlia perfetta di Romdo, ovvero un umano incapace di vivere autonomamente con delle skills molto basilari – cucinare, pettinarsi, prendersi cura di sé – perché fino ad ora si era del tutto affidata agli AutoRev.

Per questo si dimostra spesso irritabile e capricciosa, un atteggiamento che solo apparentemente sembra uscire dal seminato rigidamente tracciato da Romdo per il suo cittadino perfetto, ma che in realtà è la caratteristica chiave che le permette di attuare la sua raison d’être.

Re-L Meyer

Re-l in Ergo Proxy (2006) di Shukō Murase

Infatti, Re-l è sempre stata una pedina nelle mani di Romdo e soprattutto del Reggente, che hanno sfruttato e, anzi, indirettamente incoraggiato la sua ribellione: il vero obbiettivo della protagonista non era diventare l’erede della città, ma piuttosto essere artefice della salvezza della stessa.

O, almeno, la salvezza apparente.

Re-l quindi non è altro che una cavia per attirare il Proxy – Vincent – proprio condividendo le cellule di Nomad – l’amore del Proxy One – e portare lo stesso a rivelarsi e a tornare come divinità a capo della città.

Re-l in Ergo Proxy (2006) di Shukō Murase

In realtà la volontà di Re-l sfugge infine dal controllo di Romdo – al punto che Dedalus finisce per preferire la Real Re-l, ovvero la sua versione angelica – in quanto la protagonista, nella sua ricerca ossessiva dell’identità del Proxy, finisce per definire anche sé stessa.

Infatti sia Re-l che Vincent intraprendono un viaggio cartesiano per la scoperta del e, soprattutto, la protagonista vive lo sconvolgimento dell’uscita della caverna di platoniana memoria, scoprendo una realtà molto più variegata rispetto al piccolo mondo in cui ha vissuto finora.

Re-L Meyer

Re-l in Ergo Proxy (2006) di Shukō Murase

In un certo senso Re-l rappresenta il ricongiungimento dell’umano con il divino – il Proxy – al punto che nella puntata L’occhio sacro nel cielo (20) la coscienza di Vincent Law è totalmente soggetta a quella della protagonista.

Infatti, con la creazione dei Proxy, l’umanità ha acquisito una sorta di status super-umano, riuscendo a ricostruire il divino unicamente per i propri scopi risanare la terra – tanto da diventare creatore del Dio – Proxy – che infine si ribella contro il suo Creatore – l’Umano.


Vincent Law Proxy

Chi sei, Vincent Law?

Questa è la domanda che ricorre per la maggior parte della serie.

Vincent Law all’apparenza sembra un mediocre ed innocuo immigrato moscovita, che fa di tutto per riuscire ad integrarsi nella nuova comunità – Romdo – ma incapace di affermarsi con un’identità propria.

Non a caso, il suo viaggio è finalizzato alla scoperta del suo essere, all’awakening, che già di per sè avviene quando Vincent apre gli occhi, gli stessi che nelle prime puntate erano – senza che se ne accorgesse neanche – serrati davanti alla realtà che lo circondava.

Vincent Law in Ergo Proxy (2006) di Shukō Murase

L’apertura degli occhi corrisponde infatti all’uscita da Romdo – la caverna già citata – e alla sempre più insistente consapevolezza della sua vera identità – o identità altra – che fino alla fine tiene lontano da sé, come una sorta di ombra.

Infatti, la pesantezza della sua altra faccia è tale che fino all’ultimo Vincent si nasconde dietro ad una maschera, per lo stesso motivo per cui in precedenza si era fatto eliminare i ricordi da Nomad.

Ovvero, l’impossibilità dell’accettazione dell’io.

Vincent Law

Vincent Law in Ergo Proxy (2006) di Shukō Murase

I Proxy sono delle divinità, ma delle divinità imperfette: su di loro grava la salvezza e il funzionamento di intere comunità – non a caso Romdo va in rovina per l’abbandono del suo Proxy – ma, proprio come le città stesse, essi sono solamente delle realtà temporanee.

Si può dire quindi che siano come degli orologi atti a definire il ritorno degli umani originari sulla Terra, essendo mortalmente sensibili alla luce del sole, finora nascosto dietro alla coltre di nubi dovuta al disastro apocalittico che ha portato all’abbandono del pianeta.

Quando quindi il sole riuscirà finalmente a ricomparire da dietro alle nuvole, il mondo sarà nuovamente abitabile e gli umani potranno tornare su una Terra pronta per loro e, soprattutto, una Terra vuota, grazie alla morte dei Proxy e, di conseguenza, degli umani che controllano.

Vincent Law e Proxy One in Ergo Proxy (2006) di Shukō Murase

Questa presa di consapevolezza ha portato One – il primo Proxy creato – prima ad una profonda depressione, poi ad un odio incontenibile verso l’umano, sia per il suo essere solo una pedina del loro piano, sia per l’impossibilità di unirsi a Nomad.

Per questo motivo – e soprattutto dopo la distruzione di Mosk e il rapimento dell’amata – One sceglie di creare la sua seconda identità o ombra – Vincent – per penetrare Romdo, vendicarsi del Reggente e attuare infine il suo piano di rivolta degli AutoRev.

Vincent Law

One infatti riesce ad infettare gli AutoRev con il virus cogito, che rappresenta il risveglio, il soffio vitale che permette alle macchine di non essere solamente macchine – in maniera simile a Ghost in the shell (1995) – ma quasi più umane dell’umano, e riconoscerlo così come Dio.

Infatti la prima reazione degli AutoRev al cogito è inginocchiarsi e rivolgersi al divino – One – consapevoli proprio della presenza di un’entità che gli ha permesso di pensare e quindi di essere.

Re-L Meyer

Vincent Law in Ergo Proxy (2006) di Shukō Murase

Ma la coscienza del Proxy va ben oltre il semplice soggettivismo cartesiano.

Se lo stesso permette al Proxy e agli AutoRev di comprendere la loro esistenza e differenza rispetto al resto degli oggetti in-animati, il viaggio di Vincent lo porta ad abbracciare l’inter-soggettivismo kantiano.

Infatti Vincent si scopre come parte del mondo, ma, al contempo, anche osservatore dello stesso, fino ad arrivare ad un esasperato solipsismo, per cui la realtà esiste solamente in sua funzione.

Vincent Law in Ergo Proxy (2006) di Shukō Murase

Questo elemento ben si intreccia con la funzione stessa del Proxy come creatore e, di fatto, sorrettore di mondi: ogni comunità da esso creata ha smesso di esistere quando il suo dio l’ha abbandonata o è morto.

Questa presa di consapevolezza finale permette infine a Vincent di ricongiungersi con One e diventare un unico portatore di vita e di morte, capace di rivaleggiare con gli umani che stanno ritornando a popolare la terra.

Nondimeno, la sua esperienza con Re-l e Pino gli ha permesso di carpire la possibilità di un’umanità migliore, non solamente tirannica e distruttiva: una per cui valga la pena di lottare.

Insomma, Cogito Ergo Proxy.


Pinocchio Ergo Proxy

Pino rappresenta la via pacifica del cogito.

A differenza degli altri AutoRev, questa bambina sceglie di vivere la sua vita non in opposizione all’umano, ma all’interno di una ricerca sostanzialmente pacifica e personale del mondo esterno.

Per questo, avendo preso coscienza del sé grazie al virus, passa dall’essere una macchina apatica ed incolore, ad una bambina frizzante e esuberante, che si unisce a Vincent in una sorta di ricerca comune, pur con obbiettivi meno ambiziosi.

Nella più semplice interpretazione, Pino non è altro che Pinocchio: non più burattino, non più macchina, ma un infante quasi vero che cerca di esserlo in tutto e per tutto, anche tramite la imitatio di quello che gli sta intorno – nello specifico di Re-l, come si vede soprattutto in Calma piatta (16).

Inoltre, il suo personaggio rappresenta l’atteggiamento limitante degli umani nei confronti degli AutoRev.

Fin da subito infatti Pino è trattata dalla sua famiglia adottiva più come una serva che come la figlia tanto desiderata, al punto che la madre, Samantha, cerca di liberarsi di lei alla prima occasione.

La donna non permette quindi neanche alla figlia di esprimersi e mostrare il suo potenziale, limitandola ancora una volta al mero oggetto-usa-getta che vive solamente in funzione dell’umano – rappresentando, in scala minore, il rapporto fra umano e Proxy.

Pino AutoRev Ergo Proxy

Questo elemento è particolarmente evidente nella puntata Sorriso di bambina (19).

La città di Smile Land è una palese parodia di Disneyland, in cui gli AutoRev sono proprio oggetti, giocattoli, che vengono creati ed utilizzati unicamente per rendere felice il loro Dio – Will B. Good – per evitare l’estinzione della comunità.

Questi sono anche facilmente eliminati o emarginati quando non sono più utili alla loro funzione, in un panorama di totale finzione, smascherato proprio dal sorriso sincero di Pino, diverso da quello di tutti gli altri…

In ultimo, Pino si rivela un tassello fondamentale per il futuro della Terra.

Nell’ultima puntata scopriamo infatti che l’ultimo desiderio che Raul Creed aveva affidato a Kristeva era quello di proteggere quella che ormai non considerava più semplicemente un surrogato, ma la sua vera figlia.

Questa volontà potrebbe rappresentare il primo passo verso una conciliazione fra umano e macchina, creando un rapporto che non sia finalizzato solo alla supremazia dell’uno verso l’altro, ma piuttosto alla creazione di una pacifica convivenza di reciproco guadagno.


Dedalus Ergo Proxy

Deadalus è in un certo senso un burattinaio nell’ombra.

La sua intelligenza straordinaria è stata creata a tavolino per renderlo un alleato di Re-l e parte del Proxy Project, nonostante la situazione gli sfugga progressivamente di mano, rendendolo infine apatico e concentrato solo su sé stesso.

Sulle prime infatti Dedalus mostra un profondo interesse per Re-l, e persino l’aiuta a nascondere la sua finta morte, così che possa continuare a perseguire la sua raison d’être – riportare Vincent a Romdo.

Dedalus può quindi essere letto come una rappresentazione in piccolo del destino dell’umanità che ha lasciato la Terra, e che tanto arrogantemente ha creato un mondo solo per sé stesso e finalizzato unicamente alla distruzione e alla rinascita dell’umano.

Come infatti l’umano ha creato degli dei difettosi, nascondendogli il loro vero fine, allo stesso modo il suo personaggio nasconde costantemente informazioni fondamentali a Re-l, col solo risultato che la stessa si allontana sempre di più da lui.

Così Deadalus diventa sempre più geloso e capriccioso, arrivando a creare una sorta di feticcio, una nuova Re-l molto più mansueta e accomodante nei suoi confronti, una nuova divinità che in qualche modo lo veneri.

Questo progetto gli si rivolta infine contro, quando persino Real si allontana da lui, proprio riacquistando la sua identità originaria – Nomad – e cercando di ricongiungersi a Vincent per operare un definitivo distaccamento dall’umano.

Così, come Dedalo guardava il figlio Icaro distruggersi per la sua superbia, così Dedalus osserva sofferente la sua creazione mentre si suicida.


Raul Creed

Ra è il super-uomo.

Per sua natura è un uomo estremamente scaltro ed intelligente, una personalità da leader creata in provetta, arrivando infatti a coprire le più alte cariche della città e a tenere in mano più potere di quanto riesca a gestirne.

Infatti, per la maggior parte della serie Raul è il principale antagonista di Vincent e della sua scoperta del sè, cercando costantemente di incastrarlo, di boicottarlo – con la distruzione nucleare su Mosk in Battaglia senza fine (17) – e infine di distruggerlo.

In questo modo Raul rappresenta l’umano che tenta disperatamente di affrancarsi dal divino, rappresentato non solo dal Proxy stesso che regge la comunità, ma anche dagli stessi che hanno impedito all’umanità creata artificialmente di riprodursi e quindi di continuare a vivere.

Ma il suo si rivela un tentativo del tutto fallimentare proprio perché antagonistico e sostanzialmente distruttivo, pur con una presa di conoscenza finale del personaggio nei confronti di Pino – e quindi dell’altro – che permette infine di gettare una nuova luce sul destino dell’umano.