Women Talking (2022) di Sarah Polley è un dramma storico ispirato ai reali eventi della colonia di Manitoba in Bolivia nel 2011.
A fronte di un budget abbastanza contenuto – 20 milioni di dollari – nonostante l’ottimo riscontro agli Oscar 2023, è stato un tremendo insuccesso commerciale:9 milioni in tutto il mondo.
Di cosa parla Women Talking?
Un gruppo di donne senza nome nella comunità mennonita scopre di essere stato ripetutamente violentato nella notte dagli uomini della colonia.
E ora bisogna scegliere cosa fare…
Vi lascio il trailer per farvi un’idea:
Vale la pena di vedere Women Talking?
Assolutamente sì.
Women Talking è stata davvero una bella sorpresa: un film che può essere considerato quasi un dramma da camera, basato quasi esclusivamente sul serrato dialogo fra le protagoniste, è risultato infine incredibilmente coinvolgente e stimolante.
Lo scambio fra i personaggi è infatti ben calibrato nei toni e negli argomenti, andando a toccare delle tematiche non scontate e muovendosi sempre con grande delicatezza ed eleganza in argomenti per cui era facile scadere nel facile melodramma.
Insomma, da riscoprire.
Antefatto
L’incipit di Women Talking è stato per me piuttosto sorprendente.
Come mi aspettavo quantomeno un primo atto dedicato all’atto scatenante della pellicola, invece lo stesso diventa l’antefatto che si intreccia con la narrazione introduttiva della storia, che vive di poche inquadrature ben scelte.
Infatti del fattaccio intravediamo solamente pochi attimi, frammenti di ricordi delle stesse protagoniste, che evitano abilmente di dare fin troppa enfasi alla violenza in sé, insomma di darla in pasto al pubblico…
…raccontandone principalmente le conseguenze.
E in questa fase si può anche perdonare la principale forzatura della pellicola, che agisce quasi come un what if… della storia reale – al pari del romanzo a cui si ispira – che diventa quasi un pretesto per intavolare un discorso non scontato su violenza, potere e colpe.
Perché le protagoniste hanno in realtà una via più facilmente percorribile…
Perdono
Dio ha molte facce.
Dio è vendicativo, violento e giustiziere, e prende possesso di Salome quando si ribella come una furia all’ordine corrente, andando a ribadire la stessa violenza che ha dovuto subire sui colpevoli, tanto da dover essere trattenuta nel suo slancio omicida.
Ma Dio è anche perdono, ed è quello che viene richiesto alle vittime: lasciarsi alle spalle questi orribili atti e riaccogliere questi uomini che verranno solo sommariamente puniti dalla giustizia terrena, e che potranno così liberamente tornare a avventarsi su di loro.
Quindi le vie percorribili sono due.
Rimanere, rimanere sottomesse e passive a quelli che credevano essere i loro compagni e fratelli, accettare il perdono e mantenere intatta la comunità e i suoi fragili equilibri, unico luogo che conoscono e da cui sono state definite, anche in queste nuove condizioni.
Oppure combattere, prendere in mano armi di fortuna e rispondere alla violenza con una furia che le protagoniste forse nemmeno sospettavano di avere dentro di sé, ma che è un’opzione più volte accarezzata per riuscire finalmente ad autodeterminarsi.
Oppure…
Fuga
Gli uomini possono andarsene?
Le protagoniste si trovano in una situazione del tutto nuova, in cui riscoprono il loro diritto di parola, il potere della stessa, e come questa può essere esercitata non solo contro di loro, ma contro gli uomini stessi.
Per una volta, insomma, queste donne che non avevano portato avanti nemmeno le più minuscole richieste, i più piccoli favori all’interno dell’universo domestico, realizzano il paradosso di intraprendereora una richiesta così importante.
Perché, l’alternativa è scappare.
Questa prospettiva cresce progressivamente all’interno del gruppo, si rincorre nelle parole di queste donne spaventate e senza meta, tenute appositamente nell’ignoranza per depotenziarle…
…ma che al contempo cresce come consapevolezza di essere l’unica via possibile per continuare a vivere, trovandosi ormai in un punto di non ritorno, con una consapevolezza che non possono più ignorare.
E allora, di chi è la colpa?
Colpa
La colpa è di tutti.
Uno dei frangenti più interessanti del dialogo di Women Talking riguarda l’indagine della radice dello stupro, giungendo alla dramma consapevolezza di averne sempre avuto indizi sulla futura violenza sotto i loro occhi, come se la matrice della stessa fosse sempre stata insita nella colonia.
Per questo diventa ancora più importante capire come scrivere diversamente il futuro, come evitare che questa dinamica si ripeta, andando così a porre su un quesito per nulla semplice: quanto possono essere pericolosi i nostri stessi figli che muovono i primi passi verso pubertà?
Ne deriva un ritratto piuttosto sfumato e sorprendente di un’età imprevedibile e turbolenta, che si intreccia con la consapevolezza intergenerazionale di essere state passive davanti ad un dramma che si stava già consumando – e che era solo l’antipasto della violenza che ne è seguita.
E infine non ci rimane altro che vedere queste donne dirigersi verso un orizzonte incerto, senza aver bisogno di sapere altro sul loro futuro e sul loro eventuale fallimento, rinfrancandoci con la visione della loro definitiva autodeterminazione.
The Elephant Man (1980) è il primo film della fase commerciale di David Lynch – aperta e chiusa in pochi anni con Dune (1984).
A fronte di un budget molto piccolo – 5 milioni di dollari, circa 19 oggi – è stato un ottimo successo commerciale: 26 milioni in tutto il mondo (circa 100 oggi).
Di cosa parla The Elephant Man?
Frederick Treves è uno studioso di chirurgia che si trova davanti ad un caso veramente anomalo. Ma quello che sembra solo una bestia…
Vi lascio il trailer per farvi un’idea:
Vale la pena di vedere The Elephant Man?
In generale, sì.
Facendo parte del suo timido approccio al grande pubblico di Lynch, The Elephant Man non offre ovviamente la tipica esperienza della sua filmografia, ridotta a pochi accenni comunque ben pensati, ma che mai farebbero pensare ad uns sua pellicola.
Tuttavia, nel complesso rimane una pellicola godibile, che in tempi non sospetti affronta con rara delicatezza – e, soprattutto, senza una virgola di pietismo – la storia di un moderno Frankenstein da un altro punto di vista.
Insomma, dategli un’occasione.
Nascosto
Una delle idee più indovinate di The Elephant Man è tenere per lungo tempo nascosto il protagonista.
Infatti, quella che potrebbe sembrare la classica tattica di questo tipo di film di tenere nascosto il mostro per accrescere la curiosità morbosa dello spettatore, è invece un modo intelligente e sottile di fare in modo di farci vedere prima la crudeltà che circonda il personaggio…
…così da farci empatizzare con lui per la sua condizione ora di fenomeno da baraccone, quasi una bestia, e poi come corpo che mostrare e umiliare a piacimento per una dimostrazione scientifica, senza mai curarsi dei suoi sentimenti.
E così, pur arrivando alla rivelazione del suo mostruoso aspetto in una modalità molto classica, ci arriviamo anche carichi di una particolare consapevolezza sull‘angoscia ancora inespressa di questa creatura, che proprio per la mancanza apparente di intelletto non può avere alcuna dignità.
Eppure…
Prova
John deve dare prova della sua umanità.
I goffi tentativi del Dottor Treves sono facilmente rivelati come se volesse ammaestrare l’uomo elefante, quasi come una scimmia che non fa altro che imitare il parlato umano, ma senza avere alcun tipo di capacità di elaborare pensieri propri.
E invece molti timidamente infine il protagonista riesce a dimostrare di essere molto più di quello che sembra, di saper decantare interi passi di opere letterarie, che ha segretamente imparato a memoria, e che gli permettono di evadere questa dolorosa condizione.
E nella fase centrale, man mano che John acquisisce il suo nuovo status, il film viaggia sul filo di un pericoloso pietismo, proprio per le struggenti esternazioni del protagonista davanti alla ritrovata e insperata gentilezza nei suoi confronti.
Eppure The Elephant Man rimane sempre solido su questo fronte…
…e per fortuna, considerando l’ultimo atto.
Agguato
Lo stato bestiale è sempre in agguato.
È in agguato nelle parole delle domeniche, le stesse che sulle prime erano inorridite dall’aspetto di John, ma che ora invece si dimostrano concretamente preoccupate davanti alla curiosità morbosa degli ospiti di John…
…per paura che il protagonista possa essere ferito da individui che lo continuano a considerare come un fenomeno fa baraccone.
E quel pericolo è sempre in agguato soprattutto per la presenza del crudele, colpevole di una scena veramente struggente in cui John viene totalmente spogliato della sua ritrovata umanità per diventare una pura bestia da strattonare secondo i desideri del pubblico…
…per poi essere definitivamente rapito per capitalizzare sulla sua pelle, spogliato e rinchiuso in una gabbia, vittima del generale ludibrio, che perlomeno attrae la naturale pietà degli altri freaks, che gli offrono la possibilità di fuggire.
Ma non basta.
Nel finale è fondamentale per il protagonista riuscire finalmente ad autodeterminarsi come uomo, davanti ad una folla pronta ad assaltarlo, accompagnandoci così ad un finale agrodolce, in cui John si abbandona ad un sonno sereno di quel che rimane della sua breve vita.
Nata come progetto indipendente su YouTube dalla sua creatrice, Vivienne Medrano, Hazbin Hotel (2019 – …) è diventato un fenomeno di costume, raccogliendo appassionati in tutti il mondo.
Se sapete già tutto sulla serie, cliccate qui per saltare alla parte spoiler. Se invece per voi è tutto nuovo, continuate a leggere.
Hazbin Hotel Guida Alla visione
Di cosa parla Hazbin Hotel?
Charlie Morningstar è la figlia di Lucifero e Lilith, i due ribelli biblici per eccellenza, impegnata nell’ambizioso progetto di salvare l’Inferno dal totale degrado con il suo Hazbin Hotel.
Ma la strada della redenzione è tutta in salita…
Vale la pena di guardare Hazbin Hotel?
Non posso che dirvi sì, assolutamente.
Hazbin Hotel è la classica serie che sembra mettere una serie di ostacoli apparentemente insormontabili per molti spettatori (io per prima): è un prodotto animato ed è un musical.
Lasciando da parte il pregiudizio sull’animazione – è dichiaratamente un prodotto per adulti – da non amante dei film musicali sono rimasta totalmente conquistata dalla bellezza della storia e delle canzoni.
Infatti quella che potrebbe sembrare l’ennesima riscrittura moderna della mitologia cristiana, è in realtà una profonda riflessione sul classismo odierno e sull’inevitabile conflitto generazionale che lo accompagna.
Oltre a questo, la colonna sonora è ricca di metafore e simbologie piuttosto ricercate, che intessono una narrazione musicale che dialoga fortemente con sé stessa, risultando assolutamente indimenticabile.
Insomma, superate i vostri pregiudizi e dategli una chance.
È necessario vedere il pilot di Hazbin Hotel?
Sì e no.
La serie di Prime ha un atteggiamento piuttosto ambiguo sulla questione: una parte fondamentale della storia – l’origine di Alastor – presente nel pilot è ri-raccontata a metà stagione, in maniera secondo me anche migliore – e dopo aver lasciato ampio respiro al personaggio.
Al contempo, nel pilot sono presenti informazioni abbastanza importanti per comprendere appieno la trama, rispondendo a domande altrimenti insolute – in poche parole, molti dei personaggi presenti all’hotel non si capisce perché e come siano arrivati lì.
Il mio consiglio è di guardarvi la serie su Prime e solo dopo il pilot, così da colmare quei piccoli dubbi che sicuramente vi saranno venuti.
Meglio guardare Hazbin Hotel doppiata o in originale?
Banalmente, entrambi.
La scrittura dei dialoghi di Hazbin Hotel, soprattutto per le canzoni, è particolarmente ostica, in quanto spesso si utilizza un vocabolario piuttosto ricco e ricercato, con diversi giochi di parole sostanzialmente intraducibili in italiano.
Eppure, l’adattamento e il doppiaggio italiano di Hazbin Hotel è indubbiamente uno dei migliori che ho ascoltato in tempi recenti, che ha veramente fatto del suo meglio per rendere tutte le sfumature di significato della serie, anche quando sembrava davvero impossibile.
Insomma, se masticate abbastanza bene l’inglese, vi consiglio di darle una prima occhiata in originale, e poi rivederla in italiano.
Al contrario, se vi sentite più a vostro agio con i prodotti doppiati, è godibilissima anche in italiano, ma vi consiglio di rivedervi almeno le canzoni in inglese, per cogliere alcuni elementi che purtroppo non possono essere resi appieno nell’adattamento.
E Helluva Boss?
Helluva Boss è lo spin off di Hazbin Hotel – anche se tecnicamente sarebbe il contrario, perché questa serie è nata prima – ed è disponibile gratuitamente su YouTube, dove vengono pubblicate periodicamente le nuove puntate.
È una serie molto diversa da Hazbin Hotel per la gestione della storia: si tratta sostanzialmente di puntate autoconclusive con una trama di fondo che viene spalmata su diversi episodi, ricalcando temi già espressi nella serie madre, ma affrontando altri punti di vista altrettanto interessanti.
Inoltre, è un banco di prova molto importante per l’evoluzione evidente della animazione di Vivienne Medrano, che migliora puntata dopo puntata con sperimentazioni sempre più ardite ed affascinanti…
….che spero di trovare anche nel seguito di Hazbin Hotel.
Hazbin Hotel 1×01
Charlie è una luce in una tenebra profondissima.
In questo senso il prologo è ottimamente funzionale a creare un collegamento fra l’antefatto e il presente: i due ribelli, Lilith e Lucifero, sono introdotti e raccontati nel loro splendido sogno rivoluzionario…
…che viene raccolto dalla figlia in un torbidissimo presente, in cui il massacro annunciato è appena avvenuto e in cui Charlie ha appena inaugurato l’ultimo baluardo di speranza in un mondo senza salvezza.
Perché all’Inferno sembra che nessuno voglia salvarsi…
Macchiette
Infatti, già con il primo confronto con Alastor e il suo fallace spot televisivo assistiamo alla drammatica lotta di Charlie contro un panorama che non ha nessuna intenzione di rinnovarsi in positivo, anzi che quasi si bea della sua attuale condizione.
E su questa china si articola tutta la narrazione secondaria dell’hotel nella prima puntata di Hazbin Hotel, che ha più che altro la funzione di fornire una sommaria caratterizzazione dei personaggi, inizialmente ancora molto macchiettistici.
Ognuno di loro sembra infatti rinchiuso in un ruolo che non ha alcuna intenzione di evadere: il barman brontolone – Husk – la star del porno depravata – Angel – e il macchinatore infido – Alastor.
L’unica figura che, come scopriremo meglio successivamente, sembra voler evadere la sua condizione è proprio Vaggie, la cui linea narrativa dell’intera stagione sarà finalizzata ad una redenzione nell’ombra.
Ma la vera protagonista della puntata è, ovviamente, Charlie.
Felice?
Dopo aver nuovamente sbattuto la testa sulla sconfortante realtà del suo hotel, la protagonista scappa letteralmente dallo stesso per abbracciare – e presentarci – il panorama infernale, con una canzone classica da musical, subito messa in discussione direttamente – da Angel e Vaggie – e poi indirettamente – da Adamo.
Ma già solo le comparse della scena mal si adattano allo spirito del brano: come Charlie canta il suo sogno – un giorno felice all’Inferno – che diventerà ilsuo leit motive, i personaggi intorno a lei sono violenti, caotici e persino – per ammissione della stessa protagonista – disgustosi.
Ma non è che il Paradiso sia davvero migliore…
Cazzone
Lasciatasi alle spalle questo panorama angosciante, Charlie può finalmente scontrarsi con il principale villain della serie: Adamo, una riscrittura veramente brillante e irriverente di una figura biblica già di per sé molto ambigua, in questo caso letteralmente un cazzone arrogante e classista.
E infatti tutto il loro incontro si articola nel totale menefreghismo del capo degli Esorcisti, che vuole parlare di tutt’altro – specificatamente di sé stesso – e che concede di fatto pochissimo tempo a Charlie per raccontare il suo progetto pieno di buone intenzioni…
…ma che viene subito fatto a pezzi dalla splendida Hell is forever, che funge sostanzialmente da contraltare di Happy day in Hell: da una canzone costruttiva, speranzosa e quasi ribelle, ad un rigido ribadire dello status quo e del suo totale immobilismo.
Una canzone che insomma ci presenta perfettamente il più grande ostacolo della serie: un sistema granitico e inamovibile, basato sulla convinzione che the rules are black and white, bianco e nero, si è winner or losers, vincenti – beati – o perdenti – dannati, e niente potrà cambiare.
Ne emerge anche un elemento particolarmente angosciate che sottolinea ancora di più come Adamo non vuole per nessun motivo cambiare lo status quo: dietro alla maschera di giustizia divina si nasconde invece il godimento della schiera degli Esorcisti nello sterminare i dannati.
Fine?
Si innesta quindi in climax narrativo in cui Charlie viene sbattuta fuori dalla sua unica possibilità di successo, tornando all’hotel con la coda fra le gambe e non potendo neanche trovare conforto nel lavoro degli altri personaggi, il cui spot viene immediatamente calpestato dalla notizia dello sterminio anticipato.
Ma la rivelazione finale apre le porte ad una possibilità finora mai contemplata: ribattere allo sterminio.
E vincere.
Hazbin Hotel 1×02
La seconda puntata di Hazbin Hotel è, non a caso, la puntata delle seconde occasioni.
La trama si sviluppa in un sistema di scatole cinesi: ricollegandosi alla puntata precedente, Charlie deve ragionare sulla nuova situazione dell’Inferno e su come far funzionare il suo progetto, pur nella metà del tempo.
E così la battuta Ma pensi che si presenteranno alla nostra porta autonomamente? apre effettivamente le porte a Sir Pentious, personaggio apparentemente secondario, ma in realtà già da questa puntata vettore fondamentale della serie.
Ego
Infatti è proprio questo serpentesco villain della domenica a citare per la prima volta i Vees (o le tre V), villain fondamentali della trama, che godono di minuti cruciali di introduzione,anche senza apparire immediatamente in scena.
Infatti non vediamo subito Vox, ma la sua prima apparizione è preceduta da un racconto della classica dinamica della TV spazzatura che ipnotizza il suo pubblico, per poi mostrarlo mentre si bea del suo crescente successo.
La successiva apparizione di Velvette è in questa fase quasi di passaggio, utile solo ad introdurre l’insopportabile isteria di Valentino, che in questo primo frangente sembra davvero solo patetico e sottomesso al volere di Vox…
…ma che ben presto ribalta i ruoli, annunciando maliziosamente al compagno il ritorno del suo nemico, stuzzicandolo con una sottile malvagità che è solo l’antipasto della sua vera natura che esploderà nel quarto episodio.
Parte a questo punto una delle canzoni più belle e complesse della serie, Stayed gone, in cui Vox cerca disperatamente di sottolineare la sua prevaricazione nel panorama infernale, cercando di scalzare il minaccioso ritorno di Alastor.
E la sua fragilità è ben raccontata sia dalle parole del suo nemico – everyday has a new format! – sia dalla messinscena: Vox ha bisogno di sdoppiarsi, moltiplicarsi mille volte in mille ruoli diversi per imporre la propria inconsistente personalità.
Al contrario, Alastor si impone solo grazie alla sua monumentale presenza scenica, per cui la sua voce da sola ha un potere tale da tornare immediatamente ad essere un personaggio di primo piano, umiliando spregiudicatamente il suo nemico.
E la risposta di Vox è ancora più debole.
Crepa
Diventando una pedina nelle mani dei Vees, Sir Pentious è ancora più significativamente vettore della storia: la sua ritrovata bontà, seppur artificiosa, lo mette in diretto confronto – e, di fatto, in competizione – con Angel.
Così, se da una parte vediamo un personaggio compiacente che rende finalmente felice Charlie, dall’altra assistiamo alla prima crepa sulla sfacciata maschera su Angel, che si sente messo da parte – nonostante la colpa, di fatto, fosse tutta sua.
Nondimeno sarebbe fin troppo banale ridurre lo smascheramento di Pentious ad una mera vendetta, ma piuttosto ad un tentativo di Angel rendersi nuovamente utile agli occhi di Charlie, per quanto la stessa sia totalmente persa nel suo sogno di salvezza con la simpatica It starts with sorry.
E se un personaggio sgangherato come Pentious può avere una seconda occasione, allora persino Angel può cominciare a sperare nella sua…
Hazbin Hotel 1×03
Le protagoniste del terzo episodio di Hazbin Hotel sono collegate da un filo invisibile.
La puntata si apre con una presa di posizione di Charlie, che affida ingenuamente a Vaggie la responsabilità di gestire gli importanti esercizi della giornata, dopo aver assistito alla sua tirata piuttosto dura verso Sir Pentious.
Indirettamente così la protagonista vuole dare modo alla compagna di creare effettivamente una connessione con gli ospiti dell’hotel, cominciando con un innocuo test, che però svela immediatamente le discordie presunte o effettive fra gli ospiti.
Infatti se Pentious sottolinea ancora di più il suo vittimismo, rimanendo sorpreso di essere comunque accolto, si ribadisce la totale e imbarazzante follia di Nifty e, soprattutto, si anticipa lo scontro fondamentale fra Husk e Angel dell’episodio successivo
E con una Vaggie che prende il controllo della situazione, vige un pugno di ferro piuttosto crudele, che porta gli ospiti dell’hotel a diventare sostanzialmente compagni d’armi, davanti agli occhi sbigottiti di una Charlie che solo a quel punto si rende conto del peso che ha messo sulle spalle di Vaggie.
E qui si innesta il collegamento definitivo con l’altra protagonista della puntata.
Apparenza
Carmilla è solo apparentemente un crudele overlord.
Onestamente preoccupata per il destino delle anime infernali, cerca di portare un po’ di ordine con la sua riunione degli altri capoccia infernali, ma che viene totalmente rovinata dall’ingombrante presenza di Velvette, qui finalmente grande protagonista.
Infatti la presenza scenica del suo personaggio racconta una profonda arroganza – rappresentativa, per estensione, dei Vees in genere: la miccia che dovrebbe fare scattare la guerra contro il Paradiso è lanciata con grande teatralità sul tavolo…
…lo stesso in cui Velvette si posiziona la maggior parte del tempo.
E così infatti il loro scontro nella splendida Respectless si basa su due visioni distinte del mondo: se per Carmilla i Vees sono degli smug wannabes (intraducibile), senza alcun rispetto per gli altri, che pensando di potersi imporre facilmente nel panorama infernale…
…invece Velvette che ribalta totalmente il suo discorso, rivendicando di essere respectless, irrispettosa, perché lei è la #Bitch…
e, soprattutto, perché sa di aver ragione, sa di aver colpito un nervo scoperto di Carmilla, di aver mostrato il segreto che non vuole rivelare:
E così, da questi due fili che si intrecciano fra Vaggie e Carmilla, si instaura l’ultima canzone.
Proteggere
Per quanto non sia una canzone particolarmente memorabile, Whatever It Takes è significativa per definire i caratteri delle sue protagoniste.
Entrambe infatti sono dilaniate interiormente dal peso del loro passato e delle loro responsabilità presenti: se Carmilla, per quanto ne abbia tutti i mezzi, non vuole andare in guerra contro il Paradiso per non mettere in pericolo le sue figlie…
…invece Vaggie si sente sostanzialmente inutile agli occhi di Charlie, persona che inconsapevolmente l’ha fatta rinascere dalle ceneri del suo disgraziato passato, ma a cui non può ricambiare il favore, ma è disposta a fare tutto il possibile:
E, non a caso, le due si ritroveranno nella settima puntata.
Hazbin Hotel 1×04
Il titolo della puntata è già rivelatorio.
La mascherata infatti comincia fin da subito: mostrando uno dei suoi tanti video erotici, Angel vuole nuovamente sottolineare la sua esplosiva quanto artefatta personalità, basata sul suo essere lascivo oltre ogni controllo, esente da ogni critica.
Eppure, vi è una critica che Angel non può sopportare.
L’essere falso.
Un’illazione che andrebbe del tutto a smontare quella maschera così ben costruita dietro al quale si nasconde, che tutti sembrano aver accettato tranne Husk, l’altro grande protagonista della puntata.
Ma, anche volendo, Angel non può sfuggire a questa realtà.
Dietro le quinte
Tutta la scena successiva costruisce meticolosamente il climax per cui Valentino, finora personaggio quasi buffonesco, che sulle prime sembra solo voler spingere Angel a portare a termine un lavoro di bassa qualità – quindi non così affascinante come lo voleva far passare…
…arriva a reagire in maniera sempre più maligna alla insopportabile intrusione di Charlie, che subito Angel cerca di allontanare dal suo aguzzino, ma che inevitabilmente ne diventa preda…
E così l’incendio è la miccia definitiva: le blande scuse di Charlie diventano gradualmente un sottofondo per lo sguardo di puro terrore di Angel, che pietrificato davanti alla furia ormai inevitabilmente esplosa negli occhi di Valentino.
Così Angel viene forzosamente trascinato dietro le quinte, in quella realtà crudele e che cerca continuamente di nascondere, in quel rapporto abusivo e ricattatorio – e senza scampo…
Ma la facciata deve continuare: Angel deve cacciare Charlie, perché è l’unico modo in cui può difenderla dalle ingiurie di Valentino, dalla trappola di cui si sente l’unico colpevole – e l’unico che deve subirne le conseguenze.
Trappola
Un discorso ancora più angoscinantmente ribadito dalla canzone conclusiva della prima parte della puntata, l’iconica Poison, con cui ci avventuriamo nella personale trappola di Angel.
Infatti tutta la narrazione si basa sul concetto di non poter fare a meno di qualcosa, prima in un senso quasi di piccola colpa perdonabile…
…poi sempre di più in senso di costrizione
…fino alla totale ammissione di essere intrappolato in un incubo senza via d’uscita:
Veleno
Il termine cardine è ovviamente poison, veleno, che riassume chiaramente il senso della canzone.
Una bevanda attraente e desiderabile – indirettamente paragonata allo sperma, quindi al sesso – che invece è pericolosa e mortale, una dipendenza che lo porterà alla inevitabile morte:
E così la vera natura di questa vita sconsiderata è raccontata dal parallelismo interno della canzone, che sia nelle immagini che nel testo ci mostra una realtà che parte dall’essere desiderabile, con Angel che si getta fra un gruppo di amanti su un tappeto di soldi…
…per passare invece ad una scena di sesso per nulla piacevole, ma che Angel deve sopportare, e per cui I’m living diventa inveceI’m wasted:
E, infine, questo ribaldo rimarcare di viverealla giornata diventa invece una maledizione: non avere un futuro, ma poter solamente sopportare questa vita giorno per giorno:
Colpa
Ma perché Angel non vuole farsi aiutare?
Un altro elemento ricorrente all’interno della canzone è questo continuo ribadire che la colpa è unicamente sua, anzi avrebbe dovuto essere più attento e capire a quale pericolo andava incontro…
E, per questo, l’unico modo per sopravvivere è fare quello che gli viene chiesto
…e alienarsi totalmente dal presente, per scomparire dentro ad un sogno che si è rivelato un incubo:
Ed è proprio questo suo rifiutare un aiuto a rendere Angel insopportabile…
Salvare
Nella seconda parte dell’episodio, torniamo all’hotel carichi di una nuova consapevolezza.
Assistiamo ad un Angel ancora più sconsiderato nel nascondere i suoi veri sentimenti, a liquidare il terribile pomeriggio come una cosa da nulla, e così ad avventarsi così su Husk per l’ennesima volta, venendo di nuovo accusato di essere falso e meschino.
E, dopo un furibondo litigio, Husk diventa l’improbabile protettore nell’ombra di Angel, incoraggiato dalla preoccupazione di una Charlie troppo ferita e insicura da mettersi nuovamente in prima linea.
Ma Husk è un testardo, e non può esimersi dall’intervenire quando vede Angel pronto a farsi nuovamente drogar – e e quindi violentare – e tenta di trascinarlo nuovamente lontano da quel mondo tossico e mortale, incoraggiandolo ad abbandonare la recita…
…per portare Angel, finalmente, a confessare il suo tentativo disperato di distruggersi per apparire meno interessante agli occhi di Valentino, così da poter in parte evadere questo incubo di cui è il solo colpevole.
E così, dopo aver confessato che dietro il suo carattere burbero si cela in realtà un animo spezzato da l’ennesimo patto con un demone – Alastor – Husk introduce quella che è personalmente la mia canzone preferita di tutta la serie:Loser, Baby.
Perdente
Nelle prime strofe Husk ribadisce la drammaticità della situazione, utilizzando una serie di immagini piuttosto colorite, fra cui
Creando l’aspettativa per una sorta di consolazione…e invece soprendendoci con una battuta quasi crudele, in cui Husk ribadisce che si, la situazione è uno schifo:
Il concetto è quasi ironicamente ribadito da sempre un’altra serie di paragoni piuttosto creativi
ma ribadendo dopo ogni insulto un concetto fondamentale: non sei solo, facciamo un po’ tutti schifo.
E, dopo le prime rimostranze, Husk riesce ad accompagnare Angel verso questa importante realizzazione, confortandolo in un modo in cui mai si potrebbe aspettare: accentandolo semplicemente per quello che è.
Insieme
Ed è proprio in questo momento che finalmente Angel esplode in un canto vittorioso, in cui rivendica la sua tragica situazione non più con supponenza e fingendo che di trovarsi in una posizione invidiabile, ma semplicemente per quello che è: uno schifo.
E il canto è sempre più rivelatorio e liberatorio: Angel finalmente è onesto con se stesso, con tutte le sue colpe che, però, non sono davvero una vergogna in una realtà dissennata come quella infernale.
Ma, l’importante è non essere soli:
E Angel è ancora più se stesso nel momento in cui fa innamorare definitivamente Husk: non più un passivo alla vita, un millantatore, ma una figura pugnace e in prima linea per combattere e affermarsi…
…con le sue splendide nove braccia e le due mitragliatrici brandizzate.
Accettando infine, un drink non più da solo per dimenticare, ma per aiutarsi nelle comuni sfortune.
Hazbin Hotel 1×05
La quinta puntata di Hazbin Hotel è sostanzialmente un classico per Vivianne Marrano, la creatrice della serie.
Infatti, il tema del conflitto fra padre e figlia ritorna più volte anche in Helluva Boss, ed è sempre basato sull’incomprensione fra i duepersonaggi, che infine riescono inaspettatamente – ed affettuosamente – a ritrovarsi.
In questo caso la preparazione del personaggio di Lucifero partiva già dalla prima puntata, nel breve scambio al telefono di Charlie con il padre, fino a questo momento il convitato di pietra in un gran numero di conversazioni.
E qui finalmente viene svelato il loro turbolento rapporto: un padre assente che, anche prima della separazione da Lilith, era una presenza fuggevole nella vita della figlia, e ancora di più nei sette anni successivi.
Da questo racconto e dalle parole di Nifty – I bet he’s scary – si costruisce un simpatico siparietto in cui vediamo Lucifero per la prima volta di spalle, apparentemente indaffarato in chissà quale congegno infernale…
…per poi rivelarsi invece un insicuro che stava creando la sua ennesima paperella di gomma per combattere la depressione.
Una visione piuttosto straniante, considerando il tipo di personaggio biblico di riferimento, ma che mostra la chiara intenzione di riscriverlo in un’ottica già anticipata dal prologo: un sognatore ribelle, abbattuto dalla sua eccessiva intraprendenza.
Infatti, mettendo insieme i pezzi, appare chiaro come il suo personaggio, a differenza della moglie, si sia sempre più chiuso in se stesso – motivo forse anche della separazione – diventando profondamente insicuro e insoddisfatto…
…soprattutto nei confronti di una figlia con cui non riesce a parlare.
Parata
Per questo il suo arrivo all’hotel non ha davvero niente a che fare con il piano di Charlie, ma è invece un tentativo disperato di riallacciare i rapporti con la figlia, fin da subito ostacolato dall‘ingombrante figura di Alastor.
E proprio per questo Lucifero esplode nella splendida Hell’s greatest dad, un canto di rivendicazione in cui cerca di riempire quella voragine lasciata nella vita di Charlie tramite una serie di promesse piuttosto ardite, quasi ridicole.
Per la prima volta da anni infatti sembra che Lucifero sia tornato in piena forma, pronto a sfoderare tutti i suoi poteri angelici, pronto persino a rompere di nuovo le regole
…in una parata di esternazioni che creano un diretto parallelismo con Stayed Gone: in tutta la sua insicurezza, sia Lucifero che Vox hanno bisogno di moltiplicarsi in mille personaggi diversi per avere una presenza significativa in scena.
E, allo stesso modo, Lucifero viene facilmente scalzato da Alastor, che invece basta da solo per andare a colpire un nervo scoperto, per andare a rimarcare le mancanze del padre di Charlie, prendendone esplicitamente il posto
Guinzaglio
E, di fronte ad una canzone poteva concretamente andare avanti all’infinito, fa capolino in scena un personaggio che, al pari di Pentious in precedenza, è la chiave per il proseguimento della puntata: Mimzy.
Infatti la sua apparizione ci dà finalmente l’occasione per (ri)scoprire il misterioso passato di Alastor – già spiegato, anche se con meno dettagli, nell’episodio pilota – e tratteggiare una figura ancora più inquietante di quanto già non fosse.
Eppure, c’è un altro lato della questione.
Dal veloce scambio con Husk nella scena subito successiva, veniamo alla scoperta di un particolare non da poco:
Una rivelazione improvvisa che dà luogo ad un ventaglio infinito di interpretazioni possibili – Alastor è sottomesso a Lilith, essendo scomparso per lo stesso numero di anni? Oppure fanno entrambi parte di un patto col Paradiso che ancora dobbiamo scoprire?
…che avranno però risposta probabilmente nella seconda stagione.
Ma Mimzy non ha ancora finito il suo compito.
Paura
Lucifero è incapace di affrontare Charlie.
Profondamente deluso dal disastroso risultato della sua ribellione, non riesce a sopportare l’idea che anche il piano della figlia le scoppi in faccia, e per questo o divaga…
…o si rifugia nel comportamento mostruoso di Alastor per giustificare la sua totale disillusione.
E invece per la prima volta Charlie sorprende il padre, andando a ribaltare quella raccapricciante visione del demone della radio che si ciba degli strozzini di Mimzy in una dimostrazione a suo modo di fedeltà e di protezione nei confronti dell’hotel.
E così, finalmente, parte More than anything.
Ancora una volta forse non la canzone più iconica della serie, ma comunque un momento bellissimo di riappacificazione, in cui Charlie (ri)racconta la loro storia dal suo punto di vista, mostrando di aver preso sicuramente la vena combattiva dalla madre…
…ma il desiderio di sognare proprio da Lucifero.
E basta questo, basta che Lucifero finalmente ammetta la sua paura nel perdere Charlie, nel vederla crollare sotto il peso delle regole degli angeli, basta che la protagonista rimarchi il fatto di voler ripercorrere le orme del padre per riuscire finalmente a riunirli sotto un comune destino.
Ovvero, far valere la propria voce in Paradiso.
Hazbin Hotel 1×06
La sesta puntata di Hazbin Hotel è sostanzialmente un ribaltamento dell’incipit.
Charlie è emozionata quasi come bella prima puntata, arrivando ad ingigantire l’importanza di questo momento in maniera totalmente illogica, come ben racconta lo scambio con Vaggie:
E così dopo il siparietto con San Pietro, facciamo finalmente la conoscenza delle grandi protagoniste della puntata.
Ovvero, Sera e la sua giovane allieva, Emily, che è in tutto e per tutto la versione angelica di Charlie, tanto che fa eco all’entusiasmo della protagonista in Welcome to Heaven, prima di essere corretta da Sera:
Apparentemente solamente una gag fine a se stessa, in realtà un indizio piuttosto importante di come lo spirito anti-classista di Charlie non sia un caso isolato…
…ma che ci siano anche personaggi all’interno delle schiere angeliche che abbiano la stessa prospettiva di non dividere il mondo in bianco e nero, fra buoni e cattivi come Adamo e Lute.
Più in generale, Welcome to Heaven è una sorta di ripresa di Happy day in Hell, in cui il Paradiso viene presentato nella sua perfezione e bellezza – anche se è in realtà solamente apparente, come vedremo.
E, con la breve uscita di scena di Charlie, trascinata dall’entusiasmo di Emily nello scoprire ancora di più le bellezze angeliche, scopriamo finalmente l’oscuro segreto di Vaggie, una ex-esorcista pentita, punita per l’inammissibile pietà.
E col ricatto di Adamo l’udienza si fa sempre più spinosa…
Connessione
Le due trame della puntata sono strettamente collegate.
Infatti Angel diventa inconsapevolmente testimone del valore del progetto di Charlie, mettendolo alla prova proprio nel momento di maggior tentazione, in cui neanche gli ammonimenti di Husk riescono a farlo desistere dal ricadere nella dipendenza.
Ma una pillola in più non basta a cambiare un’importante consapevolezza…
Infatti fin da subito quella bontà d’animo da sempre presente nel suo personaggio emerge quando Angel si impegna a proteggere una Nifty ingenuamente incontrollabile, soprattutto quando rischia di essere catturata da Valentino.
Ed è questo il momento del primo colpo di testa del personaggio, che finalmente smette di mentire prima di tutto a se stesso, e anzi dichiara a voce alta tutto il suo disprezzo per Valentino e per i suoi inganni, incassando persino un violento schiaffo.
E forse questa maturazione non vale più di qualunque scelta sbagliata fatta in passato?
Chissà…
Valore
Il palese valore della redenzione di Angel non è abbastanza per farlo arrivare in Paradiso…
…ma nessuno sa il perché.
L’ignoranza degli Angeli verso le regole del loro stesso regno è una zampata piuttosto importante del sottotesto tematico della serie: come le classi sociali più elevate spesso lo sono senza meriti particolari…
…allo stesso modo le scelte sbagliate dei dannati all’Inferno – e, per estensione, degli ultimi sulla Terra – non sono del tutto affibbiabili alle colpe dei singoli, ma piuttosto ai contesti ostili in cui spesso nascono, quasi come se fossero già condannati alla nascita.
Proprio da questa idea così rigida di divisione fra i regni si sviluppa l’ulteriore dialogo fra Sera e Emily, quando la giovane serafina è spiazzata davanti alla pochezza di argomentazioni dell’Angelo e alla sua totale chiusura mentale:
E proprio nelle sue risposte Sera fa indirettamente intendere che ci siano delle motivazioni ulteriori sul perché un’anima entri in Paradiso o meno – solo uno dei tanti segreti che ha tenuto fino a questo momento ad Emily.
Da questo duetto apparentemente pacifico i toni si alzano improvvisamente per comporre il quintetto della splendida You didn’t know, proprio quando Charlie siscaglia contro Sera per la sua ottusità…
…per essere rimbeccata da Lute e Adamo insieme, che ribadiscono sostanzialmente quando detto in Hell is forever.
Ma proprio in questo contesto una parola di troppo da parte di Adamo porta finalmente alla luce la goffa e violenza risposta del Paradiso contro un Inferno che sembra incapace di controllare, portando in maniera inaspettata Emily a rivoltarsi contro la stessa Sera:
…per poi unirsi a Charlie in una asprissima risposta alla ottusa cattiveria di Hell is forever, per tratteggiare un mondo che non è per nulla bianco e nero, buoni e cattivi, ma piuttosto sfortunati e privilegiati:
Una forte presa di posizione che però viene subito scalzata ora da Adamo e Lute, che perfidamente scelgono proprio quel momento per rivelare la vera natura di Veggie, così far crollare su se stessa una Charlie totalmente devastata…
…e dal confronto privato fra Sera e Emily, dove la prima ammonisce la giovane allieva di non rivoltarsi contro il Paradiso se non vuole fare la stessa fine di Lucifero.
Anche se probabilmente la sua storia è appena cominciata…
Hazbin Hotel 1×07
La settima puntata è il classico momento di passaggio.
Trovandosi in un apparente capolinea, Charlie percorre una via alternativa che non avrebbe mai voluto prendere – ben spiegata nel pilot – ovvero di stringere un patto apparentemente molto innocuo con Alastor, che indubbiamente avrà terribili conseguenze in futuro.
A mio modesto modo di vedere, se si accetta la teoria che Alastor abbia un patto con Lilith – e io mi ci ritrovo molto – con ogni probabilità, quando la stessa farà finalmente capolino in scena, chiederà a Charlie di intervenire per spezzare il loro legame.
Ne è indizio anche la battuta in merito nella puntata successiva:
Inizio?
Ma tornando al presente, Charlie e Vaggie subiscono una dovuta separazione, prendendo due strade diverse per affrontare l’inevitabile scontro col Paradiso, entrambe associandosi a personaggi dalla dubbia moralità…
La trama dedicata a Cannibal Town l’ho sempre trovata un pochino improvvisata, come se la serie non sapesse dove sbattere la testa per chiudere velocemente la stagione, nonostante nel complesso possa servire essere un punto di partenza per l’evoluzione di Charlie.
Infatti il fine ultimo della protagonista è di sapere raccogliere intorno a sé abbastanza personaggi che siano effettivamente convinti e coinvolti con la sua idea, e qui deve proprio mettersi alla prova nel suo momento di massima debolezza.
Ma per una volta, basta veramente una canzone per convincere i cannibali ad unirsi a lei, pur con delle motivazioni non proprio innocenti, anzi si può proprio dire che Charlie li colpisca alla pancia nei loro istinti primordiali.
Ma gli istinti sono la matrice di questa puntata.
Motivazione
Vaggie ha bisogno di cambiare punto di vista.
Per quanto semplicistica, l’affermazione di Carmilla ha del vero quando suggerisce all’ex-esorcista di cambiare il suo modo di combattere: non più per odio e sete di sangue, ma per proteggere chi ama.
Allo stesso modo, particolarmente azzeccata la strategia che utilizza contro gli Angeli, da sempre raccontati come fin troppo alteri e sicuri di se stessi, tanto da lasciare il fianco scoperto a qualunque inaspettato contrattacco.
Con Out for love si arriva quindi ad una danza conciliativa, che conduce alla riconciliazione anche fra Charlie e Vecchie, con la protagonista ormai convinta delle buone intenzioni di una persona da cui pensava invece di essere stata tradita.
Altrettanto simpatica e devo dire molto meno gratuita di quanto mi sembrasse all’inizio l’entusiastica partecipazione dei personaggi rimasti all’Hazbin Hotel, che decidono tutto sommato di non odiarsi più come all’inizio e di voler difendere un luogo che finalmente sentono come la loro casa.
E allora che giustizia sia fatta.
Hazbin Hotel 1×08
L’ultima puntata di Habzin Hotel è la più ambiziosa e pericolosa.
La creatrice della serie arrivava da un’esperienza di puntate principalmente autoconclusive con Helluva Boss, e infatti si era mossa con qualche difficoltà nel dover costruire una storia unitaria.
Tuttavia bisogna riconoscere il finale funziona complessivamente bene per quello che vuole raccontare: la ritrovata coesione degli ospiti dell’hotel, già anticipata nella precedente puntata.
Particolarmente gustosi in questo senso i diversi siparietti singoli, dalle risate isteriche di Nifty e Alastor, allo sguardo sognante di Angel mentre guarda Husk, dalla mezza confessione di Pentious a Cherry fino alla reprise più agrodolce di Whatever it takes fra Charlie e Vaggie.
Sconfitta
Il problema più grande della battaglia finita è dover gestire così tanti personaggi in scena…
…e, soprattutto, definirne le abilità.
Insieme alla differenza fra dannati e hellborn, i diversi poteri dei personaggi in scena non sono stati mai chiaramente definiti, e in questo senso appare un certo livello di improvvisazione nel cercare di mantenere una coerenza di fondo.
Tuttavia, la serie riesce nel complesso a muoversi con abbastanza scioltezza fra i diversi personaggi, con particolare focus sullo scontro fra Adamo e Alastor, in cui le scelte artistiche sono particolarmente creative e indovinate.
Ma, davanti al disfatta del demone della radio e al crollo della barriera, si crea una particolare sequenza di eventi concatenati: l’estremo sacrificio di Pentious che da definitivamente infuriare Charlie, che riscopre un po’ all’ultimo i suoi poteri demoniaci e va all’attacco.
Ma la sua furia non basta a battere Adamo, in un climax particolarmente drammatico con il parallelo scontro fra Vaggie e Lute, che solo inizialmente ha come vincitrice la prima, e che porta finalmente all’apparizione di Luciferoin tutta la sua potenza serafina.
E da qui si innesta l’ultimo atto dello scontro.
Vittoria
L’arrivo di Lucifero è determinante.
In uno scambio piuttosto irriverente con Adamo, il grande capo dell’Inferno rimette finalmente al suo posto l’insopportabile leader degli Esorcisti, infine smascherato in tutta la sua inconsistenza…
…per essere definitivamente umiliato dalle divertite pugnalate di Nifty.
Questo ultimo frangente merita un discorso a parte perché è ricchissimo di particolari che possono sfuggire alla prima visione: quando Lucifero pronuncia la sua infelice battuta (I will fuck you invece che I will fuck you up), il sorrisetto di Angel è accompagnato dall‘istintivo sguardo laterale di Husk…
…e, quando Nifty accoltella Adamo, l’unica a non reagire sbigottita è ovviamente una Vaggie particolarmente entusiasta di vedere il suo nemico finalmente sconfitto, e la stessa minuscola inserviente dell’Habzin Hotel è l’unica ad alzare la mano quando Lucifero propone di mangiarsi dei pancake per festeggiare.
E così si arriva alla splendida Finale.
Arrivo
La canzone conclusiva non è solo il punto di arrivo di Habzin Hotel, ma soprattutto del viaggio di Charlie.
Nella primissima puntata – e per gran parte delle successive – la protagonista si trovava totalmente sola nel suo sogno, osteggiata da ogni parte, e qui sembra arrivata ad un apparentemente inevitabile capolinea, in cui tutti i suoi sforzi sono stati inutili:
Ed è proprio in questo momento che è assolutamente determinante l’entrata in scena di Lucifero, finalmente sinceramente convinto del progetto di Charlie, che le ricorda quanto ha fatto finora
e quando ancora ci sia da fare:
Ed è fondamentale che in questo canto consolatorio si uniscano tutti i personaggi in scena, finalmente coesi e volenterosi di fare proprio il sogno di Charlie, che riesce a ricomporsi proprio con questa consapevolezza:
Ma la canzone finale è fondamentale soprattutto per due momenti.
Progetti
A modo loro, nel finale altri due personaggi cantano il loro sogno.
Prima di tutto Vox, spettatore piuttosto entusiasta della disfatta di Alastor, che con delle battute piuttosto brillanti e colorite racconta i suoi ambiziosi progetti per il futuro:
e così Vox racconta tutto il suo egocentrismo, cercando di prendersi tutta la scena, e solo secondariamente includendo anche Valentino e, solo all’ultimo, anche Velvette:
Ma se il demone della televisione pensa che Alastor si sia fatto da parte di sbaglia di grosso: con la sua canzone, il personaggio rifiuta di diventare un martire per i suoi amici:
ribadisce invece il suo piano di evadere il suo patto – con Lilith? – e così tornare nel pieno delle forze:
E così tutti i personaggi si riuniscono in quella che è di fatto una reprise di Happy day in hell, ma questa volta ribadita con forza e convinzione da una Charlie finalmente non più sola.
Ma è solo l’inizio.
Epilogo
I due epiloghi gettano le basi per diversi discorsi di grande interesse.
Anzitutto, l’arrivo di Pentious in Paradiso: fino a quel momento la morte nell’aldilà era una sorta di seconda morte definitiva, su cui si basava tutto il concetto dello Sterminio.
Proprio per questo questa inaspettata apparizione, accolta con grande entusiasmo da Emily e con altrettanto terrore da Sera, ci racconta che le regole sono cambiate – e che, forse, la grande apparizione della prossima stagione sarà lo stesso Creatore?
Allo stesso modo, una Lute furiosa introduce finalmente una Lilith nascosta in un panorama evidentemente angelico, probabilmente parte di un patto con gli Angeli ancora tutto da scoprire, che potenzialmente la renderà la grande villain della prossima stagione.
A meno che un Adamo infernale non faccia capolino…
Match Point (2005) è il primo film strettamente drammatico della carriera di Woody Allen, al tempo considerato anche il suo grande ritorno artistico.
A fronte di un budget abbastanza contenuto – 15 milioni di dollari – fu un ottimo successo commerciale:85 milioni in tutto il mondo.
Di cosa parla Match Point?
Chris è un ex campione di tennis che sbarca il lunario lavorando in un club sportivo come istruttore. Ma la fortuna sarà più dalla sua parte di quanto potrebbe pensare…
Vi lascio il trailer per farvi un’idea:
Vale la pena di vedere Match Point?
Assolutamente sì.
Match Point, insieme al successivo Blue Jasmine (2013), rappresenta un momento interessantissimo della carriera di Woody Allen, che per la prima volta fece uscire di scena il suo personaggio e la sua comicità iconica per provare un nuovo approccio...
…su temi già ampiamente esplorati, ma all’interno di un thriller con una riflessione piuttosto amara sulla fortuna, sul caso, sulle trappole sociali che noi stessi ci creiamo, pur consapevoli di quanto siano causa della nostra infelicità.
Insomma, da riscoprire.
Ricominciare
La ripartenza di Chris sembra senza speranza.
Ormai stufo di una carriera sportiva senza futuro, si rifugia nell’unica alternativa possibile, nonostante la stessa non sia sufficiente né per la sua felicità né per permettersi neanche di vivere in uno squallido monolocale.
Eppure, proprio questa scelta è il punto di partenza per una serie di colpi di fortuna che gli permettono di costruirsi una vita molto più economicamente soddisfacente, grazie al contatto con un ambiente particolarmente propenso ad accoglierlo.
Infatti sia Tom che la sorella Chloe sembrano affetti da una irrisolvibile Sindrome della crocerossina, che li spinge a salvare individui dall’estrazione sociale molto bassa che, per vari motivi, meritano di essere aiutati.
E qui si pone una differenza fondamentale.
Dialogo
Nola e Chris sembrano uguali…
…ma non lo sono.
Fra i due si instaura un dialogo segreto e impercettibile, basato sulla comune consapevolezza di essere la vittima dell’interesse smodato e potenzialmente passeggero di due persone che in realtà non amano davvero…
…e che, soprattutto, sono del tutto ignare del vero peso di essere così incredibilmente fortunati tanto da non avere mai avuto una preoccupazione economica che non possa facilmente essere risolta grazie alla propria posizione sociale.
Così entrambi condividono una bellezza magnetica che si accompagna ad una sostanziale fragilità economica, e che li rende estremamente desiderabili come compagni di vita da sfoggiare all’occasione.
Ma la differenza fondamentale è che Chris si dimostra sempre estremamente accomodante, tanto che cerca il più possibile di non sembrare un approfittatore sociale, al contrario del carattere ben più volubile e molto meno docile di Chole.
Eppure, alla fine Chris è in trappola.
Trappola
Chris dovrebbe essere felice.
Smarcatosi da una condizione economica infelice, riesce a costruirsi una carriera favorevole in un campo piuttosto redditizio, fra l’altro con la sicurezza di potersi anche avventurare in investimenti rischiosi senza dover subire particolari perdite.
Ma non è una fortuna gratuita…
Infatti, la sua situazione lavorativa è del tutto succube al favore della famiglia Hawett, che dipende da un unico fattore: la felicità di Chole, che si concretizza nella sempre più pressante richiesta di costruire una famiglia insieme.
Per questo fin da subito Chris cerca una via di fuga…
Fuga
Chris è artefice della sua distruzione.
Lo è quando accetta di inserirsi in un sistema sempre più claustrofobico, in cui la sua vita personale si intreccia indissolubilmente con la sua carriera lavorativa, tanto che i due elementi non possono esistere indipendentemente.
Proprio per questo sa anche di non poter tirare troppo la corda con Chloe, sa di dover il più possibile assecondare nel suo progetto di vita, rimanendone un mansueto esecutore che non si azzarda quasi mai a lamentarsi.
Al contempo, Chris cerca la sua distruzione nella relazione con Nola, donna che insegue disperatamente in ogni momento della storia, con la quale non solo trova un’affinità sessuale, ma anche intellettuale.
E, nell’esecuzione del suo tradimento, è fin da subito maldestro e disattento, si lascia fin troppe porte aperte per farsi scoprire, fin troppo testimoni del suo segreto, proprio quasi come se volesse che il destino agisse per lui per liberarlo.
Ma la fortuna è fin troppo dalla sua parte.
Chiasso
Con la gravidanza di Nola, Chris si trova davanti ad un bivio.
Svelando il suo segreto alla moglie potrebbe perdere tutto, cadere in disgrazia e mettere un punto alla sua carriera, ma al contempo sarebbe – forse – finalmente felice in una relazione sessuale e affettiva davvero soddisfacente – e, soprattutto, molto meno vincolante.
Ma il protagonista è di fatto incapace di prendere una decisione, e così temporeggia, trova soluzioni alternative e di mezzo, risolvendosi infine a prendere la decisione più codarda possibile.
Ovvero, eliminare il problema Nola, personaggio diventato fin troppo invadente e chiassoso per continuare ad esistere, come ben rappresenta la scena in cui la donna si avventa su di lui nel mezzo della strada, pretendendo una risoluzione immediata.
Ma, ancora, è come se Chris volesse farsi scoprire.
Rete
Il crimine di Chris è quasi una rivendicazione.
Il protagonista è alla disperata ricerca di un briciolo di giustizia in un mondo che sembra regolato unicamente dai capricci dei potenti, senza che questi – e, per estensione, lo stesso Chris – vengano in qualche modo puniti per il loro agire.
Per questo il piano, per quanto ben congegnato per non farlo sembrare un crimine passionale, è pieno di disattenzioni: il diario lasciato come prova, l’agire del tutto casuale nel rovistare nella casa della vittima, la poca attenzione nel liberarsi delle prove…
…in particolare dell’anello della Eastby, che rimbalza sulla ringhiera del Tamigi proprio come la pallina da tennis sulla rete, aprendo una nuova possibilità per la tanto ricercata scoperta della colpevolezza del protagonista.
Ma infine, ancora una volta, la fortuna gli è avversa, chiudendogli l’ultima via di fuga possibile e regalandogli invece la continuazione di una vita perfettamente insostenibile.
Clueless (1995) di Amy Heckerling, noto anche come Ragazze di Beverly Hills, è un cult del genere teen movie.
A fronte di un budget piccolino – 12 milioni di dollari – fu un grande successo commerciale: 88 milioni in tutto il mondo.
Di cosa parla Clueless?
Cher è una ragazza ricca e popolare, ma che usa la sua influenza per aiutare gli altri. Ma la sua ingenuità sarà la sua rovina…
Vi lascio il trailer per farvi un’idea:
Vale la pena di vedere Clueless?
Assolutamente sì.
Clueless rappresenta davvero una perla del genere, anticipando fortemente i tempi con una narrazione dell’adolescenza femminile più collaborativa che vendicativa – come invece si vede in molte occasioni… – e un racconto della sessualità piuttosto dirompente.
Oltretutto, a differenza di film più difficilmente digeribili – per quanto magnifici – come Heathers (1989), è anche un prodotto piacevolissimo da guardare, che comunque non si risparmia in una serie di battute piuttosto sottili e non sempre a portata di adolescente…
Ingenuità
Cher è totalmente ignara della sua condizione.
Intraprendendo fin da subito un intenso dialogo con lo spettatore – ottimo metodo, se ben pensato, per potenziare la narrazione, che sarà poi ripreso anche il Mean girls (2004) – ci racconta già moltissimo del suo personaggio – e della sua totale ingenuità.
Pur godendo di un armadio gigantesco, addirittura di un sistema di matching per gli outfit – una delle scene più iconiche, riprese, fra gli altri, in Barbie (2023) – Cher non è la classica adolescente ricca e viziata come ci si potrebbe aspettare.
Fin dalla prima scena viene infatti svelata la sua – seppur ingenua – buona volontà nell’aiutare gli altri, soprattutto il padre, così immerso nella sua turbolenta professione da non essere capace di prendersi cura di sé stesso.
Ma non è finita qui.
Bivio
Clueless si trova in più momenti davanti ad una serie di bivi.
Cher è un personaggio che fin da subito si distingue dagli altri personaggi femminili dal punto di vista relazionale: genuinamente disgustata dai ragazzi della sua generazione, racconta fra il divertito e l’apprensivo la relazione fra la sua migliore amica, Dionne, e Murray.
E se questo poteva essere un buon momento per far partire la classica divisione fra ragazze buone e cattive…
…e invece Clueless stupisce: non vi è mai un giudizio negativo nei confronti della libertà sessuale delle protagoniste, se non quello che talvolta i personaggi mettono su sé stessi – come quando Donnie dice, quasi con sprezzo, di essere tecnicamente ancora vergine.
E anche la stessa posizione di verginità della protagonista è piuttosto aleatoria…
Buone azioni
Anche durante la classe di dibattito, Cher dimostra la sua deliziosa ingenuità.
La sua posizione sull’immigrazione è una piccola zampata nei confronti della totale cecità della borghesia statunitense nei confronti dei problemi reali del paese, ma anche un ulteriore momento per sottolineare la sostanziale bontà della protagonista.
Infatti, come Cher potrebbe utilizzare la sua posizione per vendicarsi dei brutti voti di Mr. Hall, invece sceglie di prendere il meglio di quanto ha imparato da suo padre e di ammorbidire il carattere burbero del professore, facendolo innamorare.
Così, anche se un motivo assolutamente egoistico, Cher riesce a far ritrovare due persone molto sole.
Ed è solo l’inizio.
Makeover!
Fatta la prima buona azione, Cher non ne può più fare a meno.
Dopo uno sguardo piuttosto ironico sul panorama adolescenziale di Beverly Hills e le sue ragazze ricche, viziate e piene di botulino, viene introdotta la preda perfetta, la totale outsider che la protagonista può prendere sotto la sua ala per una nuova buona azione.
Qui Clueless raccoglie particolarmente l’eredità del romanzo da cui si ispira – Emma di Jane Austen – con un arguto parallelismo fra la società iper-classista della Regency e il panorama sociale non meno spinoso dell’alta società californiana.
Per questo, Tai è la via del risveglio.
Cher cerca fin da subito di catturare la sua nuova amica nel complesso sistema della scuola, partendo dal più classico momento di passaggio – il makeover – che viene però totalmente stravolto, riducendolo – al pari di tutte le indicazioni di Cher – in una mania senza significato.
Ed infatti è piuttosto interessante che fin da subito Tai tende a sottrarsi ai tentativi di Cher di incasellarla, prima di tutto negando la sua verginità – elemento estremamente raro in un personaggio di questo tipo – e interessandosi ad un ragazzo che Cher considera inadeguato.
Ma l’alternativa non è migliore…
Voltafaccia
Il piano di Cher è un disastro.
Proprio come una matchmaker d’altri tempi, la protagonista trova subito il candidato perfetto che Tai può usare come accessorio per riuscire ad imporsi definitivamente con la sua rinnovata immagine e posizione.
E se i tentativi nel complesso sembrano portare nella direzione giusta, con un Elton che si dimostra interessato ad avvicinarsi alla ragazza, infine scoppiano come bolle di sapone quando il personaggio rivela tutta la sua arroganza e classismo, cercando di saltare addosso a Cher.
E così, la caccia ha di nuovo inizio…
…aprendo la sezione che io personalmente considero più geniale della pellicola.
Seduzione
Per quanto ingenua, Cher è molto più furba di quanto potrebbe apparire.
Appena posati gli occhi su Christian, prende subito le redini della seduzione, con tutta l’intenzione di dimostrarsi interessante agli occhi di questo fascinoso ragazzo, in una scena che mima sottilmente l’atto sessuale, come ben rivela la battuta di Mr. Hall:
Tutta la dinamica successiva continua a calcare su questo fine racconto erotico, in cui Cher si rende sempre di più desiderabile e desiderata, in particolare portando l’attenzione sulla sua bocca sempre impegnata:
Ma la realizzazione infine che Christian non potrai mai essere il suo fidanzato – con una rivelazione molto figlia di tempi, ma perlomeno non offensiva nei toni – è il primo passo per la graduale presa di consapevolezza di Cher di non aver mai avuto il controllo sulla situazione…
…e di aver guardato sempre dalla parte sbagliata.
Insomma, è ora di parlare di Josh.
Realtà
Josh è la chiave di volta per la maturazione della protagonista.
Sulle prime il loro rapporto sembra il classico enemy to lovers, ma è una dinamica abbandonata non appena il personaggio ha modo di mostrare il suo vero carattere: non uno sfaccendato collegiale, ma un ragazzo timido e insicuro, che cerca rifugio in un’altra famiglia…
…e che, come Cher, ha a cuore gli altri: particolarmente dolce e significativo il momento in cui, alla festa con Christian, la protagonista si rende conto che Tai si senta escluso, ma si rassicura quando vede l’intervento di Josh, che la fa meno sentire fuori posto.
E proprio la realizzazione di essere innamorata del suo ex-fratello, apparentemente improvvisa, invece mette un punto molto interessante al personaggio: non la classica protagonista che cerca il vero amore, ma piuttosto una ragazza che sa cosa è meglio per sé, e che vuole accanto una persona che senta vicina.
Allo stesso modo, Clueless getta una nuova luce su tutti i personaggi – e stereotipi che li accompagnano, svelando una realtà molto più complessa e variegata da quella che viene solitamente raccontata in prodotti similari.
Ripley (2024) è una serie TV Netflix ideata da Steven Zaillian, con protagonista Andrew Scott.
Di cosa parla Ripley?
Tom Ripley è un truffatore di New York che ha l’incredibile occasione di diventare amico del rampollo Richard Greenleaf – e di prenderne il posto…
Vi lascio il trailer per farvi un’idea:
Vale la pena di vedere Ripley?
Assolutamente sì.
Ripley è una di quelle perle di Netflix non abbastanza considerate – né pubblicizzate – curata da grandi autori hollywoodiani che scelgono di sporcarsi le mani in una serie TV, creando un prodotto di altissimo livello artistico e di scrittura.
Infatti l’incontro di una regia sublime e sperimentale, la splendida performance di Andrew Scott in uno dei migliori ruoli della sua carriera, unito ad una rappresentazione finalmente non banale dell’Italia, rende questa serie uno dei migliori titoli della stagione.
Occasione
Ripley vive alla giornata.
Un protagonista che non è altro che un piccolo truffatore, che si guadagna da vivere con quella che sembra la sua indole naturale: prendere il posto di qualcun altro, cambiare identità e così riuscire a gabbare il malcapitato di turno.
E l’offerta di Greenleaf è la grande occasione per scoprire una nuova parte, per entrare nelle grazie del giovane Richard e, apparentemente, per riportarlo sui suoi passi, in realtà cominciando fin da subito ad intrecciare un’importante e vantaggiosa amicizia.
Perché la tentazione è troppo forte…
Esterno
Ripley è un osservatore.
Numerose le scene in cui spia la vita di Richard da dietro le quinte, come a studiare la sua prossima, portata in scena dal suo miglior interprete, mentre in quella piccola finestra lontana continua con la sua vita ignaro di tutto.
Richard è infatti un personaggio del tutto innocuo, un dandy viziato che cerca di costruirsi una carriera alle spalle della famiglia, rivelandosi clamorosamente incapace in ogni sua passione – in particolare nei medici risultati artistici.
Come se non bastasse, Richard è una banderuola.
Mancante di una forte identità, Dickie si lascia facilmente trasportare dalla corrente, prima facendosi sedurre dalle lusinghe di Ripley – in particolare la sua presunta onestà – per poi essere rimesso al suo posto dalle insistenze di Marge, che vede un inevitabile contendente in questo nuovo amico.
E questo è il suo più grande errore.
Fuori
Ripley rischia di uscire di scena.
Richard gli concede un viaggio d’addio, una gita in barca per poterlo congedare dalla sua vita nella maniera più cortese possibile, non dicendoglielo neanche direttamente, ma tramite una serie di deboli consigli sull’ampliare la sua esplorazione italiana.
Ma Tom non ci sta.
Dickie diventa la sua prima vittima, la prima persona che il protagonista sceglie di schiacciare con colpi secchi e quasi chirurgici, portando fuori scena il suo personaggio per cominciare a prenderne il posto.
E, allora, è il momento di riscrivere Richard Greenleaf.
Riscrittura
La riscrittura di Dickie è attenta e puntuale.
Tom è consapevole di non poter prendere immediatamente le vesti del personaggio senza conseguenze, in particolare per l’isteria di Marge, e sceglie per questo di alimentare raccontando la più grande paura della donna: un Dickie ormai disinteressato alla sua fidanzata.
Così al telefono Tom si incastona in questa nuova vita creata ad arte di Dickie, che porta le sue passioni semplicemente altrove, lasciandosi alle spalle tutto quello a cui era legato, convincendo Marge che questo nuovo comportamento sia tutta un’idea di Tom.
Ma vi è un personaggio imprevisto.
Impreparato
L’apparizione di Freddie è una wild card.
A differenza di Marge, che si lascia schiacciare dalla sua disperazione, il suo personaggio comprende immediatamente le intenzioni di Ripley, non lasciandosi confondere dall’apparente confusione della proprietaria di casa, ma invece facendone tesoro per smascherare il falso Dickie.
Così la sua uccisione è improvvisa, mal calcolata, e tutto il piano per coprire le sue tracce lo rende visibile a non pochi testimoni, di cui paradossalmente i più utili sono quelli che non possono parlare: il gatto Lucio e le statue della Città Eterna, che spiano le improvvisate malefatte del protagonista.
Ma, come Freddie esce di scena, un altro personaggio minaccia la posizione di Ripley…
Maschera
L’austero ispettore Ravini è l’ultima grande minaccia di Ripley.
Nonostante il detective si dimostri piuttosto acuto e perseverante, nonostante prenda brutalmente il suo posto nella vita e nel salotto del protagonista – occupando tutto lo spazio possibile – si lascia anche facilmente gabbare dalla trama caotica e imprevedibile di Ripley.
E così, per quanto il protagonista cerchi il più possibile di fuggire le accuse di omicidio, per quanto cerchi di scappare dalle grinfie dell’instancabile ispettore, la pesantezza dei sospetti contro Dickie è troppo pressante per essere ignorata.
Per questo, è ora di cambiare maschera.
Nuovo
Nel finale, Ripley intraprende una tortuosa via che lo porta ad essere molti personaggi diversi.
In primo luogo, torna ad essere il vecchio e innocuo Tom, che conferma la convinzione di Marge sul cambio di passo del suo ex fidanzato, che ormai ha lasciato sia Roma che i suoi amici, per imbarcarsi alla volta dell’Africa e far perdere le sue tracce.
Infine, per consolidare la sua posizione, il protagonista crea ad arte un suo alter ego che unisce il mito di Caravaggio e le sue opere colme di ombre artistiche – e morali – al personaggio insospettabile di Tom Ripley, ormai diventato una figura di punta della Venezia da bene.
Infine, un nuovo cambio.
L’ultima maschera è un misterioso commerciante d’arte, che riesce a prendere sulle spalle tutto quello che Ripley ammirava di Dickie, ma nascondendosi dietro ad un nuovo nome, che lo rende ancora più sfuggente e introvabile.
E, allora, Ravini sarà infine capace di smascherarlo?
Death Parade (2015) di Yuzuru Tachikawa è serie TV un anime di genere drammatico e fantastico.
Trasmessa in Giappone nei primi mesi del 2015, è arrivata in Italia tramite la web TV Dynit.
Di cosa parla Death Parade?
In un aldilà immaginario, i defunti sono sottoposti a dei giochi apparentemente innocui, in realtà mortali…
Vi lascio il trailer per farvi un’idea:
Vale la pena di vedere Death Parade?
Assolutamente sì.
Death Parade è un ottimo esempio di serie TV anime che riesce a coniugare al suo interno un ottimo equilibrio di temi e di tagli narrativi, passando dai frangenti più drammatici, thriller e quasi orrorifici, fino a momenti invece più spiccatamente comici e leggeri.
Oltretutto nella serie vengono affrontati una grande varietà di concetti filosofici piuttosto fondamentali, come il valore della vita e la volubilità dell’animo umano davanti alle situazioni più spiccatamente stressanti e stringenti.
Insomma, da vedere.
Introduzione
L’introduzione di Death Parade viaggia su due binari.
La primissima puntata – Death Seven Darts – introduce il più semplice degli scenari, per farci mettere il primo piede dentro la porta della serie: una coppia idilliaca di sposi si trova a scontrarsi in un gara apparentemente molto innocua di freccette.
Invece, già qui assistiamo alla prima escalation emotiva dei protagonisti: colpiti nei punti più sensibili, progressivamente si risveglia in loro la memoria delle ombre del loro rapporto, che li porta a scagliarsi gli uni contro gli altri in maniera sempre più feroce.
Poi si cambia prospettiva.
La scena è riproposta dal dietro le quinte, dal punto di vista ancora molto ingenuo di Chiyuki, una giudice apparentemente molto improvvisata ed ingenua e che rimane sconvolta davanti alla crudeltà del gioco, e alla freddezza del giudizio…
…che, fin da subito, si rivela fallace.
Eterno
Il destino dell’umano è duplice.
Superando la banalizzazione del destino infernale e paradisiaco, il defunto viene in realtà messo nella condizione di essere scelto per un annullamento totale del suo essere, il vuoto, la caduta eterna dell’anima spogliata di ogni elemento di concretezza e vita…
…oppure per essere salvato e riportato in un altro corpo terreno: anche nelle peggiori condizioni possibili, non ha comunque dato il peggio di sé, ma ha mantenuto nel complesso un comportamento dignitoso e che merita di continuare ad esistere.
Eppure non è così semplice.
Non vivendo le emozioni umane in prima persona, i giudici si illudono che questo test sia il metodo migliore per definire il valore di un’anima umana, proprio perché l’integrità di della stessa deve essere perpetua e inscalfibile neanche dai peggiori stimoli.
Invece, come ben ci racconta il detective nel suo duetto di puntate, è possibile per ogni essere umano dare il peggio di sé se messo nelle giuste condizioni – come dimostra lui stesso: prima un integerrimo poliziotto, infine uno spietato vigilante.
Per questo, la mancanza di empatia è così squalificante.
Emozione
I giudici sono delle bambole.
Dei burattini che vivono nella totale alienazione rispetto all’umano, che non le comprendono le sfumature, ma anche anzi propongono, in particolare Decim nelle sue prime battute, con una freddezza quasi meccanica i death game che definiscono il destino dei loro ospiti.
In questo modo, però, si perdono le infinite sfumature di significato che definiscono la complessità dell’umano, che non può essere giudicato solamente per una piccolissima parte della sua esistenza…
In questo senso, il concetto di empatia si sviluppa su più livelli.
Altro
L’umano è condannato per il suo egoismo.
I giochi mortali di Death Parade sono proprio per questo volti a comprendere quanto il defunto dia valore alla propria sopravvivenza e quanto invece sia disposto ad empatizzare con l’altro, perfino a sacrificarsi per lo stesso.
Un primo accenno di questa dinamica si vede quando Mayu Arita, una ragazzina apparentemente molto sciocca, sceglie di sacrificare la sua vita per il suo idolo, per arrivare a gettarsi nel vuoto pur di ritrovare l’anima di Harada.
Ma, soprattutto, Decim capisce il concetto dell’empatia grazie a Chiyuki.
La ragazza era stata vittima della sua incomunicabilità, del suo essere incapace di esternare le proprie complesse emozioni, lasciando in vita persone che invece avrebbero potuto aiutarla, avrebbero potuto darle un nuovo motivo per vivere.
E quindi il suo grande insegnamento per Decim è il voler tornare in vita non per un proprio egoismo personale di rivivere e annullare la propria autodistruzione, ma piuttosto per colmare quel vuoto che ha lasciato negli altri.
E se un personaggio così austero come Decim riesce ad accennare un timido sorriso, c’è ancora speranza…
Avatar – La leggenda di Aang (2005-2008) di Michael Dante DiMartino e Bryan Konietzko è una serie animata di produzione statunitense, ma con grandi influenze derivanti dal panorama orientale.
In Italia la serie è andata in onda sul canale Nickelodeon fra il 2005 e il 2010.
Se non sapete niente di Avatar – La leggenda di Aang, continuate a leggere. Se invece siete i massimi esperti della serie, cliccate qui.
Avatar – La leggenda di Aang guida alla visione
Piccola guida alla visione se non avete mai visto Avatar – La leggenda di Aang
Di cosa parla la serie
La storia di Avatar – La leggenda di Aang ruota intorno ad un nutrito gruppo di personaggi, di cui i principali sono i due fratelli Sokka e Katara, oltre al giovane Aang.
Quest’ultimo è l’Avatar che si credeva morto da un secolo, destinato a sconfiggere il malefico Signore del Fuoco, Ozai, che prosegue una guerra centenaria per il dominio del mondo.
L’ambientazione
Avatar – La leggenda di Aang è ambientato in un mondo immaginario, popolato da creature fantastiche e dai bender, capaci di piegare i diversi elementi – acqua, aria, fuoco e terra.
Il più potente fra tutti è l’Avatar, creatura leggendaria che si reincarna ogni generazione in una persona diversa, capace di padroneggiare tutti e quattro gli elementi.
La struttura
Avatar: La leggenda di Aang è composta da tre stagioni di circa venti puntate ciascuna, dedicate ognuna ad un elemento – acqua, terra e fuoco – che Aang deve imparare a padroneggiare.
Le puntate sono solitamente autoconclusive, ma sono tendenzialmente tutte collegate alla macrotrama o della stagione o dell’intera serie, con anche delle piccole duologie, trilogie o addirittura quadrilogie di episodi.
Vi è anche una serie sequel, La leggenda di Korra, ambientata circa settant’anni dopo gli eventi della serie principale, con protagonista la nuova incarnazione dell’Avatar, la giovane Korra.
Personalmente non ho mai visto questa serie, in quanto ne ho sempre sentito parlare malissimo…
Perché guardare la serie
La serie si presenta apparentemente come un prodotto pensato per i giovanissimi, ma in realtà racchiude al suo interno diverse tematiche di grande interesse e storieche possono facilmente intrattenere anche un pubblico più maturo.
Più in generale, si tratta di un prodotto con una storia complessiva davvero intrigante, frammentata in piccole vicende, che però ben si uniscono nell’arazzo narrativodella serie.
Insomma, da non perdere!
Avatar – La leggenda di Aang Aang
Aang è il protagonista perfetto.
Sarebbe stato terribilmente ingenuo scegliere come protagonista un Avatar già formato e maturo, già addestrato per sconfiggere il Signore del Fuoco, senza bisogno di un particolare arco evolutivo.
Invece il personaggio di Aang funziona proprio in quanto sembra un ragazzino qualunque, sicuramente con una particolare inclinazione alla dominazione degli elementi, ma anche tormentato da grandi dubbi e insicurezze.
Alienazione
Il primo grande trauma che Aang che deve affrontare è l’alienazione.
Anche dopo aver appreso di essere rimasto in uno stato di ibernazione per un secolo intero, il personaggio fatica in più momenti, particolarmente nella prima stagione, a riuscire ad accettare il nuovo presente.
Un trauma che si nota particolarmente in Il ciclo degli Avatar (1×03) – quando il ragazzino insiste per visitare il suo tempio, per scoprire che tutti gli airbender sono stati sterminati – ma anche in Il Tempio dell’Aria del Nord (1×17).
Questa è infatti una delle poche occasioni in cui Aang si dimostra piuttosto immaturo: nella puntata, davanti ai pesanti cambiamenti che uno dei templi della sua gente ha dovuto subire, si scaglia contro i finti airbendercolpevoli di questo sfregio.
Questo episodio, come anche Bato della Tribù dell’Acqua (1×15) – in cui mente ai suoi amici per non farsi abbandonare – rappresentano le ultime tappe con cui il personaggio riesce a riappacificarsi conun mondo ormai mutato.
Urgenza
Aang vive in un senso di urgenza.
Il protagonista arriva in qualche modo a pagare la sua forzata uscita di scena per un secolo intero dovendo trovare metodi nuovi e spesso imprevedibili per riuscire a diventare un Avatar a tutti gli effetti.
Una corsa ad ostacoli, e di tutti i tipi: si passa dall’allenamento con Katara, che sulle prime si dimostra quasi gelosa della facilità con cui Aang riesce a apprendere la tecnica di water bending in Il dominio dell’acqua (1×09)…
…alla brutalità dell’allenamento di Toph, ragazzina prodigio dell’earth bending, che sceglie la via più dura per insegnargli una tecnica così estranea a quella nativa di Aang in Il dominio della terra (2×09)…
…fino alla grande prova di maturità nel lasciarsi insegnare il fire bending da Zuko, dimostrandosi l’unico personaggio che fin da subito accetta di accoglierlo nel gruppo, proprio per la sua costante tendenza di vedere il buono in tutti.
Crescita
Aang vive un momento di transizione.
Il protagonista proviene da un passato in cui aveva già dovuto crescere troppo in fretta, distinguendosi in pochissimo tempo sia dai suoi compagni, sia dai suoi stessi maestri.
Significativi in questo senso i dolorosi flashback che raccontano come la sua vita cambiò profondamente da quanto gli fu rivelata la sua vera natura prima del tempo, vista la situazione politica di grande emergenza.
Un momento di crescita che si concretizza soprattutto nell’amore nei confronti di Katara, spalmato nel complesso della serie e caratterizzato da diversi momenti di grande angoscia.
L’innamoramento apparentemente non ricambiato e le difficoltà legate alla giovane età trovano il loro coronamento nella piacevolissima puntata Lo spettacolo teatrale (3×17), in cui non solo Aang viene interpretato da una donna, ma la stessa mette in scena sua più grande paura.
Ovvero, essere visto solo come un fratello minore.
Macigno
L’amore per Katara è fondamentale.
Questi primi turbamenti sentimentali infatti non sono un semplice elemento di contorno, ma invece la più importante rappresentazione del profondo legame di Aang con la realtà materiale, da cui fatica a distaccarsi.
Per arrivare infatti ad essere pronto per affrontare il Signore del Fuoco, entrando così nel suo Stato dell’Avatar, il protagonista dovrebbe essere capace di lasciarsi tutti i turbolenti sentimenti terreni alle spalle, così da affrontare lo scontro con un’inedita lucidità mentale.
Ma, come si vede in Il guru (2×19), Aang non è ancora pronto.
Ma, forse, nessun Avatar lo è veramente stato.
Proprio alla vigilia dello scontro finale, il protagonista prova a confrontarsi con le sue precedenti incarnazioni, per riuscire a trovare una via d’uscita da quella che sembra una conclusione inevitabilmente sanguinaria.
E tutti gli ex-Avatar gli raccontano come raramente siano riusciti a lasciarsi alle spalle i loro sentimenti, sia positivi che negativi, per riuscire a portare a termine senza rimpianti la loro missione.
Scelta
Ma Aang sceglie una strada propria.
Nonostante sia stato spinto da ogni parte – dai suoi compagni e dagli Avatar stessi – a uccidere il suo nemico, il protagonista sceglie di mettere la prima pietra del nuovo mondo nel segno della pace, e non dell’ulteriore violenza.
È infatti fondamentale per la maturazione di Aang capire come vuole essere un Avatar, imparando sia dalle esperienze passate dei suoi maestri, ma anche dai loro fondamentali errori.
Memore anche degli insegnamenti dei draghi in I maestri del dominio del fuoco (3×13), che gli hanno svelato la vera natura del fire bending, la grande vittoria di Aang è il riuscire a riconnettersi con le radici del dominio degli elementi.
Così il giovane Avatar sceglie di privare Ozai di un potere che non si meritava, proprio per averlo reso un’arma distruttiva, strappandola dalla sua originaria natura difonte di vita.
Avatar – La leggenda di Aang Katara
Katara si rispecchia perfettamente nel suo elemento.
Infatti, come l’acqua può essere strumento di guarigione e di vita, può anche diventare una forza violenta e imprevedibile.
Radici
Le radici della sua personalità si trovano nel suo passato.
Nata in un contesto politico piuttosto turbolento, in cui la caccia era aperta sia nei confronti degli airbender, sia dei i waterbender come lei, in giovanissima età ha perso uno dei più importanti affetti: la madre, finita sotto al gioco della Nazione del Fuoco proprio per salvarle la vita.
Questo evento, unito alla perdita per molto tempo della figura paterna, ha spinto il personaggio non solo a maturare prima del tempo, ma soprattutto ad assumere un ruolo di grande responsabilità all’interno della sua famiglia.
Unire
Un ruolo che diventa in seguito fondamentale.
A fronte di due personaggi così immaturi – anche se per motivi diversi – come Aang e Sooka, in più momenti l’intervento pacificatore e maturo di Katara risulta spesso indispensabile per la risoluzione di diverse situazioni e conflitti.
Questo elemento si ritrova anche nei suoi poteri curativi – che scopre in Il maestro del dominio del fuoco (1×16) – altrettanto importanti, anzi indispensabili in numerosi momenti della trama – in particolare in Il Regno della Terra è sconfitto (2×20), quando riporta in vita Aang.
Tuttavia, il suo carattere diventa problematico con Toph.
In Il dominio della terra (3×09) – in cui Toph insegna in maniera fin troppo dura a Aang – quanto in La fuggitiva (3×07) – quando la ragazzina diventa protagonista di un sistema di truffe – Katara cerca inutilmente di domarla.
In questa occasione si trova anche a riflettere proprio su questo ruolo materno che ha inevitabilmente assunto all’interno del gruppo, ma che inevitabilmente le sta anche stretto.
E, infatti, Katara è molto più di questo.
Indomabile
Come l’acqua è un elemento di unione, è anche una forza incontrollabile.
E così è anche Katara.
Assumere un ruolo così importante nella sua famiglia, e poi anche nel gruppo, più che una madre l’ha resa una leader difficile da scalzare, tanto da diventare infine una maestra del water bending.
Questa sua forza incontenibile si nota particolarmente in Il maestro del dominio dell’acqua (1×18), quando viene ingiustamente esclusa dall’apprendereil dominio dell’acquada Pakku…
…con cui si scontra direttamente, nonostante non abbia ancora le capacità di fronteggiarlo, nonostante questo metta in discussione l’addestramento di Aang, non volendo per nessuna ragione farsisottomettere da una regola ingiusta.
Tentazione
Nonostante il suo carattere indomito, Katara è anche un personaggio estremamente saggio.
Questa sua maturità si nota in particolare nei momenti in cui viene tentata nell’intraprendere la via più violenta e irrazionale: anzitutto in Il lato oscuro della Luna (3×08), in cui Hama cerca di convincerla a praticare il blood bending.
Infatti, questa donna rappresenta la strada peggiore che il suo personaggio avrebbe potuto intraprendere: lasciarsi divorare dall’odio verso la Nazione del Fuoco, e così vendicarsi nei modi peggiori possibili.
La stessa maturità si trova anche nel rapporto con Zuko.
Se in La trasformazione di Zuko (3×12) Katara rifiuta con rabbia il suo presunto cambiamento, proprio sentendosi tradita e non volendo farsi ulteriormente ingannare da false promesse…
…il loro rappacificamento passa per un’altra tentazione di vendetta: in I predatori meridionali (3×16) il principe le offre la possibilità di vendicarsi del colpevole del suo più importante trauma: la morte della madre.
E invece Katara sceglie di non infierire ciecamente su un uomo che si è già distrutto da solo.
Avatar – La leggenda di Aang Sokka
Sokka è apparentemente solo il comic relief di Avatar: La leggenda di Aang
In realtà, per quanto sia protagonista della maggior parte dei momenti comici della serie, nel corso degli episodi il suo personaggio intraprende un percorso di evoluzione ed autodefinizione.
Limiti
Sokka è un personaggio che inizialmente si definisce per i suoi limiti.
Se per la sorella l’evento più significativo per la sua maturazione è la perdita della madre, per Sokka il più grande trauma è il non aver potuto seguire in guerra il padre perchélimitato dalla sua giovane età.
Eppure questa stessa circostanza gli ha permesso, al pari di Katara, di gettare le basi per la suaevoluzione come leader e stratega, elemento che emergerà sempre più nel corso della serie.
Tuttavia, inizialmente Sokka presenta una mentalità molto limitata.
Avendo vissuto per buona parte della sua vita in una realtà – la sua tribù – sguarnita di guerrieri di ogni tipo – che fossero i soldati del padre o i benders – il personaggio è legato ad un’idea di divisione sociale fra uomo e donna molto stringente.
Una mentalità che viene presto fugata dall’incontro con Suki in Le guerriere di Kyoshi (1×04), quando viene messo al tappeto da un gruppo di femminemolto più abili di lui, a cui sceglie infine di unirsi per migliorare la sua tecnica di combattimento.
Ruolo
Nel proseguire della serie, Sokka vuole sempre più fuggire il ruolo di elemento comico del gruppo.
Trovandosi infatti sempre più circondato da benders di grande abilità, durante la permanenza nella Nazione del Fuoco il ragazzo sceglie infine di diventare anche lui abile in qualcosa: l’arte della spada.
Così, nella splendida L’arte del combattimento (3×04) Sokka si congeda temporaneamente dal gruppo per diventare allievo di un insegnante irreprensibile, ma che infine gli permette di coronare il suo sogno.
Tuttavia, la sua assenza ne sottolinea l’importanza.
Se infatti fino a quel momento Sokka sembrava solamente un simpatico contorno delle avventure dei veri protagonisti della storia, in realtà gli stessi, proprio durante la sua assenza, si rendono conto di quanto il ragazzo sia un elemento chiave del gruppo.
Così, ad un livello più generale, la puntata ci racconta come Avatar: La leggenda di Aang senza Sokka non sarebbe la stessa cosa…
Riconoscimento
Gran parte della maturazione di Sokka passa attraverso il padre.
Il bruciante ricordo di non essere stato coinvolto in una guerra in cui desiderava dimostrare il suo valore, oltre al mancato momento di passaggio della sua tribù – che riesce a rimediarein Bato e la tribù dell’acqua (1×15) – è fonte di grande turbamento per il suo personaggio.
Non è un caso che infatti Sokka conservi gelosamente il boomerang regalatogli dal padre, una sorta di promessa di ricongiungimento futuro.
E in effetti questo ricongiungimento avviene, e nel migliore dei modi: in ogni occasione il padre offre al figlio finalmente l’occasione per dimostrare le sue abilità di stratega e leader…
…nonostante non manchino anche i momenti in cui Sokka si sente in difetto rispetto al genitore – in particolare in L’invasione (3×10), quando il ragazzo si dimostra incapace di incoraggiare le truppe prima della battaglia, e viene sostituito per questo dal padre.
Ma i fatti parlano da sé: gran parte della vittoria nella battaglia conclusiva della serie è dovuta proprio all’abilità strategica di Sokka, che imbastisce un complesso ma azzeccato piano di attacco per sconfiggere la Nazione del Fuoco.
Avatar – La leggenda di Aang Zuko
Zuko è un personaggio in continua lotta contro sé stesso.
Infatti, il suo arco evolutivo è indubbiamente quello più affascinante dell’intera serie.
Dubbio
Le radici del dubbio risiedono nella sua stessa infanzia.
Infatti, Zuko viveva, per così dire, fra due fuochi: da una parte l’aspro trattamento del padre, che non solo prediligeva la sorella, Azula, ma che proprio disprezzava apertamente il suo primogenito, perché non abbastanza degno di essere tale.
D’altra parte, le dolci cure della madre lo spingevano ad assecondare gli istinti buoni che puntellano la sua infanzia e la sua esperienza nella serie in generale: la spinta inevitabile ad aiutare gli altri, a non assecondare la gratuita cattiveria di Azula…
Questa situazione diventa sempre più insopportabile più il dominio del padre sulla sua vita e sulla nazione diventa inarrestabile: non a caso, la presunta morte della madre si accompagna all’ascesa al potere di Ozai, deciso a continuare il centenario progetto della sua famiglia di dominare il mondo.
In questa realtà così violenta e ostile, Zuko non riesce a trovare il suo posto, anzi si stupisce davanti alla continua ed immotivata ferocia dei personaggi che lo circondano, fino ad essere punito, anzi marchiato ed esiliato dallo stesso padre.
Ossessione
Ozai non voleva che Zuko tornasse mai più in patria.
Il Signore del Fuoco era infatti convinto che ormai l’Avatar fosse storia passata, visto il secolo di assenza di questa figura mitologica dalla scena politica, e proprio per questo lo rende il lasciapassare impossibile per il ritorno del figlio in patria.
Tuttavia, Zuko non si arrende.
Lo svilupparsi della sua ossessione e del suo conseguente incattivimento caratterizzano particolarmente il suo personaggio nella prima stagione, quando si dimostra disposto a tutto pur di diventare il salvatore della sua patria.
Un comportamento che viene osservato con una certa preoccupazione dal ben più saggio Iroh, che si dimostra invece del tutto disinteressato al ritorno a quella patria che l’ha derubato del suo unico figlio.
Metamorfosi
La seconda stagione è il primo atto della sua metamorfosi.
Nonostante gli avvertimenti di Iroh, in Potenza e vulnerabilità (2×01) Zuko si getta nelle braccia di Azula, apparente promotrice del suo ritorno in patria, in realtà la sua aguzzina, invitata dal padre stesso per catturare il figlio traditore.
Questo voltafaccia è il passo finale per tagliare – o almeno tentare di farlo – definitivamente i ponti con la Nazione del Fuoco, scegliendo proprio di tagliare il codino che ne raccontava l’appartenenza regale.
Tuttavia, i tentativi di adattamento di Zuko sono ancora una volta ambigui.
Nel suo soggiorno nella Nazione della Terra il ragazzo riesce mal ad adattarsi a questa nuovo stile di vita, pur con qualche timido tentativo – come nella in I racconti di Ba Sing Se (2×15), quando accetta di uscire con Jin.
Tuttavia, la sua ambiguità infine si risolve in una situazione almeno apparentemente positiva, quando in Il lago Laogai (2×17) decide di liberare Appa, ancora una volta lasciandosi guidare dai già citati istinti positivi.
Ritorno
Alla fine della seconda stagione, sembra che Zuko abbia finalmente accettato la strada più giusta.
Un cambiamento ben raccontato nell’acceso confronto con Katara in Il Regno della Terra è sconfitto (2×20), quando la stessa è pronta ad usare la sua fiala di acqua spirituale per curare quella terribile cicatrice che il personaggio deve portarsi addosso.
Al contrario, un cambio di fazione dell’ultimo momento porta infine il principe a tornare nelle braccia accoglienti della sua patria, combattendo al fianco di Azula e così garantendosi il ritorno alla Nazione del Fuococome eroe di guerra.
Tuttavia, è una situazione fragile.
Azula ha malignamente premiato Zuko dandogli il merito di aver ucciso l’Avatar, piuttosto sicura che Aang non sia veramente morto, così da lasciarsi una porta aperta in futuro per riuscire nuovamente ad umiliare il fratello.
In generale, la situazione apparentemente ideale di essere nelle grazie del padre sta sempre più strettaal principe, soprattutto per l’angosciante consapevolezza di aver contribuito a far imprigionare Iroh.
Eppure, è proprio grazie ad Iroh che riesce definitivamente a redimersi.
Identità
La scoperta di essere discendente dell’Avatar Roku getta una luce totalmente nuova sulla personalità di Zuko, che finalmente capisce da dove deriva questa sua tendenza verso il bene, e di come l’amicizia fra lui e Aang non solo sia possibile, ma assolutamente auspicabile.
Per questo in L’eclissi (3×11) sceglie definitivamente di distaccarsi dal padre, anche con una certa violenza, dimostrando di poterlo finalmente contrastare, e dandosi alla fuga alla ricerca dell’Avatar, per diventare il suo maestro di firebending.
Ma ci sono ben due ostacoli nel suo cammino.
Se da una parte Zuko deve lottare con tutte le sue forze per riuscire ad essere credibile come alleato di Aang, dall’altra questa sua nuova propensione verso il Team Avatar sembra aver spento quella furia che lo infiammava e che gli permetteva effettivamente di utilizzare i suoi poteri.
Ma questa apparente mancanza, in I maestri del dominio del fuoco (3×13) è in realtà l’occasione per Zuko per finalmente capire la vera originate dei poteri del fuoco – non distruttivi, ma creativi – proprio dalla saggezza dei più antichi firebender, i draghi.
Coronamento
Il coronamento del suo personaggio si definisce in due momenti delle puntate finali.
Il primo momento significativo è il ricongiungimento con Iroh in Gli antichi maestri (3×19): lo zio non ha la minima esitazione a riaccoglierlo fra le sue braccia, proprio perché profondamente orgoglioso della sua maturazione.
Inoltre, in questa occasione Iroh gli spiega che proprio lui dovrebbe essere il nuovo Signore del Fuoco, avendo dimostrato di sapersi liberare della pesante eredità della sua famiglia, orientandosi invece verso una visione del mondo più pacifica e costruttiva.
Ancora più significativo è lo scontro con Azula.
In Un mondo nuovo (3×21), quando potrebbe approfittarsi dell’accanirsi della sorella su Katara con i fulmini…
…Zuko sceglie invece di farle da scudo umano, dimostrando ancora una volta che i suoi istinti positivi hanno ormai del tutto preso il sopravvento su quel desiderio bruciante di vendetta e rivalsa che lo caratterizzava in passato.
Per questo, in ultimo il nuovo Signore del Fuoco riesce a rimodellare il mondo con un’idea di pace, con a fianco Aang, ricreando in un certo senso quell’amicizia fraterna e prematuramente spezzata fra Roku e il suo bisnonno, Ozin.
Iroh Avatar: La leggenda di Aang
Iroh è un personaggio molto sottovalutato.
Infatti, non solo è una delle figure più interessanti di Avatar: La leggenda di Aang, ma è anche quella che riserva maggiori sorprese.
Diverso
Iroh è figlio di una famiglia violenta.
Discendente dall’iniziatore della guerra – Sozin, suo nonno – e da quello che ha scelto di continuarla – Azulon, il padre – come primogenito ed erede al trono di una famiglia così ambiziosa non poteva fare altro che adattarsi ed ereditarne i costumi.
Eppure, proprio come Zuko, anche Iroh si sente fuori posto.
Il suo percorso di maturazione passa attraverso il riuscire a guardare oltre alla cecità della sua discendenza, concentrata unicamente sul potere del fuoco e sull’espansione politica.
Infatti, fin da giovane Iroh ha viaggiato per il mondo, riuscendo sia ad attingere al vero potere del fuoco tramite gli insegnamenti dei leggendari draghi, sia comprendendo le potenzialità degli altri elementi.
Ma non basta.
Rottura
Il punto di rottura per Iroh è la morte del figlio.
Fiducioso di essere vicino al coronamento della sua carriera politica e militare, il Generale riesce a conquistare Ba Sing Se, ottenendo così un grande successo politico, ma anche una profonda tragedia personale.
Resosi conto di non essere disposto, a differenza del fratello, a rinunciare ai suoi affetti a favore della scalata politica, Iroh comincia a farsi da parte, lasciando fin troppo spazio all’invece piuttosto ambizioso Ozai.
Questa scelta permetterà così al fratello di prendere il suo posto come Signore del Fuoco, e di continuare testardamente il progetto del nonno della conquista del mondo…
…portando Iroh così a cercare quantomeno di salvare dalla follia del padre il giovane Zuko, in cui rivede molto di sé stesso.
Guida
Iroh è molto più di un consigliere per Zuko.
Fin da prima dell’esilio infatti lo zio aveva cercato di essere una guida per il giovane principe, tentando ora di tenerlo lontano dalle ingiuste ire del padre, ora effettivamente di formarlo al dominio del fuoco.
I suoi tentativi sembrano in qualche modo spegnersi quando Zuko viene costretto all’esilio e comincia ad ossessionarsi con la caccia dell’Avatar, perdendo quel poco di innocenza che l’aveva portato ad essere diverso dal resto della sua famiglia.
Ma Iroh non si arrende.
Anche nei momenti più difficili, anche nei frangenti in cui il nipote sembra più ingestibile, lo zio si impegna per stargli accanto, sicuro di poterlo col tempo condurre ad un comportamento più mite, lontano dall’ardente e cieca intraprendenza di Ozai.
Ma raramente Iroh si scompone o sgrida apertamente il nipote: al più si dimostra irreprensibile nelle sue scelte, lasciando persino che Zuko si allontani in più occasioni dalla sua guida, sperando sempre che riesca, col tempo, ad intraprendere la via più giusta per lui.
Sorpresa
Iroh è una continua sorpresa.
Nonostante Zuko sia il primo a sottovalutarne il potenziale – ingannato dall’aspetto apparentemente pigro e bonario dello zio – in più momenti Iroh dimostra di che pasta è fatto: non solo un eccellente firebender, ma soprattutto un personaggio piuttosto astuto.
La sua vera natura è rivelata sia in Il ciclo degli Avatar (1×03) – quando punisce il Comandante Zaho che cercava di prendersela col nipote – sia in Lo spirito della foresta (1×07) – quando riesce ad ingannare i soldati del Regno della Terra che l’avevano catturato.
Ma la sorpresa più grande avviene durante la prigionia.
Se all’apparenza sembra essersi ridotto ad un comportamento umiliante e quasi animalesco, scopriamo in realtà come sia solo una facciata, che riesce perfettamente ad ingannare i suoi aguzzini, mentre può allenarsi in segreto e pianificare la sua fuga.
Infatti, è con grande stupore che Poon in L’eclissi (3×11) racconta come, quando il vecchio generale si è liberato dalla sua prigionia, sembrava di dover far fronte ad un’armata in una persona singola, tale era il suo livello di potere e di tenacia.
Arrivo
La saggezza di Iroh è tanto più evidente nel finale.
Anzitutto, quando sceglie di accogliere senza il minimo dubbio il nipote fra le sue braccia, finalmente felice di vedere come Zuko sia arrivato ad una consapevolezza personale tale da mettersi contro lo stesso Ozai.
E tanto più significativo è il suo punto di arrivo nella conclusione della serie: Iroh può finalmente abbandonare del tutto la scena politica, e dedicarsi a coltivare le sue passioni – il tè e la Pai Sho – all’interno di una vita più semplice e più serena.
Azula Avatar: La leggenda di Aang
Azula è la figlia perfetta della Nazione del Fuoco.
Benché appaia solamente a partire dalla seconda stagione, il suo personaggio è sostanzialmente il villain principale di Avatar: La leggenda di Aang, nonché quello con il maggior minutaggio – molto superiore a quello del vero antagonista, Ozai.
Punizione
Come per Zuko, le radici della personalità di Azula vanno ricercate nella sua infanzia.
Le maggiori interazioni della sua tenera età furono con la madre e il fratello, verso il quale sviluppò una gelosia quasi isterica, vista l’evidente preferenza della genitrice per il Zuko.
Ma Azula sembra proprio andarsi a cercare l’odio.
I continui dispetti diventarono infatti sempre più crudeli e imperdonabili: che fossero dovuti alla sua ricerca di attenzioni da parte della madre, o per una sorta di malvagità innata del personaggio, poco importa.
In ogni caso, Ursa pensava che la figlia fosse un mostro.
E, come viene rivelato in La spiaggia (3×05), questo giudizio così aspro e sofferto accompagnerà Azula per tutta la vita, con il picco drammatico nel suo schizofrenico finale.
Premio
Piuttosto, Azula è da sempre la prediletta del padre.
Come ben si racconta in L’invasione (3×10), fin da quando era piccola appariva evidente, almeno agli occhi di Ozai, che Azula fosse decisamente migliore rispetto al fratello, soprattutto come firebender.
Infatti, in un certo senso, Azula è malignamente contenta della scomparsa della madre, e segue sempre di più le orme di Ozai, finché lo stesso non si arrende definitivamente davanti al poco valore del primogenito.
Ed è solo naturale in questo senso che la principessa emerga definitivamente come la favorita, come il braccio destro del padre, da cui eredita la passione per i sotterfugi e la violenza cieca.
Inganno
La principale arma di Azula è infatti l’inganno.
L’inganno viene utilizzato sia proprio nella sua prima interazione con Zuko in Potenza e vulnerabilità (2×01) – quando tenta di imprigionarlo, incantandolo con false promesse…
…sia, in generale, nelle varie apparizioni nella seconda stagione, particolarmente nel già complesso panorama politico di Ba Sing Se, in cui Azula e le sue compagne si infiltrano travestite da guerriere Kyoshi in Il Re della Terra (2×18).
L’inganno è ancora più sottile e crudele nella terza stagione.
Volendo sempre avere un asso nella manica da poter utilizzare contro il fratello, Azula convince Ozai che Zuko abbia sconfitto l’Avatar, proprio nutrendo il sospetto che Aang non sia affatto morto come tutti credono.
Ulteriore dimostrazione di come il personaggio vivaunicamente in funzione della scalata politica.
Fragilità
E, proprio per questo, Azula è un personaggio estremamente fragile.
Avendo quasi sempre vissuto nel panorama della corte e avendo avuto come unico modello il padre, la principessa ne è diventata una versione in miniatura, incapace del tutto di relazionarsi con i suoi coetanei,se non tramite la violenza.
Questo elemento emerge particolarmente sempre in La spiaggia (3×05), una parentesi narrativa incredibilmente rivelatoria per entrambi i fratelli, i quali si rivelano, una volta di più, come violenti, instabili, incapaci di adattarsi.
Se da parte sua Zuko non riesce a vivere in maniera sana la sua relazione con Mai, allo stesso modo Azula non solo si dimostraeccessivamente competitiva nella partita a pallavolo, ma anche incapace di relazionarsi normalmente durante la festa.
Instabile
La sua instabilità esplode definitivamente nel finale di serie.
Infatti, in Un mondo nuovo (3×21), nonostante abbia raggiunto tutto quello che aveva sempre desiderato – essere l’erede al trono al posto di Zuko – anzi, proprio per questo, Azula perde totalmente il controllo.
E non è un caso che il fantasma che la viene a perseguitare è proprio la madre, che corona la totale follia del personaggio, che l’aveva portata ad esiliare tutti i servitori per paura di essere tradita.
E questo è anche il motivo del suo fallimento.
Zuko sceglie di accettare il duello singolo contro la sorella proprio perché percepisce che ci sia qualcosa fuori posto…
E infatti Azula viene ingabbiata dal potere dell’acqua, mentre disperata e furiosa tenta inutilmente di divincolarsi, sputando fuoco e rabbia, e definendo così la sua definitiva sconfitta.
Avatar – La leggenda di Aang Toph
Come per Iroh, anche Toph è un personaggio basato sull’apparenza.
Infatti, chi direbbe mai che una ragazzina così piccola e indifesa è in realtà una delle più abili maestre dell’earthbending?
Controllo
Toph è nata in una situazione di controllo maniacale.
Sia per la sua discendenza nobiliare, sia soprattutto per la sua condizione di disabilità, che la rende apparentemente bisognosa di cure e di una sorveglianza costante, Toph ha vissuto in una situazione di sostanziale prigionia.
Inoltre, ogni tentativo di confrontarsi con la sua famiglia al riguardo, si conclude inevitabilmente con il fallimento: sia quando impara da sola a rendersi indipendente grazie all’earthbending, e viene per questo nuovamente limitata…
…sia quando, in Il Guru (2×19) viene catturata dai suoi genitori, che persino la imprigionano in una gabbia di ferro, sicuri che in questo modo non possa più fuggire, del tutto incapaci di accettare le incredibili potenzialità della loro unica figlia.
Reazione
Eppure, tutte queste occasioni di conflitto portano ad una scoperta.
Anzitutto per la sua disabilità visiva, per cui apparentemente non è capace di andare in giro da sola, ma che invece le fa scoprire le potenzialità dell’earthbending, riuscendo effettivamente a vedere quello che la circonda.
E così anche in occasione del rapimento dei genitori, quando Toph diventa la prima maestra di una tecnica che fino a quel momento era considerata impossibile: il dominio del metallo.
E, inevitabilmente, Toph diventa padrona dei luoghi più lontani dalla sua condizione di origine.
Non potendo praticare liberamente i propri poteri, Toph sceglie di partecipare a dei tornei dalla dubbia moralità, come si vede in La bandita cieca (2×06) – da cui il nome di battaglia dietro al quale si nasconde.
Così anche in La fuggitiva (3×07), quando, all’interno della moria economica del gruppo, decide di diventare protagonista di un abile sistema di truffe, basato sull’uso indebito dei suoi poteri.
Dura
L’inevitabile indurimento del personaggio le rende difficile la vita di gruppo.
In particolare in due occasioni: anzitutto in L’inseguimento (2×08) quando sceglie d’impulso di lasciare il gruppo perché incapace di integrarsi all’interno dello stesso – e a cui si ricongiunge solo grazie al fortunato incontro con Iroh.
Allo stesso modo, la sua durezza emerge subito dopo in Il dominio della terra (2×09) quando diventa maestra di Aang, che però dimostra diverse difficoltà nel riuscire a dominare un elemento così lontano da quello nativo.
Nonostante tutte queste difficoltà, Toph è un elemento essenziale del gruppo.
Col tempo, soprattutto nella terza stagione, il suo carattere si ammorbidisce e riesce a diventare un membro del Team Avatar davvero essenziale in più occasioni, proprio grazie ai i suoi straordinari poteri.
Al punto che, col tempo, diventa quasi un’alternativa al personaggio di Sokka per il versante comico, anche grazie alle innumerevoli volte in cui gli altri membri del gruppo si dimenticano che è cieca…
Cowboy Bebop (1998-1999) di Shin’ichirō Watanabe è una delle più importanti serie di culto anime, di genere fantascienza-avventura.
La serie andò in onda in Italia solamente a partire dal 1999, su MTV nella fascia serale.
Se non sapete niente di Cowboy Bebop, continuate a leggere. Se invece siete i massimi esperti della serie, cliccate qui.
Cowboy Bebop Guida alla visione
Piccola guida alla visione se non avete mai visto Cowboy Bebop.
Di cosa parla la serie
La storia di Cowboy Bebop ruota intorno ad un quartetto di personaggi principali, che si forma progressivamente durante la serie.
Un gruppo piuttosto variegato ed improbabile, composto da Spike, un ex-criminale con un passato misterioso, Jet, un ex-poliziotto piuttosto burbero, Faye, una giovane donna che soffre di amnesia, ed infine Ed, una ragazzina frizzante e particolarmente intelligente.
A chiudere il gruppo vi è anche Ein, un cane da laboratorio con un’intelligenza fuori dal comune.
Tutti i membri dell’equipaggio del Bebop sono cacciatori di taglie.
La struttura
La serie è composta da 26 episodi che sarebbe riduttivo definire autoconclusivi: si tratta più che altro di avventure singole di caccia alla prossima taglia, ma che spesso si intrecciano col passato dei protagonisti.
A questo si aggiunge anche un film – chiamato anche Cowboy Bebop: Knockin’ on Heaven’s Door – uscito nel 2001, che funge da spin-off, e che cronologicamente si colloca fra l’episodio 22 e 23.
L’ambientazione
Cowboy Bebop è ambientato nel 2071.
Nel 2021 un’esplosione accidentale ha distrutto la superficie della Luna, causando un conseguente cataclisma sulla Terra, che venne così abbandonata per partire alla colonizzazione di altri pianeti del Sistema Solare.
Nell’anno in cui è ambientata la serie ormai la maggior parte della Via Lattea è stata colonizzata, Marte è il nuovo centro dell’universo, e il potere politico e della polizia è insidiato da organizzazioni criminali intergalattiche.
Per questo viene creato un sistema taglie alla Old West, per far gestire la criminalità dirompente ai cacciatori di taglie, denominati cowboy.
Perché guardare Cowboy Bebop
Cowboy Bebop è una serie splendida per diversi motivi.
L’aspetto che mi ha principalmente colpito è la raffinatezza dei suoi episodi, che non sono, come detto, semplici storie autoconclusive, ma esplorazioni del mondo della serie con trame avvincenti e piene di significato.
Infatti, nell’anime non manca anche un sottofondo riflessivo e filosofico, che pervade sostanzialmente ogni puntata, pur ben equilibrato all’interno di una serie che investe molto sul lato comico.
E il film?
La pellicola fu distribuita qualche anno dopo la messa in onda della serie, volendo portare in scena una puntata piuttosto corposa ed intensa, che riassume molti dei concetti e delle dinamiche già affrontati in precedenza.
Un prodotto che vi consiglio di guardare per concludere la visione di un’opera splendida.
Spike Cowboy Bebop
Spike vive in un limbo.
Il suo personaggio sembra aver sempre vissuto alla giornata, immerso, come spesso racconta, in una sorta di sogno, che gli impedisce di vivere e vedere chiaramente il presente, proprio per il peso del passato di cui non riesce a liberarsi.
Questo elemento è ben raccontato dall’occhio artificiale, rimpiazzato dopo un misterioso incidente mentre lavorava per il Red Dragon, con cui ha tagliato drasticamente i ponti anni prima, ma senza veramente riuscire a chiudere quella porta…
Infatti, ci sono poche cose che riescono a risvegliarlo.
Una di queste è sicuramente Julia.
Anche se in passato era uno dei migliori hitman del sindacato, a differenza del compagno, non sembrava veramente interessato a conquistare le vette dell’organizzazione – ed infatti probabilmente il loro antagonismo non scaturì dalle macchinazioni politiche di Vicious.
Piuttosto, la pietra della discordia fu probabilmente la donna amata da entrambi.
Julia è stato il motore che ha permesso a Spike di abbandonare un’esistenza in cui non si riconosceva più, scegliendo invece di cominciare un nuovo capitolo della sua vita, in cui avere davvero qualcosa per cui vivere.
Per questo, la tragicità del rapporto con Julia è proprio quanto i due siano simili.
Come Spike ha scelto di lasciarsi alle spalle l’organizzazione, così la donna non è stata capace di fare una scelta, ricadendo anche lei in un limbo di indecisione – morire o tradire l’amato – che l’ha costretta a vivere da braccata.
Spike Faye Cowboy Bebop
E così anche Spike ha finito per trovarsi in una condizione di mezzo, costantemente alla ricerca della donna che gli permetterebbe di andare avanti, e così insistendo nel rimandare lo scontro decisivo con il suo vecchio nemico.
Per questo il protagonista non vive mai veramente il suo presente, anzi si dimostra spesso distaccato ed annoiato dallo stesso, talvolta persino capriccioso, animandosi di tanto in tanto solo quando qualche missione lo stuzzica veramente.
Il personaggio con cui è più solito a bisticciare è Faye, che cerca più spesso di incasellare come amante di Jet – come si vede in Jupiter Jazz (12) – forse proprio per scacciare il pensiero di un’altra donna che finalmente potrebbe prendere il posto di Julia.
In questo senso, Spike ha un rapporto particolarmente spaccone nei suoi confronti, nonostante la donna cerchi anche di essergli d’aiuto – come quando lo cura in Ballad of Fallen Angels (5) – e nonostante siano entrambi accomunati da un tragico passato.
Spike Jet Cowboy Bebop
Il rapporto con Jet è ancora più contraddittorio.
Infatti, il burbero ex-poliziotto è il personaggio che, fra tutti, meno accetta il comportamento di Spike: se riesce, pur spazientito, a lasciar correre sul suo atteggiamento testardo e impulsivo…
…molto meno sopporta il compagno di avventure quando questo si dimostra del tutto cinico e disinteressato nei confronti del loro rapporto, arrivando più volte a bandirlo dalla sua nave – come nella già citata Jupiter Jazz (12).
In realtà, è tutta apparenza.
Nonostante infatti Spike si racconti come disinteressato e persino infastidito dalle diverse situazioni in cui viene coinvolto e dai personaggi con cui deve convivere, in realtà più volte si dimostra un personaggio dal cuore ben più tenerodi quanto voglia ammettere.
Questo lato del suo carattere si vede particolarmente in Sympathy for the Devil(6) – in cui cerca di salvare un ragazzino che pensa sia stato rapito – e così anche nel pilot, Asteroid Blues (1) – quando appare più preoccupato di aiutare Katerina che di incassare la taglia sulla testa del suo compagno.
Spike Vicious Bebop
Ma il destino di Spike è già scritto.
E forse neanche lui ha mai voluto evitarlo.
Come all’interno di un gioco, come all’interno di un sogno da cui non si è mai svegliato, dopo aver visto la sua donna morirgli fra le braccia – l’unica speranza che aveva di voltare pagina – il protagonista si getta verso il duello tanto rimandato.
Uno scontro che doveva sancire la chiusura di un capitolo, lo scioglimento di una contesa apparentemente eterna…
…ma che si conclude nell’autodistruzione reciproca.
Ma è davvero così?
Puntando una pistola di fantasia verso lo spettatore, Spike ci racconta come tutto questo sia ancora soltanto una farsa, un sogno il cui esito non è ancora scritto, non finché lui non deciderà di smettere di sognare…
Jet Cowboy Bebop
Pur in maniera diversa, anche Jet vive fuori dal tempo.
Un tempo uno dei più spietati investigatori dell’ISSP, tanto da guadagnarsi il soprannome di black dog, il suo personaggio è stato così segnato dagli eventi del suo passato da cambiare radicalmente carattere.
Se prima poteva bearsi di una tranquilla routine basata su poche sicurezze – il suo lavoro e la donna amata – l’abbandono senza spiegazioni di Alisa ha spezzato qualcosadentro al suo animo, portandolo ad aggrapparsi ad un mero oggetto fermo nel tempo…
…che gli possa assicurare che nulla è veramente cambiato.
L’orologio.
Jet Cowboy Bebop
Ma la fine di un’era era inevitabile.
Tradito persino dall’organizzazione per cui aveva assiduamente lavorato – come si vede in Ganymede Elegy (10) – Jet non solo sceglie infine di abbandonare il corrotto sistema di polizia per abbracciare un mestiere paradossalmente più morigerato – il cacciatore di taglie…
…ma porta comunque sempre con sé qualcosa che gli ricordi perché ha preso questa scelta e perché non ritornare sui suoi passi.
Infatti, l’uomo avrebbe potuto benissimo rigenerarsi il braccio grazie alle avveniristiche tecnologie del 2071, e invece ha scelto testardamente e programmaticamente di rimanere sfigurato.
Con il Bebop, in un certo senso, ha creato una nuova routine.
Il più delle volte, anche per via della sua età più avanzata rispetto agli altri personaggi, si comporta come una sorta di padre di famiglia: gestisce i soldi, le prossime taglie, cucina per tutti e sbuffa spazientito davanti all’irragionevolezza prima di Spike, poi di Faye…
…che a tratti sembrano più i suoi figli che i suoi compagni di viaggio.
Jet Faye Spike
Così, anche se in più occasioni cerca di liberarsi di Spike, spazientendosi e convincendo sé stesso di non aver bisogno di lui, in realtà soffre profondamente per la potenziale perdita di quello che in tre anni è diventato un tassello fondamentale della sua neonata famiglia.
Tuttavia, Jet non manca anche di guardarsi brevemente alle spalle….
…riuscendo comunque a chiudere tutte le porte del suo passato.
Il confronto più doloroso è sicuramente quello con Alisa in Ganymede Elegy (10), la quale gli confessa di averlo abbandonato proprio perché non poteva più sopportare di vivere in questa immobilità – anche in questo caso più come una figlia ribelle che come una compagna…
…idea che infine il personaggio accetta con una risataamara, gettandosi letteralmente questa storia alle spalle.
Ancora più significativo è il confronto con Fad in Black Dog Serenade (16), che infine gli offre un motivo ulteriore non guardarsi mai più alle spalle, soprattutto davanti alla totale irragionevolezza con cui l’ex-collega sceglie di affrontarlo – un solo proiettile…
Un altro momento significativo si trova in Boogie Woogie Feng Shui (21), quando Jet ritrova la figlia del suo vecchio amico, con cui cerca di definirsi nel suo nuovo presente, dimostrando di non saper davvero accettare il passare del tempo:
Faye Cowboy Bebop
Faye è un personaggio profondamente solo.
Sulle prime ci si potrebbe facilmente lasciar ingannare dalla sua esuberante apparenza da femme fatale, da donna vanitosa e capricciosa, interessata solamente al proprio aspetto, ai soldi, e soprattutto, a come sperperare gli stessi nei più stupidi vizi.
In realtà, Faye si è lasciata definire dal mondo che la circonda, in cui molto spesso una donna avvenente come lei è vista poco più che come un pezzo di carne – come ben si vede in Jupiter Jazz (12), e così nel film.
Per questo ha imparato ad utilizzare le sue armi seduttive per arricchirsi e levarsi d’impiccio – come si vede in Heavy Metal Queen (7) – in parte cercando disperatamente di sfuggire ai suoi debiti, in parte per sfogare i suoi umori in attività vuote e materiali – come in Speak like a child (18).
Faye Cowboy Bebop
Vivere in un mondo ostile l’ha anche portata ad essere particolarmente diffidente verso il prossimo, tanto da scappare in più occasioni dal Bebop – proprio come Spike, a cui assomiglia molto come carattere, pur per motivi diversi.
Se infatti Spike è alla ricerca del suo passato, Faye cerca di sfuggire il presente.
La sua diffidenza dovrebbe solo aggravarsi quando in My Funny Valentine (15) scopre una parte della verità sul suo passato, più vicino di quanto credesse, ma che gli è stato ancora più celato da dei sordidi approfittatori che l’hanno ingannata…
…ma in realtà questa scoperta la rende ancora più restia a scoprire la sua vera identità.
La sua storia diventa ancora più drammatica quando in Speak like a child (18) vede un’altra sé stessa, una ragazzina frizzante e mansueta che non riconosce, che le racconta la loro storia e, in qualche modo, la invita a riscoprirla.
Una ricerca disperata, che si chiude in Hard Luck Woman (24) con l’amara scoperta di avere alle spalle un passato a pezzi, arrivando mestamente a stendersi in quella che un tempo era la sua casa, ma che ormai non è altro che un cumulo di mute macerie…
La definitiva consapevolezza di Faye dell’esserci avvicinata al suo presente più di quanto credesse avviene nell’ultima puntata, The Real Folk Blues, quando prima minaccia di uccidere Spike se solo osa andarsene a morire…
…ma che infine non può che osservare impotente allontanarsi verso il suo destino, riuscendo solo a sparare un inutile colpo a vuoto.
Ed Cowboy Bebop
Ed è un personaggio in cerca d’autore.
La sua identità sfumata è raccontata già solamente dal suo sesso quasi indefinito – più volte i personaggi si chiedono se è maschio o femmina – sia dalla sua scelta di fabbricarsi un nome assurdo – Edward Edna Wong Hau Pepelu Tivrusky IV…
…creandosi un personaggio così sfuggente da perdersi nella leggenda.
Una ragazzina che all’abbandono del padre ha reagito con il desiderio di esplorare e scoprire il mondo, soprattutto quello digitale, tanto da diventare un genio informatico in tenerissima età.
La bellezza del suo personaggio risiede nel suo essere apparentemente sempre di contorno, in realtà rivelandosi in più momenti essenziale per la narrazione, anzi ben più intelligente dei suoi compagni di viaggio.
Si sprecano infatti gli episodi in cui si scopre che Ed aveva in tasca la soluzione del problema fin dall’inizio – il più emblematico in questo senso è sicuramente Bohemian Rhapsody (14), in cui il ricercato era virtualmente sempre presente sul Bebop.
Ed Cowboy Bebop
Il suo carattere frizzante e totalmente infantile la rende spesso il cómic relief all’interno di situazioni anche piuttosto drammatiche – come quando Jet le lascia i suoi bonsai nel caso non tornasse più in Black Dog Serenade (16).
Nondimeno, Ed non si lascia mai mettere i piedi in testa o ingabbiare, caratteristica piuttosto evidente sia nella sua prima apparizione – Jamming with Edward (9), quando riesce a manovrare il Bebop da remoto per farsi accogliere a bordo…
…sia in due momenti della sua puntata finale, Hard Luck Woman (24).
Infatti, il suo spirito avventuroso e vagabondo viene prima rivelato da Suor Clara – che l’aveva accudita per anni, per poi vederla scomparire senza un chiaro motivo – poi quando Ed si inventa una taglia finta sul padre per riuscire finalmente a ritrovarlo.
Questo suo spirito quasi selvaggio è ben raccontato anche dalle sue scelte di vestiario – i piedi perennemente scalzi – e così anche dal suo atteggiamento quasi bestiale – come quando ringhia contro Faye sempre in Bohemian Rhapsody (14).
Per non parlare del suo il suo metabolismo impossibile – come quando divora in un sol boccone il blob in Toys in the Attic (11)
Infine, per quanto sia diventata un membro fondamentale dell’equipaggio per diverso tempo, rallegrando l’atmosfera con la sua frizzantezza e le rime senza senso, sceglie infine e senza troppi rimpianti di abbandonare il Bebop per ricongiungersi finalmente col padre….
…portandosi dietro l’unico membro della squadra con cui sembrava veramente avere intrecciato una connessione: Ein.
Ergo Proxy (2006) è una serie tv anime di genere fantascientifico-cyberpunk, diretta da Shukō Murase, lo stesso che si occupò poco prima anche di Samurai Champloo(2004).
In Italia è stata distribuita prima in DVD nel corso del 2008, arrivando in tv solo fra il 2011 e il 2012 su Rai 4 in seconda serata.
Se non sapete niente di Ergo Proxy, continuate a leggere. Se invece siete i massimi esperti della serie, cliccate qui.
Ergo Proxy guida
Piccola guida alla visione se non avete mai visto Ergo Proxy.
L’ambientazione
Ergo Proxy è ambientata in un futuro post-apocalittico in cui l’umanità è costretta a vivere in delle comunità controllate e create artificialmente, con una vita scandita da uno stringente consumismo.
All’interno di questa utopia particolarmente distorta, i cittadini sono creati artificialmente e in serie, mentre gli immigrati devono dimostrare di essere distaccati dai loro averi per poter ambire alla cittadinanza.
Insieme agli umani vivono anche dei robot senzienti chiamati AutoReiv.
Di cosa parla la serie
A fronte della diffusione di uno strano virus fra i robot, il cogito, e della fuga del misterioso proxy, Re-l, nipote del nonno – il Reggente della città – comincia ad indagare…
…ma tutte le vie sembrano portare ad un unico personaggio: l’apparentemente innocuo Vincent Law, un immigrato da Mosk, misteriosamente coinvolto in tutti gli incidenti.
La struttura
La serie è articolata in ventitré episodi di circa venti minuti ciascuno.
Inizialmente sembra che gli episodi seguano le indagini e le storie dei protagonisti – la cui risoluzione appare sulle prime anche piuttosto intuitiva – ma più la serie prosegue, più assistiamo a trame fra l’onirico e il simbolico…
Perché guardare Ergo Proxy
Ergo Proxy non è una serie, ma un’esperienza.
Se avete amato prodotti come Serial Experiments Lain (1998) eGhost in the shell (1995), resterete semplicemente stregati da questo prodotto così profondamente filosofico e riflessivo.
Sicuramente non una serie di facile comprensione, ma che vale assolutamente la pena di esperire per scoprire fino a che punto un prodotto televisivo può uscire dai suoi canoni per creare qualcosa di straordinario.
Re-l Ergo Proxy
Re-l rappresenta in nuce il destino dell’umano.
La protagonista non è infatti altro che il prodotto di Romdo – anche più di quanto si renda conto inizialmente – che crea l’umano da una parte per renderlo il perfetto ingranaggio della macchina sociale, dall’altra lo spoglia di ogni abilità materiale perché sia inoffensivo.
Elemento che emerge particolarmente dalle parole di Iggy nella puntata Punti morti concettuali (13) – in cui le dice che è più inetta di quanto creda – e anche nella puntata Calma piatta (16) – in cui il terzetto è costretto ad aspettare per lungo tempo un vento migliore per continuare il viaggio.
In questo frangente Re-l si dimostra ancora di più la figlia perfetta di Romdo, ovvero un umano incapace di vivere autonomamente con delle skills molto basilari – cucinare, pettinarsi, prendersi cura di sé – perché fino ad ora si era del tutto affidata agli AutoRev.
Per questo si dimostra spesso irritabile e capricciosa, un atteggiamento che solo apparentemente sembra uscire dal seminato rigidamente tracciato da Romdo per il suo cittadino perfetto, ma che in realtà è la caratteristica chiave che le permette di attuare la sua raison d’être.
Re-L Meyer
Infatti, Re-l è sempre stata una pedina nelle mani di Romdo e soprattutto del Reggente, che hanno sfruttato e, anzi, indirettamente incoraggiato la sua ribellione: il vero obbiettivo della protagonista non era diventare l’erede della città, ma piuttosto essere artefice della salvezza della stessa.
O, almeno, la salvezza apparente.
Re-l quindi non è altro che una cavia per attirare il Proxy – Vincent – proprio condividendo le cellule di Nomad – l’amore del Proxy One – e portare lo stesso a rivelarsi e a tornare come divinità a capo della città.
In realtà la volontà di Re-l sfugge infine dal controllo di Romdo – al punto che Dedalus finisce per preferire la Real Re-l, ovvero la sua versione angelica – in quanto la protagonista, nella sua ricerca ossessiva dell’identità del Proxy, finisce per definire anche sé stessa.
Infatti sia Re-l che Vincent intraprendono un viaggio cartesiano per la scoperta del sé e, soprattutto, la protagonista vive lo sconvolgimento dell’uscita della caverna di platoniana memoria, scoprendo una realtà molto più variegata rispetto al piccolo mondo in cui ha vissuto finora.
Re-L Meyer
In un certo senso Re-l rappresenta il ricongiungimento dell’umano con il divino – il Proxy – al punto che nella puntata L’occhio sacro nel cielo (20) la coscienza di Vincent Law è totalmente soggetta a quella della protagonista.
Infatti, con la creazione dei Proxy, l’umanità ha acquisito una sorta di status super-umano, riuscendo a ricostruire il divino unicamente per i propri scopi – risanare la terra – tanto da diventare creatore del Dio – Proxy – che infine si ribella contro il suo Creatore – l’Umano.
Vincent Law Proxy
Questa è la domanda che ricorre per la maggior parte della serie.
Vincent Law all’apparenza sembra un mediocre ed innocuo immigrato moscovita, che fa di tutto per riuscire ad integrarsi nella nuova comunità – Romdo – ma incapace di affermarsi con un’identitàpropria.
Non a caso, il suo viaggio è finalizzato alla scoperta del suo essere, all’awakening, che già di per sè avviene quando Vincent apre gli occhi, gli stessi che nelle prime puntate erano – senza che se ne accorgesse neanche – serrati davanti alla realtà che lo circondava.
L’apertura degli occhi corrisponde infatti all’uscita da Romdo – la caverna già citata – e alla sempre più insistente consapevolezza della sua vera identità – o identità altra – che fino alla fine tiene lontano da sé, come una sorta di ombra.
Infatti, la pesantezza della sua altra faccia è tale che fino all’ultimo Vincent si nasconde dietro ad una maschera, per lo stesso motivo per cui in precedenza si era fatto eliminare i ricordi da Nomad.
I Proxy sono delle divinità, ma delle divinità imperfette: su di loro grava la salvezza e il funzionamento di intere comunità – non a caso Romdo va in rovina per l’abbandono del suo Proxy – ma, proprio come le città stesse, essi sono solamente delle realtà temporanee.
Si può dire quindi che siano come degli orologi atti a definire il ritorno degli umani originari sulla Terra, essendo mortalmente sensibili alla luce del sole, finora nascosto dietro alla coltre di nubi dovuta al disastro apocalittico che ha portato all’abbandono del pianeta.
Quando quindi il sole riuscirà finalmente a ricomparire da dietro alle nuvole, il mondo sarà nuovamente abitabile e gli umani potranno tornare su una Terra pronta per loro e, soprattutto, una Terra vuota, grazie alla morte dei Proxy e, di conseguenza, degli umani che controllano.
Questa presa di consapevolezza ha portato One – il primo Proxy creato – prima ad una profonda depressione, poi ad un odio incontenibile verso l’umano, sia per il suo essere solo una pedina del loro piano, sia per l’impossibilità di unirsi a Nomad.
Per questo motivo – e soprattutto dopo la distruzione di Mosk e il rapimento dell’amata – One sceglie di creare la sua seconda identità o ombra– Vincent – per penetrare Romdo, vendicarsi del Reggente e attuare infine il suo piano di rivolta degli AutoRev.
Vincent Law
One infatti riesce ad infettare gli AutoRev con il virus cogito, che rappresenta il risveglio, il soffio vitale che permette alle macchine di non essere solamente macchine – in maniera simile a Ghost in the shell (1995)– ma quasi più umane dell’umano, e riconoscerlo così come Dio.
Infatti la prima reazione degli AutoRev al cogito è inginocchiarsi e rivolgersi al divino – One – consapevoli proprio della presenza di un’entità che gli ha permesso di pensare e quindi di essere.
Re-L Meyer
Ma la coscienza del Proxy va ben oltre il semplice soggettivismo cartesiano.
Se lo stesso permette al Proxy e agli AutoRev di comprendere la loro esistenza e differenza rispetto al resto degli oggetti in-animati, il viaggio di Vincent lo porta ad abbracciare l’inter-soggettivismo kantiano.
Infatti Vincent si scopre come parte del mondo, ma, al contempo, anche osservatore dello stesso, fino ad arrivare ad un esasperato solipsismo, per cui la realtà esiste solamente in sua funzione.
Questo elemento ben si intreccia con la funzione stessa del Proxy come creatore e, di fatto, sorrettore di mondi: ogni comunità da esso creata ha smesso di esistere quando il suo dio l’ha abbandonata o è morto.
Questa presa di consapevolezza finale permette infine a Vincent di ricongiungersi con One e diventare un unico portatore di vita e di morte, capace di rivaleggiare con gli umani che stanno ritornando a popolare la terra.
Nondimeno, la sua esperienza con Re-l e Pino gli ha permesso di carpire la possibilità di un’umanità migliore, non solamente tirannica e distruttiva: una per cui valga la pena di lottare.
Insomma, Cogito Ergo Proxy.
Pinocchio Ergo Proxy
Pino rappresenta la via pacifica del cogito.
A differenza degli altri AutoRev, questa bambina sceglie di vivere la sua vita non in opposizione all’umano, ma all’interno di una ricerca sostanzialmente pacifica e personale del mondo esterno.
Per questo, avendo preso coscienza del sé grazie al virus, passa dall’essere una macchina apatica ed incolore, ad una bambina frizzante e esuberante, che si unisce a Vincent in una sorta di ricerca comune, pur con obbiettivi meno ambiziosi.
Nella più semplice interpretazione, Pino non è altro che Pinocchio: non più burattino, non più macchina, ma un infante quasi veroche cerca di esserlo in tutto e per tutto, anche tramite la imitatio di quello che gli sta intorno – nello specifico di Re-l, come si vede soprattutto in Calma piatta (16).
Inoltre, il suo personaggio rappresenta l’atteggiamento limitantedegli umani nei confronti degli AutoRev.
Fin da subito infatti Pino è trattata dalla sua famiglia adottiva più come una serva che come la figlia tanto desiderata, al punto che la madre, Samantha, cerca di liberarsi di lei alla prima occasione.
La donna non permette quindi neanche alla figlia di esprimersi e mostrare il suo potenziale, limitandola ancora una volta al mero oggetto-usa-getta che vive solamente in funzione dell’umano – rappresentando, in scala minore, il rapporto fra umano e Proxy.
Pino AutoRev Ergo Proxy
Questo elemento è particolarmente evidente nella puntataSorriso di bambina (19).
La città di Smile Land è una palese parodia di Disneyland, in cui gli AutoRev sono proprio oggetti, giocattoli, che vengono creati ed utilizzati unicamente per rendere felice il loro Dio – Will B. Good – per evitare l’estinzione della comunità.
Questi sono anche facilmente eliminati o emarginati quando non sono più utili alla loro funzione, in un panorama di totale finzione, smascherato proprio dal sorriso sincero di Pino, diverso da quello di tutti gli altri…
In ultimo, Pino si rivela un tassello fondamentale per il futuro della Terra.
Nell’ultima puntata scopriamo infatti che l’ultimo desiderio che Raul Creed aveva affidato a Kristeva era quello di proteggere quella che ormai non considerava più semplicemente un surrogato, ma la sua vera figlia.
Questa volontà potrebbe rappresentare il primo passo verso una conciliazione fra umano e macchina, creando un rapporto che non sia finalizzato solo alla supremazia dell’uno verso l’altro, ma piuttosto alla creazione di una pacifica convivenza di reciproco guadagno.
Dedalus Ergo Proxy
Deadalus è in un certo senso un burattinaio nell’ombra.
La sua intelligenza straordinaria è stata creata a tavolino per renderlo un alleato di Re-l e parte del Proxy Project, nonostante la situazione gli sfugga progressivamente di mano, rendendolo infine apatico e concentrato solo su sé stesso.
Sulle prime infatti Dedalus mostra un profondo interesse per Re-l, e persino l’aiuta a nascondere la sua finta morte, così che possa continuare a perseguire la sua raison d’être – riportare Vincent a Romdo.
Dedalus può quindi essere letto come una rappresentazione in piccolo del destino dell’umanità che ha lasciato la Terra, e che tanto arrogantemente ha creato un mondo solo per sé stesso e finalizzato unicamente alla distruzione e alla rinascita dell’umano.
Come infatti l’umano ha creato degli dei difettosi, nascondendogli il loro vero fine, allo stesso modo il suo personaggio nasconde costantemente informazioni fondamentali a Re-l, col solo risultato che la stessa si allontana sempre di più da lui.
Così Deadalus diventa sempre più geloso e capriccioso, arrivando a creare una sorta di feticcio, una nuova Re-l molto più mansueta e accomodante nei suoi confronti, una nuova divinità che in qualche modo lo veneri.
Questo progetto gli si rivolta infine contro, quando persino Real si allontana da lui, proprio riacquistando la sua identità originaria – Nomad – e cercando di ricongiungersi a Vincent per operare un definitivo distaccamento dall’umano.
Così, come Dedalo guardava il figlio Icaro distruggersi per la sua superbia, così Dedalus osserva sofferente la sua creazione mentre si suicida.
Raul Creed
Ra è il super-uomo.
Per sua natura è un uomo estremamente scaltro ed intelligente, una personalità da leader creata in provetta, arrivando infatti a coprire le più alte cariche della città e a tenere in mano più potere di quanto riesca a gestirne.
Infatti, per la maggior parte della serie Raul è il principale antagonista di Vincent e della sua scoperta del sè, cercando costantemente di incastrarlo, di boicottarlo – con la distruzione nucleare su Mosk in Battaglia senza fine (17) – e infine di distruggerlo.
In questo modo Raul rappresenta l’umano che tenta disperatamente di affrancarsi dal divino, rappresentato non solo dal Proxy stesso che regge la comunità, ma anche dagli stessi che hanno impedito all’umanità creata artificialmente di riprodursi e quindi di continuare a vivere.
Ma il suo si rivela un tentativo del tutto fallimentare proprio perché antagonistico e sostanzialmente distruttivo, pur con una presa di conoscenza finale del personaggio nei confronti di Pino – e quindi dell’altro – che permette infine di gettare una nuova luce sul destino dell’umano.