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Ripley – La maschera cangiante

Ripley (2024) è una serie TV Netflix ideata da Steven Zaillian, con protagonista Andrew Scott.

Di cosa parla Ripley?

Tom Ripley è un truffatore di New York che ha l’incredibile occasione di diventare amico del rampollo Richard Greenleaf – e di prenderne il posto…

Vi lascio il trailer per farvi un’idea:

Vale la pena di vedere Ripley?

Andrew Scott in una scena di Ripley (2024) serie tv Netflix

Assolutamente sì.

Ripley è una di quelle perle di Netflix non abbastanza considerate – né pubblicizzate – curata da grandi autori hollywoodiani che scelgono di sporcarsi le mani in una serie TV, creando un prodotto di altissimo livello artistico e di scrittura.

Infatti l’incontro di una regia sublime e sperimentale, la splendida performance di Andrew Scott in uno dei migliori ruoli della sua carriera, unito ad una rappresentazione finalmente non banale dell’Italia, rende questa serie uno dei migliori titoli della stagione.

Occasione

Andrew Scott in una scena di Ripley (2024) serie tv Netflix

Ripley vive alla giornata.

Un protagonista che non è altro che un piccolo truffatore, che si guadagna da vivere con quella che sembra la sua indole naturale: prendere il posto di qualcun altro, cambiare identità e così riuscire a gabbare il malcapitato di turno.

E l’offerta di Greenleaf è la grande occasione per scoprire una nuova parte, per entrare nelle grazie del giovane Richard e, apparentemente, per riportarlo sui suoi passi, in realtà cominciando fin da subito ad intrecciare un’importante e vantaggiosa amicizia.

Perché la tentazione è troppo forte…

Esterno

Johnny Flynn e Dakota Fanning in una scena di Ripley (2024) serie tv Netflix

Ripley è un osservatore.

Numerose le scene in cui spia la vita di Richard da dietro le quinte, come a studiare la sua prossima, portata in scena dal suo miglior interprete, mentre in quella piccola finestra lontana continua con la sua vita ignaro di tutto.

Richard è infatti un personaggio del tutto innocuo, un dandy viziato che cerca di costruirsi una carriera alle spalle della famiglia, rivelandosi clamorosamente incapace in ogni sua passione – in particolare nei medici risultati artistici.

Johnny Flynn e Andrew Scott in una scena di Ripley (2024) serie tv Netflix

Come se non bastasse, Richard è una banderuola.

Mancante di una forte identità, Dickie si lascia facilmente trasportare dalla corrente, prima facendosi sedurre dalle lusinghe di Ripley – in particolare la sua presunta onestà – per poi essere rimesso al suo posto dalle insistenze di Marge, che vede un inevitabile contendente in questo nuovo amico.

E questo è il suo più grande errore.

Fuori

Johnny Flynn e Andrew Scott in una scena di Ripley (2024) serie tv Netflix

Ripley rischia di uscire di scena.

Richard gli concede un viaggio d’addio, una gita in barca per poterlo congedare dalla sua vita nella maniera più cortese possibile, non dicendoglielo neanche direttamente, ma tramite una serie di deboli consigli sull’ampliare la sua esplorazione italiana.

Ma Tom non ci sta.

Dickie diventa la sua prima vittima, la prima persona che il protagonista sceglie di schiacciare con colpi secchi e quasi chirurgici, portando fuori scena il suo personaggio per cominciare a prenderne il posto.

E, allora, è il momento di riscrivere Richard Greenleaf.

Riscrittura

Andrew Scott in una scena di Ripley (2024) serie tv Netflix

La riscrittura di Dickie è attenta e puntuale.

Tom è consapevole di non poter prendere immediatamente le vesti del personaggio senza conseguenze, in particolare per l’isteria di Marge, e sceglie per questo di alimentare raccontando la più grande paura della donna: un Dickie ormai disinteressato alla sua fidanzata.

Andrew Scott in una scena di Ripley (2024) serie tv Netflix

Così al telefono Tom si incastona in questa nuova vita creata ad arte di Dickie, che porta le sue passioni semplicemente altrove, lasciandosi alle spalle tutto quello a cui era legato, convincendo Marge che questo nuovo comportamento sia tutta un’idea di Tom.

Ma vi è un personaggio imprevisto.

Impreparato

Eliot Sumner in una scena di Ripley (2024) serie tv Netflix

L’apparizione di Freddie è una wild card.

A differenza di Marge, che si lascia schiacciare dalla sua disperazione, il suo personaggio comprende immediatamente le intenzioni di Ripley, non lasciandosi confondere dall’apparente confusione della proprietaria di casa, ma invece facendone tesoro per smascherare il falso Dickie.

Così la sua uccisione è improvvisa, mal calcolata, e tutto il piano per coprire le sue tracce lo rende visibile a non pochi testimoni, di cui paradossalmente i più utili sono quelli che non possono parlare: il gatto Lucio e le statue della Città Eterna, che spiano le improvvisate malefatte del protagonista.

Ma, come Freddie esce di scena, un altro personaggio minaccia la posizione di Ripley…

Maschera

Maurizio Lombardi in una scena di Ripley (2024) serie tv Netflix

L’austero ispettore Ravini è l’ultima grande minaccia di Ripley.

Nonostante il detective si dimostri piuttosto acuto e perseverante, nonostante prenda brutalmente il suo posto nella vita e nel salotto del protagonista – occupando tutto lo spazio possibile – si lascia anche facilmente gabbare dalla trama caotica e imprevedibile di Ripley.

Maurizio Lombardi in una scena di Ripley (2024) serie tv Netflix

E così, per quanto il protagonista cerchi il più possibile di fuggire le accuse di omicidio, per quanto cerchi di scappare dalle grinfie dell’instancabile ispettore, la pesantezza dei sospetti contro Dickie è troppo pressante per essere ignorata.

Per questo, è ora di cambiare maschera.

Nuovo

Nel finale, Ripley intraprende una tortuosa via che lo porta ad essere molti personaggi diversi.

In primo luogo, torna ad essere il vecchio e innocuo Tom, che conferma la convinzione di Marge sul cambio di passo del suo ex fidanzato, che ormai ha lasciato sia Roma che i suoi amici, per imbarcarsi alla volta dell’Africa e far perdere le sue tracce.

Infine, per consolidare la sua posizione, il protagonista crea ad arte un suo alter ego che unisce il mito di Caravaggio e le sue opere colme di ombre artistiche – e morali – al personaggio insospettabile di Tom Ripley, ormai diventato una figura di punta della Venezia da bene.

Infine, un nuovo cambio.

L’ultima maschera è un misterioso commerciante d’arte, che riesce a prendere sulle spalle tutto quello che Ripley ammirava di Dickie, ma nascondendosi dietro ad un nuovo nome, che lo rende ancora più sfuggente e introvabile.

E, allora, Ravini sarà infine capace di smascherarlo?

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Death Parade – Il peggiore di noi

Death Parade (2015) di Yuzuru Tachikawa è serie TV un anime di genere drammatico e fantastico.

Trasmessa in Giappone nei primi mesi del 2015, è arrivata in Italia tramite la web TV Dynit.

Di cosa parla Death Parade?

In un aldilà immaginario, i defunti sono sottoposti a dei giochi apparentemente innocui, in realtà mortali…

Vi lascio il trailer per farvi un’idea:

Vale la pena di vedere Death Parade?

Assolutamente sì.

Death Parade è un ottimo esempio di serie TV anime che riesce a coniugare al suo interno un ottimo equilibrio di temi e di tagli narrativi, passando dai frangenti più drammatici, thriller e quasi orrorifici, fino a momenti invece più spiccatamente comici e leggeri. 

Oltretutto nella serie vengono affrontati una grande varietà di concetti filosofici piuttosto fondamentali, come il valore della vita e la volubilità dell’animo umano davanti alle situazioni più spiccatamente stressanti e stringenti.

Insomma, da vedere.

Introduzione

Decim in una scena di Death Parade (2015) di Yuzuru Tachikawa

L’introduzione di Death Parade viaggia su due binari.

La primissima puntata – Death Seven Darts – introduce il più semplice degli scenari, per farci mettere il primo piede dentro la porta della serie: una coppia idilliaca di sposi si trova a scontrarsi in un gara apparentemente molto innocua di freccette.

Invece, già qui assistiamo alla prima escalation emotiva dei protagonisti: colpiti nei punti più sensibili, progressivamente si risveglia in loro la memoria delle ombre del loro rapporto, che li porta a scagliarsi gli uni contro gli altri in maniera sempre più feroce.  

Chiyuki in una scena di Death Parade (2015) di Yuzuru Tachikawa

Poi si cambia prospettiva.

La scena è riproposta dal dietro le quinte, dal punto di vista ancora molto ingenuo di Chiyuki, una giudice apparentemente molto improvvisata ed ingenua e che rimane sconvolta davanti alla crudeltà del gioco, e alla freddezza del giudizio…

…che, fin da subito, si rivela fallace.

Eterno

Decim e Chiyuki in una scena di Death Parade (2015) di Yuzuru Tachikawa

Il destino dell’umano è duplice.

Superando la banalizzazione del destino infernale e paradisiaco, il defunto viene in realtà messo nella condizione di essere scelto per un annullamento totale del suo essere, il vuoto, la caduta eterna dell’anima spogliata di ogni elemento di concretezza e vita

…oppure per essere salvato e riportato in un altro corpo terreno: anche nelle peggiori condizioni possibili, non ha comunque dato il peggio di sé, ma ha mantenuto nel complesso un comportamento dignitoso e che merita di continuare ad esistere.

Eppure non è così semplice.

Tatsumi in una scena di Death Parade (2015) di Yuzuru Tachikawa

Non vivendo le emozioni umane in prima persona, i giudici si illudono che questo test sia il metodo migliore per definire il valore di un’anima umana, proprio perché l’integrità di della stessa deve essere perpetua e inscalfibile neanche dai peggiori stimoli.

Invece, come ben ci racconta il detective nel suo duetto di puntate, è possibile per ogni essere umano dare il peggio di sé se messo nelle giuste condizioni – come dimostra lui stesso: prima un integerrimo poliziotto, infine uno spietato vigilante.

Per questo, la mancanza di empatia è così squalificante.

Emozione

I giudici sono delle bambole.

Dei burattini che vivono nella totale alienazione rispetto all’umano, che non le comprendono le sfumature, ma anche anzi propongono, in particolare Decim nelle sue prime battute, con una freddezza quasi meccanica i death game che definiscono il destino dei loro ospiti.

In questo modo, però, si perdono le infinite sfumature di significato che definiscono la complessità dell’umano, che non può essere giudicato solamente per una piccolissima parte della sua esistenza

In questo senso, il concetto di empatia si sviluppa su più livelli. 

Altro

L’umano è condannato per il suo egoismo.

I giochi mortali di Death Parade sono proprio per questo volti a comprendere quanto il defunto dia valore alla propria sopravvivenza e quanto invece sia disposto ad empatizzare con l’altro, perfino a sacrificarsi per lo stesso.

Un primo accenno di questa dinamica si vede quando Mayu Arita, una ragazzina apparentemente molto sciocca, sceglie di sacrificare la sua vita per il suo idolo, per arrivare a gettarsi nel vuoto pur di ritrovare l’anima di Harada.

Ma, soprattutto, Decim capisce il concetto dell’empatia grazie a Chiyuki.

Decim in una scena di Death Parade (2015) di Yuzuru Tachikawa

La ragazza era stata vittima della sua incomunicabilità, del suo essere incapace di esternare le proprie complesse emozioni, lasciando in vita persone che invece avrebbero potuto aiutarla, avrebbero potuto darle un nuovo motivo per vivere.

E quindi il suo grande insegnamento per Decim è il voler tornare in vita non per un proprio egoismo personale di rivivere e annullare la propria autodistruzione, ma piuttosto per colmare quel vuoto che ha lasciato negli altri.

E se un personaggio così austero come Decim riesce ad accennare un timido sorriso, c’è ancora speranza…

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Time of Eve – Slice of android

Time of Eve (2008-2009) è una serie TV net anime, ovvero creata online e distribuita direttamente in streaming.

Gli episodi sono stato poi riuniti in un film, distribuito nel 2010. Le puntate sono state trasmesse in Italia su MTV poco dopo il suo rilascio in streaming.

Di cosa parla Time of Eve?

In un mondo in cui i robot sono sempre più simili agli umani e per questo sempre più discriminati, esiste un piccolo luogo sicuro e felice…

Vi lascio il trailer per farvi un’idea:

Vale la pena di vedere Time of Eve?

Rikuo Sakisaka e Nagi in una scena di Time of Eve (2008-2009)

In generale, sì.

Ci vado un pochino più cauta nel consigliarvelo perché sulle prime potrebbe sembrare un prodotto molto più vicino alla drammaticità e importanza di Ghost in the Shell (1995) e Ergo Proxy (2006) di quanto non sia realmente.

Infatti Time of Eve, per quanto prenda le mosse da Asimov, si articola in puntate che sono più una sorta di slice of life futuristici, con situazioni sicuramente drammatiche e sofferte, ma dal taglio molto più intimo rispetto ad altri prodotti analoghi

Distinzione

Sammy in una scena di Time of Eve (2008-2009)

Per quanto siamo così avanzati, in Time of Eve i robot sono delle mere macchine.

O, almeno, così sono considerati.

La mancanza di un comportamento più umano deriva non dall’incapacità di attuarlo, ma piuttosto dalla paura di essere ancora di più discriminati e maltrattati dai loro padroni, così profondamente spaventati dalla loro stessa creazione.

Rikuo Sakisaka in una scena di Time of Eve (2008-2009)

Questo elemento si nota già nel personaggio di Sammy, che ci appare inizialmente assolutamente apatica e senza sentimenti, quando in realtà questo comportamento è dovuto da una profonda insicurezza e dalla paura di ferire il prossimo, nello specifico Rikuo.

Ma non è la sola.

Avvicinarsi

A differenza di molti prodotti del genere, l’evoluzione dei robot non è intellettiva, ma affettiva.

Nessun androide, neanche i modelli più vetusto, agisce semplicemente per sottostare alle regole che gli sono state imposte, ma, al contrario, in funzione proprio del voler intrecciare dei rapporti più profondi ed autentici con quello che sarebbe il loro padrone.

Rikuo Sakisaka e Masakazu Masaki in una scena di Time of Eve (2008-2009)

Una dinamica che si nota molto chiaramente sia nella commovente storia di Koji e Rina, in cui l’androide vorrebbe solo capire come amare una donna umana, finendo invece per confermare la possibilità di un rapporto affettivo fra due macchine…

…sia nella struggente quanto umoristica storia di Katoran, che si era amorevolmente occupato del suo bambino, per poi essere invece scaricato come spazzatura per evitare di pagare la sua serena dipartita.

Ma il picco emotivo si raggiunge con l’ultima puntata.

Ferire

Masakazu Masaki in una scena di Time of Eve (2008-2009)

La storia di Masaki è la più triste in assoluto.

Nonostante THX si fosse dimostrato in tempi non sospetti quando genuinamente un robot potesse diventare un care giver per un umano, anzi proprio per questo, era stato indebitamente zittito, causando una profonda ferita nel suo padrone.

La vicenda non è altro che una più concreta dimostrazione di quell’odio piuttosto esplicito degli umani che puntella diversi momenti in sottofondo alla serie, e che racconta la paura quasi primordiale di essere schiacciati dalla sua stessa creazione.

Ma ci sono dei segnali anche positivi.

La risoluzione della vicenda, anche con delle piacevolissime note ironiche, getta uno sguardo su un futuro più positivo e promettente, in cui umani e robot potranno vivere in armonia e come pari, proprio come Time of Eve prospettava.

Ed infatti la scena dopo i titoli di coda svela la misteriosa identità di Nagi, ma permette di comprendere quanto tutta la creazione robotica fosse stata pensata dal suo creatore come estensione all’umano, non un oggetto sottomesso allo stesso.

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Avatar: La leggenda di Aang – Una crescita a tappe

Avatar – La leggenda di Aang (2005-2008) di Michael Dante DiMartino e Bryan Konietzko è una serie animata di produzione statunitense, ma con grandi influenze derivanti dal panorama orientale.

In Italia la serie è andata in onda sul canale Nickelodeon fra il 2005 e il 2010.

Se non sapete niente di Avatar – La leggenda di Aang, continuate a leggere. Se invece siete i massimi esperti della serie, cliccate qui.

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Cowboy Bebop – See you…

Cowboy Bebop (1998-1999) di Shin’ichirō Watanabe è una delle più importanti serie di culto anime, di genere fantascienza-avventura.

La serie andò in onda in Italia solamente a partire dal 1999, su MTV nella fascia serale.

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Ergo Proxy – Cogito

Ergo Proxy (2006) è una serie tv anime di genere fantascientifico-cyberpunk, diretta da Shukō Murase, lo stesso che si occupò poco prima anche di Samurai Champloo (2004).

In Italia è stata distribuita prima in DVD nel corso del 2008, arrivando in tv solo fra il 2011 e il 2012 su Rai 4 in seconda serata.

Se non sapete niente di Ergo Proxy, continuate a leggere. Se invece siete i massimi esperti della serie, cliccate qui.

Ergo Proxy guida

Piccola guida alla visione se non avete mai visto Ergo Proxy.

Romdo in Ergo Proxy (2006) di Shukō Murase

Ergo Proxy è ambientata in un futuro post-apocalittico in cui l’umanità è costretta a vivere in delle comunità controllate e create artificialmente, con una vita scandita da uno stringente consumismo.

All’interno di questa utopia particolarmente distorta, i cittadini sono creati artificialmente e in serie, mentre gli immigrati devono dimostrare di essere distaccati dai loro averi per poter ambire alla cittadinanza.

Insieme agli umani vivono anche dei robot senzienti chiamati AutoReiv.

Re-l e Iggy in Ergo Proxy (2006) di Shukō Murase

A fronte della diffusione di uno strano virus fra i robot, il cogito, e della fuga del misterioso proxy, Re-l, nipote del nonno – il Reggente della città – comincia ad indagare…

…ma tutte le vie sembrano portare ad un unico personaggio: l’apparentemente innocuo Vincent Law, un immigrato da Mosk, misteriosamente coinvolto in tutti gli incidenti.

La serie è articolata in ventitré episodi di circa venti minuti ciascuno.

Inizialmente sembra che gli episodi seguano le indagini e le storie dei protagonisti – la cui risoluzione appare sulle prime anche piuttosto intuitiva – ma più la serie prosegue, più assistiamo a trame fra l’onirico e il simbolico

Re-l in Ergo Proxy (2006) di Shukō Murase

Ergo Proxy non è una serie, ma un’esperienza.

Se avete amato prodotti come Serial Experiments Lain (1998) e Ghost in the shell (1995), resterete semplicemente stregati da questo prodotto così profondamente filosofico e riflessivo.

Sicuramente non una serie di facile comprensione, ma che vale assolutamente la pena di esperire per scoprire fino a che punto un prodotto televisivo può uscire dai suoi canoni per creare qualcosa di straordinario.

Re-l Ergo Proxy

Re-l rappresenta in nuce il destino dell’umano.

La protagonista non è infatti altro che il prodotto di Romdo – anche più di quanto si renda conto inizialmente – che crea l’umano da una parte per renderlo il perfetto ingranaggio della macchina sociale, dall’altra lo spoglia di ogni abilità materiale perché sia inoffensivo.

Elemento che emerge particolarmente dalle parole di Iggy nella puntata Punti morti concettuali (13) – in cui le dice che è più inetta di quanto creda – e anche nella puntata Calma piatta (16) – in cui il terzetto è costretto ad aspettare per lungo tempo un vento migliore per continuare il viaggio.

Re-l in Ergo Proxy (2006) di Shukō Murase

In questo frangente Re-l si dimostra ancora di più la figlia perfetta di Romdo, ovvero un umano incapace di vivere autonomamente con delle skills molto basilari – cucinare, pettinarsi, prendersi cura di sé – perché fino ad ora si era del tutto affidata agli AutoRev.

Per questo si dimostra spesso irritabile e capricciosa, un atteggiamento che solo apparentemente sembra uscire dal seminato rigidamente tracciato da Romdo per il suo cittadino perfetto, ma che in realtà è la caratteristica chiave che le permette di attuare la sua raison d’être.

Re-L Meyer

Re-l in Ergo Proxy (2006) di Shukō Murase

Infatti, Re-l è sempre stata una pedina nelle mani di Romdo e soprattutto del Reggente, che hanno sfruttato e, anzi, indirettamente incoraggiato la sua ribellione: il vero obbiettivo della protagonista non era diventare l’erede della città, ma piuttosto essere artefice della salvezza della stessa.

O, almeno, la salvezza apparente.

Re-l quindi non è altro che una cavia per attirare il Proxy – Vincent – proprio condividendo le cellule di Nomad – l’amore del Proxy One – e portare lo stesso a rivelarsi e a tornare come divinità a capo della città.

Re-l in Ergo Proxy (2006) di Shukō Murase

In realtà la volontà di Re-l sfugge infine dal controllo di Romdo – al punto che Dedalus finisce per preferire la Real Re-l, ovvero la sua versione angelica – in quanto la protagonista, nella sua ricerca ossessiva dell’identità del Proxy, finisce per definire anche sé stessa.

Infatti sia Re-l che Vincent intraprendono un viaggio cartesiano per la scoperta del e, soprattutto, la protagonista vive lo sconvolgimento dell’uscita della caverna di platoniana memoria, scoprendo una realtà molto più variegata rispetto al piccolo mondo in cui ha vissuto finora.

Re-L Meyer

Re-l in Ergo Proxy (2006) di Shukō Murase

In un certo senso Re-l rappresenta il ricongiungimento dell’umano con il divino – il Proxy – al punto che nella puntata L’occhio sacro nel cielo (20) la coscienza di Vincent Law è totalmente soggetta a quella della protagonista.

Infatti, con la creazione dei Proxy, l’umanità ha acquisito una sorta di status super-umano, riuscendo a ricostruire il divino unicamente per i propri scopi risanare la terra – tanto da diventare creatore del Dio – Proxy – che infine si ribella contro il suo Creatore – l’Umano.


Vincent Law Proxy

Chi sei, Vincent Law?

Questa è la domanda che ricorre per la maggior parte della serie.

Vincent Law all’apparenza sembra un mediocre ed innocuo immigrato moscovita, che fa di tutto per riuscire ad integrarsi nella nuova comunità – Romdo – ma incapace di affermarsi con un’identità propria.

Non a caso, il suo viaggio è finalizzato alla scoperta del suo essere, all’awakening, che già di per sè avviene quando Vincent apre gli occhi, gli stessi che nelle prime puntate erano – senza che se ne accorgesse neanche – serrati davanti alla realtà che lo circondava.

Vincent Law in Ergo Proxy (2006) di Shukō Murase

L’apertura degli occhi corrisponde infatti all’uscita da Romdo – la caverna già citata – e alla sempre più insistente consapevolezza della sua vera identità – o identità altra – che fino alla fine tiene lontano da sé, come una sorta di ombra.

Infatti, la pesantezza della sua altra faccia è tale che fino all’ultimo Vincent si nasconde dietro ad una maschera, per lo stesso motivo per cui in precedenza si era fatto eliminare i ricordi da Nomad.

Ovvero, l’impossibilità dell’accettazione dell’io.

Vincent Law

Vincent Law in Ergo Proxy (2006) di Shukō Murase

I Proxy sono delle divinità, ma delle divinità imperfette: su di loro grava la salvezza e il funzionamento di intere comunità – non a caso Romdo va in rovina per l’abbandono del suo Proxy – ma, proprio come le città stesse, essi sono solamente delle realtà temporanee.

Si può dire quindi che siano come degli orologi atti a definire il ritorno degli umani originari sulla Terra, essendo mortalmente sensibili alla luce del sole, finora nascosto dietro alla coltre di nubi dovuta al disastro apocalittico che ha portato all’abbandono del pianeta.

Quando quindi il sole riuscirà finalmente a ricomparire da dietro alle nuvole, il mondo sarà nuovamente abitabile e gli umani potranno tornare su una Terra pronta per loro e, soprattutto, una Terra vuota, grazie alla morte dei Proxy e, di conseguenza, degli umani che controllano.

Vincent Law e Proxy One in Ergo Proxy (2006) di Shukō Murase

Questa presa di consapevolezza ha portato One – il primo Proxy creato – prima ad una profonda depressione, poi ad un odio incontenibile verso l’umano, sia per il suo essere solo una pedina del loro piano, sia per l’impossibilità di unirsi a Nomad.

Per questo motivo – e soprattutto dopo la distruzione di Mosk e il rapimento dell’amata – One sceglie di creare la sua seconda identità o ombra – Vincent – per penetrare Romdo, vendicarsi del Reggente e attuare infine il suo piano di rivolta degli AutoRev.

Vincent Law

One infatti riesce ad infettare gli AutoRev con il virus cogito, che rappresenta il risveglio, il soffio vitale che permette alle macchine di non essere solamente macchine – in maniera simile a Ghost in the shell (1995) – ma quasi più umane dell’umano, e riconoscerlo così come Dio.

Infatti la prima reazione degli AutoRev al cogito è inginocchiarsi e rivolgersi al divino – One – consapevoli proprio della presenza di un’entità che gli ha permesso di pensare e quindi di essere.

Re-L Meyer

Vincent Law in Ergo Proxy (2006) di Shukō Murase

Ma la coscienza del Proxy va ben oltre il semplice soggettivismo cartesiano.

Se lo stesso permette al Proxy e agli AutoRev di comprendere la loro esistenza e differenza rispetto al resto degli oggetti in-animati, il viaggio di Vincent lo porta ad abbracciare l’inter-soggettivismo kantiano.

Infatti Vincent si scopre come parte del mondo, ma, al contempo, anche osservatore dello stesso, fino ad arrivare ad un esasperato solipsismo, per cui la realtà esiste solamente in sua funzione.

Vincent Law in Ergo Proxy (2006) di Shukō Murase

Questo elemento ben si intreccia con la funzione stessa del Proxy come creatore e, di fatto, sorrettore di mondi: ogni comunità da esso creata ha smesso di esistere quando il suo dio l’ha abbandonata o è morto.

Questa presa di consapevolezza finale permette infine a Vincent di ricongiungersi con One e diventare un unico portatore di vita e di morte, capace di rivaleggiare con gli umani che stanno ritornando a popolare la terra.

Nondimeno, la sua esperienza con Re-l e Pino gli ha permesso di carpire la possibilità di un’umanità migliore, non solamente tirannica e distruttiva: una per cui valga la pena di lottare.

Insomma, Cogito Ergo Proxy.


Pinocchio Ergo Proxy

Pino rappresenta la via pacifica del cogito.

A differenza degli altri AutoRev, questa bambina sceglie di vivere la sua vita non in opposizione all’umano, ma all’interno di una ricerca sostanzialmente pacifica e personale del mondo esterno.

Per questo, avendo preso coscienza del sé grazie al virus, passa dall’essere una macchina apatica ed incolore, ad una bambina frizzante e esuberante, che si unisce a Vincent in una sorta di ricerca comune, pur con obbiettivi meno ambiziosi.

Nella più semplice interpretazione, Pino non è altro che Pinocchio: non più burattino, non più macchina, ma un infante quasi vero che cerca di esserlo in tutto e per tutto, anche tramite la imitatio di quello che gli sta intorno – nello specifico di Re-l, come si vede soprattutto in Calma piatta (16).

Inoltre, il suo personaggio rappresenta l’atteggiamento limitante degli umani nei confronti degli AutoRev.

Fin da subito infatti Pino è trattata dalla sua famiglia adottiva più come una serva che come la figlia tanto desiderata, al punto che la madre, Samantha, cerca di liberarsi di lei alla prima occasione.

La donna non permette quindi neanche alla figlia di esprimersi e mostrare il suo potenziale, limitandola ancora una volta al mero oggetto-usa-getta che vive solamente in funzione dell’umano – rappresentando, in scala minore, il rapporto fra umano e Proxy.

Pino AutoRev Ergo Proxy

Questo elemento è particolarmente evidente nella puntata Sorriso di bambina (19).

La città di Smile Land è una palese parodia di Disneyland, in cui gli AutoRev sono proprio oggetti, giocattoli, che vengono creati ed utilizzati unicamente per rendere felice il loro Dio – Will B. Good – per evitare l’estinzione della comunità.

Questi sono anche facilmente eliminati o emarginati quando non sono più utili alla loro funzione, in un panorama di totale finzione, smascherato proprio dal sorriso sincero di Pino, diverso da quello di tutti gli altri…

In ultimo, Pino si rivela un tassello fondamentale per il futuro della Terra.

Nell’ultima puntata scopriamo infatti che l’ultimo desiderio che Raul Creed aveva affidato a Kristeva era quello di proteggere quella che ormai non considerava più semplicemente un surrogato, ma la sua vera figlia.

Questa volontà potrebbe rappresentare il primo passo verso una conciliazione fra umano e macchina, creando un rapporto che non sia finalizzato solo alla supremazia dell’uno verso l’altro, ma piuttosto alla creazione di una pacifica convivenza di reciproco guadagno.


Dedalus Ergo Proxy

Deadalus è in un certo senso un burattinaio nell’ombra.

La sua intelligenza straordinaria è stata creata a tavolino per renderlo un alleato di Re-l e parte del Proxy Project, nonostante la situazione gli sfugga progressivamente di mano, rendendolo infine apatico e concentrato solo su sé stesso.

Sulle prime infatti Dedalus mostra un profondo interesse per Re-l, e persino l’aiuta a nascondere la sua finta morte, così che possa continuare a perseguire la sua raison d’être – riportare Vincent a Romdo.

Dedalus può quindi essere letto come una rappresentazione in piccolo del destino dell’umanità che ha lasciato la Terra, e che tanto arrogantemente ha creato un mondo solo per sé stesso e finalizzato unicamente alla distruzione e alla rinascita dell’umano.

Come infatti l’umano ha creato degli dei difettosi, nascondendogli il loro vero fine, allo stesso modo il suo personaggio nasconde costantemente informazioni fondamentali a Re-l, col solo risultato che la stessa si allontana sempre di più da lui.

Così Deadalus diventa sempre più geloso e capriccioso, arrivando a creare una sorta di feticcio, una nuova Re-l molto più mansueta e accomodante nei suoi confronti, una nuova divinità che in qualche modo lo veneri.

Questo progetto gli si rivolta infine contro, quando persino Real si allontana da lui, proprio riacquistando la sua identità originaria – Nomad – e cercando di ricongiungersi a Vincent per operare un definitivo distaccamento dall’umano.

Così, come Dedalo guardava il figlio Icaro distruggersi per la sua superbia, così Dedalus osserva sofferente la sua creazione mentre si suicida.


Raul Creed

Ra è il super-uomo.

Per sua natura è un uomo estremamente scaltro ed intelligente, una personalità da leader creata in provetta, arrivando infatti a coprire le più alte cariche della città e a tenere in mano più potere di quanto riesca a gestirne.

Infatti, per la maggior parte della serie Raul è il principale antagonista di Vincent e della sua scoperta del sè, cercando costantemente di incastrarlo, di boicottarlo – con la distruzione nucleare su Mosk in Battaglia senza fine (17) – e infine di distruggerlo.

In questo modo Raul rappresenta l’umano che tenta disperatamente di affrancarsi dal divino, rappresentato non solo dal Proxy stesso che regge la comunità, ma anche dagli stessi che hanno impedito all’umanità creata artificialmente di riprodursi e quindi di continuare a vivere.

Ma il suo si rivela un tentativo del tutto fallimentare proprio perché antagonistico e sostanzialmente distruttivo, pur con una presa di conoscenza finale del personaggio nei confronti di Pino – e quindi dell’altro – che permette infine di gettare una nuova luce sul destino dell’umano.

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Gravity Falls – Il mistero della crescita

Gravity Falls (2012 – 2016) è una serie tv animata andata in onda prima su Disney Channel, poi su Disney XD, oggi disponibile in streaming su Disney+.

Se non sapete assolutamente niente su questo prodotto, continuate a leggere. Se invece siete già esperti, cliccate qui.

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Samurai Champloo – Fra due realtà

Samurai Champloo (2004) è un anime giapponese di Shinichirō Watanabe – lo stesso che ha curato la regia Cowboy Bebop (1998 – 1999), per intenderci.

La serie è stata importata in Italia solo nel 2008 con Panini Video.

Se non sapete niente di Samurai Champloo, continuate a leggere. Se invece siete i massimi esperti della serie, cliccate qui.

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The Office – Torniamo in ufficio

The Office (2005 – 2013) è uno dei più importanti fenomeni televisivi dell’inizio del Millennio, con un importante fandom attivo ancora oggi.

Se non sapete assolutamente niente di questa serie, continuate a leggere. Se invece siete già fan, cliccate qui.

Guida a The Office

Piccola guida introduttiva a The Office.

Di cosa parla The Office?

La storia ruota intorno ad un nutrito gruppo di personaggi che lavora in un piccolo ufficio dell’azienda Dunder Mifflin a Scranton, in Pennsylvania.

La particolarità è il come la storia viene raccontata.

Il taglio narrativo

Steve Carell in una scena di The Office (2005 - 2013)

Secondo un taglio che sarà poi in parte ripreso dall’altrettanto longeva serie tv Modern Family (2009 – 2020), The Office è raccontata nella forma del mockumentary, proprio facendo sembrare il girato quasi un prodotto amatoriale.

Una tecnica piuttosto particolare che permette permettere allo spettatore di assistere sostanzialmente ad una sua costante soggettiva, con gli attori che guardano in camera – quindi direttamente nei nostri occhi – rendendoci incredibilmente partecipi della storia raccontata.

E non è l’unico motivo.

La quotidianità

Leslie David Baker in una scena di The Office (2005 - 2013)

A differenza di molte altre sitcom precedenti e successive, The Office ha il merito di raccontare una storia incredibilmente quotidiana e realistica nelle sue dinamiche, riuscendo ad ammorbidire anche le scelte più bislacche e astruse, rimanendo sempre coi piedi per terra.

Così, se ci si lascia travolgere da questi personaggi così umani e caratteristici, sarà davvero come vivere all’interno della serie stessa.

Tuttavia, è anche giusto un avvertimento in questo senso.

Inizio e fine

Rainn Wilson in una scena di The Office (2005 - 2013)

I due problemi principali di The Office sono la prima stagione e le ultime due, specificatamente l’ottava.

La prima stagione riprese il taglio della più sfortunata prima versione britannica del prodotto, che venne conclusa dopo appena quattordici episodi, probabilmente per il taglio troppo cinico della narrazione, che tende ad allontanare spesso il pubblico.

Ma la prima stagione è solo un piccolo scoglio da superare – appena sei episodi – per poi immergersi in una comicità molto più piacevole ed accogliente, che definisce la serie a partire dalla seconda stagione, e che ha portato al grande successo di pubblico negli anni.

jenna fischer e John Krasinski in una scena di The Office (2005 - 2013)

Altrettanto problematica è l’ottava stagione, per un cambio fondamentale della serie – che qui non vi spoilero – che l’ha portata a perdere molto smalto e, addirittura, a far fermare alcuni spettatori alla stagione precedente.

Da parte mia vi posso confermare che il penultimo ciclo di episodi, oltre ad essere uno shock, è effettivamente il peggiore della serie, che comunque riesce un po’ a riprendersi nella sua stagione conclusiva.

Insomma, parkour!

Michael Scott

Michael Scott è il personaggio più comico e al contempo più tragico di The Office.

Steve Carell dimostrò negli anni di essere una figura insostituibile all’interno della serie, portando in scena una comicità unica nel suo genere, che viaggiava fra il surreale e il dark humour più spinto, ma che nascondeva in realtà una situazione molto più amara.

In tutta la sua storia al Dunder Mifflin, il suo personaggio, nonostante abbia ottenuto una posizione di successo – probabilmente la più alta a cui poteva ambire – cerca costantemente di fuggirla, inseguendo sempre più disperatamente un sogno apparentemente irraggiungibile.

Ovvero, crearsi una famiglia.

Steve Carell in una scena di The Office (2005 - 2013)

Così la gag ricorrente per cui Michael si innamora e vuole impegnarsi immediatamente con donne che appena conosce, nasconde una frustrazione costante, portandolo a bruciare le tappe in situazioni che si rivelano infine fallimentari…

Parallelamente a questa ricerca disperata, in più di un’occasione Michael cerca soddisfazioni lavorative altrove.

Il momento più comico, ma anche più terribilmente triste, sono gli episodi in cui il suo personaggio si dedica ad un secondo lavoro in uno squallido call-center, pur non avendo nessuna necessità economica in merito…

La totale evasione

Steve Carell in una scena di The Office (2005 - 2013)

Il primo picco di questa evasione è la fondazione della Michael Scott Paper Company, nient’altro che un modo in cui Michael vuole dimostrare agli altri, ma soprattutto a sé stesso, di essere totalmente in grado di condurre un’azienda di successo anche al di fuori – anzi, al di sotto – di Dunder Mifflin.

Ma questa nuova idea si rivela totalmente disastrosa, e in ogni sua parte, a partire dal continuo contrasto fra Ryan e Pam – che, fra l’altro, si trova anche lei in un momento di evasione dopo la rottura con Roy.

Il sogno proibito

Steve Carell in una scena di The Office (2005 - 2013)

Ma il breaking point è la conoscenza di Holly.

In questo frangente The Office dimostra la sua capacità di creare relazioni genuine e avvincenti: Michael e Holly si piacciono perché sono nella maniera più evidente perfetti l’uno per l’altra – per l’umorismo, per il modo di fare…

Così, l’allontanamento forzato dalla sua fiamma non è altro che il primo passo del percorso di Michael verso la realizzazione che ormai la sua esperienza a Dunder Mifflin ha fatto il suo tempo – e, metanarrativamente, per Steve Carell con The Office.

Andare e tornare

Steve Carell in una scena di The Office (2005 - 2013)

Per questo l’addio è anche più devastante.

Nonostante le scene fossero piene di indizi in merito, vedere Steve Carell che si sfila il microfono che ha portato per anni, che si toglie le vesti di quel personaggio iconico che ha definito la sua carriera, e affida le sue ultime parole a Pam, è davvero straziante.

Per Michael Scott è un nuovo inizio fuori scena, e così anche per lo stesso interprete, che al tempo ammise di voler lasciare la serie per dedicarsi di più alla sua famiglia: un incontro fra personaggio e interprete che lascia senza fiato.

E la riapparizione nell’ultima puntata è più triste che consolante.

Quello che vediamo in scena non è davvero Michael Scott, ma è uno Steve Carell che si guarda indietro, che torna a rincontrare gli amici di tanti anni e la sua creatura, arrivata ormai alla sua conclusione:

I feel like all my kids grew up, and then they married each other. It’s every parent’s dream

È come se tutti i miei figli fossero cresciuti e si fossero sposati fra loro. È il sogno di ogni genitore.

Robert California The Office

Purtroppo l’addio di Steve Carell a The Office ha portato ad un buco nero incolmabile e ad una situazione che pervade la terribile ottava stagione, nonché alcuni tratti della nona: la California (& Andy) Era.

Questi due personaggi, nonostante siano così diversi, rappresentano entrambi lo stesso problema: la ricerca di un’alternativa a Michael Scott, prendendo delle direzioni del tutto sconclusionate e per nulla funzionanti.

Ed Elm in una scena di The Office (2005 - 2013)

Robert California dovrebbe essere questo brillante imprenditore che porta delle nuove sfide ai personaggi, ma che finisce solamente per sembrare una figura fuori posto, protagonista di uno dei più improbabili stravolgimenti di trama della serie -la sua elezione a CEO dell’azienda.

E non è un caso che la sua uscita di scena sia così deprimente, senza che il personaggio sembri avere una vera prospettiva di riscatto, ma solo un congedo che fa tirare un pesante sospiro di sollievo e apre le porte ad una discreta nona stagione.

Andy Bernarnd The Office

Andy Bernard è stato il più grande errore di The Office.

Apparso per la prima volta nella terza stagione, resta per la maggior parte del tempo un personaggio di contorno, finché non è costretto al centro della scena a partire dall’ottava stagione, dimostrando un concetto fondamentale:

Non sempre un secondario può essere anche un protagonista.

Ed Elm in una scena di The Office (2005 - 2013)

Ma il principale problema del suo personaggio è che sembra che gli scrittori di The Office non siano stati capaci di inquadrare né Andy come personaggio né Ed Elms come attore comico.

Infatti, Andy ha diversi ruoli durante la serie, ma nessuno che veramente riesca a definirlo come personaggio interessante, anzi diventando così tanto odiato che nella nona stagione per la maggior parte del tempo rimane fuori scena.

Ed Elm in una scena di The Office (2005 - 2013)

E Andy fallisce anzitutto per le sue relazioni, fra l’inutile triangolo amoroso con Angela e Dwight – che cercava di fare il verso a quello con Jim, Pam e Roy – e l’esasperata relazione con Erin – già di per sé uno dei personaggi meno riusciti della serie.

Così è anche peggiore la sua performance come sostituto protagonista: Ed Elmn ha una comicità del tutto diversa da quella di Steve Carell – come si vedrà nella trilogia di Una notte da leoni (2009 – 2013) – eppure si cercò di renderlo un Michael Scott 2.0.

Ne risulta un personaggio a tratti esasperante, che ha delle dinamiche quasi noiose e davvero fuori luogo per la serie – al pari di Robert California, appunto – tanto da essere cacciato dalla scena nell’ultima stagione, trovando fortuna in spazi inediti (e non particolarmente brillanti).

Pam e Jim The Office

Jim e Pam, insieme a Michael Scott, rappresentano uno dei pilastri di The Office.

La serie cercò in diversi momenti successivi di replicare il loro modello – con Erin e Andy, con Angela e Dwight… – non riuscendoci mai fino in fondo, e per un semplice motivo: i personaggi erano troppo sopra le righe.

Infatti, la forza della coppia iconica della serie risiede nella naturalezza e verosimiglianza del loro rapporto: Jim e Pam sono due persone molto comuni e, per questo, molto vicine allo spettatore.

Nello specifico, Jim.

Jim The Office

Jim Halper è il collegamento più diretto con lo spettatore.

Nello specifico, nei momenti più imbarazzanti o bislacchi in cui il suo personaggio guarda direttamente in camera, fungendo da specchio dei sentimenti e delle sensazioni che il pubblico stesso sta provando in quel momento.

Inoltre, Jim è un personaggio totalmente positivo, con pochissimi inciampi durante la serie, il cui lato oscuro è rappresentato solamente dagli scherzi architettati ai danni di Dwight, con cui però il rapporto si va a risolvere verso la fine della serie.

John Kransiski in una scena di The Office (2005 - 2013)

Del tutto comuni e verosimili sono anche le sue ambizioni lavorative.

Jim si trova più volte bloccato nella scalata sociale che lo dovrebbe portare ad assumere ruoli più importanti nell’azienda per i suoi meriti, scegliendo infine di imbarcarsi in una nuova avventura lavorativa, piuttosto rischiosa sia economicamente che sentimentalmente…

Ma soprattutto Jim brilla in confronto a Roy.

John Kransiski e Jenna Fischer in una scena di The Office (2005 - 2013)

Il confronto con il futuro marito di Pam è il fondamentale per la definizione del rapporto stesso con Jim.

Come Roy è un personaggio molto superficiale, con una visione ristretta del mondo e che non sembra capace di impegnarsi, Jim si dimostra più volte premuroso, mai invadente, anzi piuttosto cauto nell’approcciarsi a Pam.

Jenna Fischer in una scena di The Office (2005 - 2013)

Il momento più lampante in questo senso è la Scuola d’arte.

Se Roy boccia immediatamente l’idea, specificando come non sia il momento, quindi dimostrando di pensare solo a sé stesso, Jim in ogni occasione continua invece ad incoraggiare Pam, dimostrando di non essere così fragile da non poter stare qualche mese lontano da lei.

Infatti, il vero ostacolo alla loro relazione è Pam stessa.

Pam The Office

Pam è la principale artefice della sua infelicità.

In questo senso il suo personaggio non differisce poi molto da quello di Michael: entrambi sono alla ricerca di una stabilità familiare, anche se questa viene ricercata solamente tramite le vie non sempre più convenienti.

Nello specifico Pam si incastra da sola all’interno di una relazione che è chiaramente fallimentare, sia per l’incompatibilità dei due personaggi, sia per il poco effetto e le scarse attenzioni di Roy nei suoi confronti, al punto da darla quasi per scontato.

Jenna Fischer in una scena di The Office (2005 - 2013)

Per questo Pam per molto tempo si sente incapace di compiere un passo così determinante per la propria vita, preferendo il quieto vivere, la sicurezza di un matrimonio che infine sembra star effettivamente per concretizzarsi…

In questo senso è tanto più importante che sia lei stessa a cambiare vita e che non lo faccia solamente per Jim, prima di tutto tagliando i ponti con Roy, poi prendendo scelte sempre più intraprendenti – come la scuola d’arte e la partecipazione al progetto di Michael.

Tutto è bene?

John Kransiski e Jenna Fischer in una scena di The Office (2005 - 2013)

La relazione fra Jim e Pam è la meglio scritta della serie fino alle sue ultime battute.

L’inizio effettivo del loro rapporto romantico è nella splendida conclusione della seconda stagione, quando un intraprendente Jim sceglie finalmente di dichiararsi, incassando però un momentaneo rifiuto.

Jim è altrettanto intraprendente nei due momenti fondamentali del loro rapporto: quando finalmente la invita al loro appuntamento e, infine, quando le chiede di sposarlo.

John Kransiski e Jenna Fischer in una scena di The Office (2005 - 2013)

In ogni fase della loro relazione Jim ha un solo obbiettivo in mente: far vivere a Pam il momento migliore possibile.

Anche se con un po’ meno di mordente, anche le puntate dedicate alla gravidanza e alla crescita dei bambini sono incredibilmente interessanti, in quanto scelgono ancora una volta di raccontare dinamiche e situazioni realistiche e verosimili, senza nasconderne gli elementi più angoscianti.

E questo è tanto più fondamentale nell’ultima stagione.

La tragedia scampata

John Kransiski e Jenna Fischer in una scena di The Office (2005 - 2013)

La nona stagione di The Office mette più a dura prova il rapporto fra Jim e Pam.

La sua nuova avventura imprenditoriale, cominciata fra l’altro alle spalle della moglie, crea delle crepe apparentemente insormontabili per la coppia, con un Jim che sembra sempre più interessato alla sua carriera lavorativa che alla costruzione di una famiglia con Pam, anche con insensate gelosie…

Emerge così della ruggine fra i due che sul momento mi ha non poco spaventato, dopo un’ottava stagione che non mi rendeva più sicura sul fatto che The Office fosse capace di trattare con intelligenza questo tema.

John Kransiski e Jenna Fischer in una scena di The Office (2005 - 2013)

Invece, il finale di Jim e Pam è perfetto.

Entrambi i personaggi dimostrano veramente di essere maturati: Jim è capace di fare un passo indietro, di rinunciare al suo sogno di carriera, accettando che la parte più importante della sua vita è Pam e la felicità che ha costruito con lei.

Ma soprattutto è importante la scelta finale di Pam, inizialmente restia ad abbandonare la sua confortante routine, invece infine capace di intraprendere una nuova avventura, quindi di non essere tanto egoista da far rinunciare Jim al suo progetto, ma invece pronta a costruire qualcosa di nuovo insieme.

Dwight The Office

All’interno di The Office, Dwight è il personaggio con l’arco evolutivo più interessante.

All’inizio della serie è presentato come una figura sostanzialmente negativa, con un’etica del lavoro ferrea – che lo rende fra l’altro il miglior venditore dell’ufficio – e in costante contrasto con Jim.

In particolare, Dwight fin dall’inizio vive un costante senso di frustrazione nell’essere sostanzialmente il braccio destro di Michael, ma non di riuscire comunque ad avere un ruolo effettivamente importante, ma solo uno puramente inventato – Assistant to the regional Manager.

Rainn Wilson in una scena di The Office (2005 - 2013)

La sua sete di potere si traduce in diversi frangenti piuttosto spassosi, soprattutto da quando prende possesso del palazzo, imponendo regole assurde e rendendo invivibile la vita dei suoi colleghi, o nelle diverse occasioni in cui diventa temporaneamente capo della filiale.

Ma il momento in cui effettivamente realizza il suo sogno e prende possesso definitivamente dell’ufficio, rappresenta anche il punto di arrivo della sua maturazione: avendo ormai messo da parte le sue ostilità nei confronti di Jim, lo rende addirittura il suo braccio destro e accetta a malincuore le sue dimissioni.

Un amore immorale

Rainn Wilson e Angela Kinsey in una scena di The Office (2005 - 2013)

L’altro lato della sua maturazione è rappresentato da Angela.

Il rapporto fra Angela e Dwight è così complicato perché entrambi non riescono ad essere sinceri l’uno con l’altra, tanto che per certi versi il loro rapporto, che si dispiega per tutte e nove le stagioni, è quello di Jim e Pam in una veste più austera e rigida.

In questo senso, per quanto i loro personaggi siano molto più macchietistici, è evidente perché siano fatti l’uno per l’altra: entrambi sono molto legati alle regole e ad una morale ferrea, nonostante la stessa venga più volte smentita dai loro stessi comportamenti – nello specifico, i numerosi tradimenti.

Rainn Wilson e Angela Kinsey in una scena di The Office (2005 - 2013)

Ma più la storia prosegue, più entrambi cercano di salvare la faccia, nascondendosi dietro ridicoli contratti che sembrano legittimare la loro relazione sessuale e il loro desiderio di creare una famiglia insieme, fino al picco emotivo della scoperta che il figlio di Angela non è anche figlio di Dwight.

Così entrambi nelle stagioni finali cercano di nascondersi dietro ad altre relazioni apparentemente più soddisfacenti e giuste, nello specifico Angela con il suo senatore, che le garantisce una posizione sociale di alto livello.

Rainn Wilson e Angela Kinsey in una scena di The Office (2005 - 2013)

… finché tutta la situazione non le scoppia in faccia, con la rivelazione dell’omosessualità ormai palese del marito.

E infine la scelta di ricomporre per davvero quella relazione spetta a Dwight: mentre Angela è al limite della disperazione, Dwight sceglie di abbandonare quella moglie trofeo per invece sposarsi finalmente con la donna dei suoi sogni.

The Office personaggi

La bellezza dei personaggi di The Office, in particolare i secondari, è il riuscire a mantenere una caratterizzazione coerente per tutta la serie, senza dover risultare macchiette – con le drammatiche eccezioni di cui abbiamo già parlato…

Kevin The Office

Fra tutti i secondari, il mio preferito in assoluto, e che mantiene fra l’altro un taglio coerente dall’inizio alla fine, è indubbiamente Kevin.

Kevin dovrebbe essere lo scemo del villaggio, ma The Office lo premia costantemente con gag e battute irresistibili, e una presenza scenica che rende impossibile non provare simpatia per questo bambinone troppo cresciuto.

In particolare, del suo personaggio ho adorato due momenti: la gag del chili – in cui mi ci sono rivista anche troppo… – e tutta la dinamica con Holly, a cui viene fatto credere che Kevin sia un po’…lentocon tutta l’ironia che ne deriva.

Creed The Office

Altra nota di merito va a Creed, forse la punta di diamante fra i secondari.

Creed è un personaggio così sfaccettato e sfuggente che ad ogni stagione si scopre qualcosa di nuovo: passa dall’essere rappresentante della filiale, a rivelare il suo oscuro passato criminale, fino a fingere la sua morte, per poi vivere all’interno dell’ufficio stesso.

Questa incredibile mente criminale si scontra con la sua personalità al limite del surreale, al punto che spesso dimentica il nome dei suoi colleghi, o addirittura il tipo di compagnia per cui lavora, come testimonia la sua battuta migliore di tutta la serie:

Not bad for a day in the life of a dog food company.

Una bella giornata per un’azienda di cibo per cani.

Stanley The Office

Sulla stessa linea anche il personaggio di Stanley.

Stanley appare come figura di contorno, chiuso in sé stesso e piuttosto apatico, che passa le sue giornate a fare cruciverba e bada più ai propri affari piuttosto che a quelli degli altri – o del suo stesso lavoro.

In realtà, del tutto inaspettatamente, Stanley ha una variegata attività relazionale, che lo porta a divorziare dalla moglie e a cercare molte altre compagne nel corso delle stagioni, anche per compensare il suo risentimento nei confronti del suo lavoro.

Leslie David Baker in una scena di The Office (2005 - 2013)

E, soprattutto, nei confronti di Michael.

In particolare, riguardo al loro conflitto è diventata iconica la scena in cui, durante uno dei tanti inutili meeting, Michael cerca di ritrovare l’attenzione di Stanley mentre lo stesso si sta dilettando con le ennesime parole crociate…

E, davanti al l’insistenza del suo manager, Stanley tuona:

Di I stutter?

Sono stato chiaro?
Leslie David Baker in una scena di The Office (2005 - 2013)

Questa è proprio l’occasione in cui Michael cerca di rimettere in riga il suo dipendente, fingendo di licenziarlo, trovandosi solo ad essere minacciato di azioni legali e finendo per doverlo tenere in ufficio senza che sia cambiata una virgola.

Anzi, Stanley arriva serenamente alla pensione, come scopriamo alla fine della serie.

Kelly & Ryan The Office

Su Kelly e Ryan bisogna fare un discorso a parte.

I loro personaggi risultano quasi bidimensionali e sono spesso ai margini della scena, proprio perché i loro interpreti sono spesso accreditati sia come sceneggiatori che come registi degli episodi.

Infatti, la loro storia non ha un effettivo arco evolutivo, ma piuttosto un pendolo all’interno di un rapporto estremamente conflittuale – soprattutto da parte di Ryan – che li porta a prendersi, respingersi e via così all’infinito.

E, nella maniera più improbabile, riuscendo anche a fuggire insieme nella conclusione.

B. J. Novak e Steve Carell in una scena di The Office (2005 - 2013)

Ryan nello specifico è uno dei personaggi probabilmente più negativi della serie.

Durante le stagioni si destreggia fra diverse personalità, rivelandosi sempre più di un avido macchinatore, interessato solo al suo guadagno, finché, alla scoperta delle sue attività fraudolente, la sua scalata sociale si blocca.

Insomma, Kelly e Ryan sono dei pop-up characters, personaggi da ripescare all’occorrenza per arricchire la storia di nuovi sbocchi o di piacevoli gag, anche se spesso fine a sé stesse.

Oscar The Office

Anche se di per sé forse non è uno dei personaggi più indimenticabili della serie, Oscar brilla per l’avanguardia di The Office nel rappresentare un personaggio omosessuale non stereotipico, in un panorama seriale al tempo piuttosto desolante.

Ne risulta una figura per niente macchiettistica – anche se Michael più volte cerca di ricondurlo allo stereotipo – ma che piuttosto racconta le difficoltà di una persona queer all’inizio del nuovo millennio, nel farsi largo fra pregiudizi, bullismo e vergogna sociale – che lo porta infatti a nascondere la sua sessualità per lungo tempo.

La sua storia si intreccia anche con quella di Angela, con una delle poche dinamiche convincenti delle ultime stagioni, che purtroppo si traduce in una sconfitta per entrambi…

Phyllis The Office

Secondo lo stesso principio, ho apprezzato molto anche il personaggio di Phyllis.

Una donna di mezza età che rimane molto ai margini della scena, ma che è anche protagonista di piacevolissimi momenti comici – come quello della pioggia, in cui i personaggi fanno scommesse sul fatto che dirà sempre le solite quattro frasi di repertorio:

E così, anche se stereotipicamente non è considerata una donna attraente né desiderabile, gode di un matrimonio piuttosto felice e particolarmente attivo sessualmente, come testimoniano le diverse gag in merito.

Toby The Office

Per un inevitabile parallelismo, è giusto chiudere questa recensione con quello che può essere considerato la nemesi di Michael…

…e il suo alter ego.

Proprio per il suo atteggiamento estremamente infantile, Michael doveva trovare un nemico contro cui scontrarsi… e non è un caso che scelga proprio Toby, che rappresenta la sua peggior paura.

Ovvero, aver raggiunto una stabilità familiare, ma averla inevitabilmente persa, vivendo in una condizione di grande infelicità.

Paul Lieberstein in una scena di The Office (2005 - 2013)

Infatti, per tutte le stagioni il suo personaggio non riesce ad avere un riscatto in questo senso, finendo anzi spesso per essere rifiutato – per esempio con Nellie – o vivendo amori assolutamente impossibili – come quello per Pam.

Come se tutto questo non bastasse, anche gli altri personaggi gli sono molto spesso ostili, per il suo approccio fin troppo freddo e formale alle diverse problematiche che sorgono all’interno dell’ufficio.

In questo senso, proprio all’inizio della stagione, per presentare Toby, Michael racconta la totalità del suo personaggio con una delle mie battute preferite dell’intera serie:

…he’s really not a part of our family. Also, he’s divorced, so he’s really not a part of his family.

…non fa parte della nostra famiglia. Inoltre, è divorziato, quindi non fa neanche parte della sua famiglia.
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The Fall of the House of Usher – Chi è morto?

The Fall of the House of Usher (2023) di Mike Flanagan è una miniserie horror in otto puntate di produzione Netflix – l’ultima collaborazione di questo autore con la piattaforma.

Di cosa parla The Fall of the House of Usher?

Nella lugubre casa in rovina della potente famiglia degli Usher, il vecchio patriarca racconta al suo nemico di una vita, l’avvocato Auguste Dupin, di come ha ucciso i suoi sei figli…

Vi lascio il trailer per farvi un’idea:

Vale la pena di vedere The Fall of the House of Usher?

Sauriyan Sapkota, Kate Siegel, Rahul Kohli, Matt Biedel e Samantha Sloyan in una scena di The Fall of the House of Usher (2023) di Mike Flanagan, serie tv Netflix

In generale, sì.

Anche se a mio parere non è la migliore creazione di Mike Flanagan, The Fall of the House of Usher è complessivamente un prodotto piacevole, che riesce a tenere col fiato sospeso fino alla fine, con anche una certa creatività piuttosto gore nel mettere in scena le varie morti dei personaggi.

Inoltre, come serie gode anche di una sceneggiatura piuttosto solida, che riesce a far tornare tutti i punti della storia nel suo finale, anche alcuni che parevano dei semplici jump scare, ma che invece si rivelano possedere un significato non poco importante.

Insomma, da vedere.

La serie è scandita dalle diverse morti dei personaggi, di cui di seguito analizzeremo le dinamiche e il background.

Prospero Usher morte

Causa della morte

Acido


Perry Usher è la prima vittima della serie, e anche fra le morti più direttamente collegate alle azioni di Roderick.

Prospero è il più giovane di bastardi Usher, totalmente immerso in una giovinezza sfrenata, beandosi dei soldi del padre, ma che insegue anche ciecamente il sogno di poter diventare un giovane imprenditore al pari di Roderick.

Sauriyan Sapkota in una scena di The Fall of the House of Usher (2023) di Mike Flanagan, serie tv Netflix

La sua avventatezza è la causa primaria della sua morte: nel suo sentirsi così sicuro di sé stesso e delle sue idee, all’interno di una pura ribellione verso il padre, si dimentica di controllare di cosa siano composti quei serbatoi che rappresentano l’apice del suo progetto.

La sua fine è forse quella più scioccante e violenta – oltre quella che fa più vittime, e che non fa altro che far aumentare la pila di morti causati dal padre: oltre alla causa primaria, se Roderick avesse ascoltato di più il figlio, se l’avesse seguito nel suo progetto…

…quantomeno Perry non sarebbe morto in maniera così angosciante.

Camille L’Espanaye morte

Causa della morte

Attacco di un primate


La morte di Camille L’Espanaye è una delle mie preferite, anche perché il suo personaggio è uno dei più velenosi.

Camilla è un’altra dei bastardi Usher, una donna con una carriera di successo, tanto da essere a capo delle pubbliche relazioni dell’azienda di famiglia, ma, al contempo, divorata dall’odio contro la sorella, Victorine.

Kate Siegel in una scena di The Fall of the House of Usher (2023) di Mike Flanagan, serie tv Netflix

Insieme a Tamerlane, questo personaggio è uno fra quelli che peggio hanno vissuto l’eredità del padre, diventando delle donne insoddisfatte ed incattivite, con l’aggravante che Camille è sostanzialmente una bambina viziata troppo cresciuta.

Per questo la sua dipartita è lo specchio del suo carattere: sentendosi del tutto in dovere e in diritto di indagare le malefatte della sorella, proprio per la sua hubris viene fatta a pezzi con altrettanta ferocia da Verna nei panni di un primate.

Napoleon Usher morte

Causa della morte

Suicidio


Napoleon Usher è forse una delle morti meno interessanti della serie, una versione in chiave minore della dipartita ben più interessante della sorella, Victorine.

Leo rappresenta uno dei lati più problematici del padre: come il genitore, anche il figlio è incapace di mantenere saldo un rapporto romantico, tradendo il suo compagno, nonostante questo non sembri meritarlo.

Ma Leo è anche divorato dal senso di colpa, rappresentato dal gatto nero: quando il suo tradimento diventa così visibile, l’uomo si affretta a nasconderlo e a rimediare, sicuro di non essere scoperto.

Rahul Kohli in una scena di The Fall of the House of Usher (2023) di Mike Flanagan, serie tv Netflix

E se nella clinica veterinaria Verna cerca di incoraggiarlo a prendere un altro dei gatti, ovvero indirettamente ad ammettere la sua colpa e provare a ricostruire il rapporto con Daniel, proprio tramite un nuovo inizio…

…Napoleon sceglie invece ancora la menzogna, e così finisce per essere perseguitato dalla sua colpa, tanto da distruggere la sua stessa casa, e infine lanciarsi nel vuoto pur di acchiappare quel maledetto felino

Victorine Usher morte

Causa della morte

Suicidio con pugnalata


Victorine è uno dei pochi personaggi effettivamente positivi della famiglia Usher, la cui vita è più di tutte rovinata dall’ambizione di Roderick.

Una promettente chirurga con un futuro brillante, si lascia soffocare dalle richieste del padre di accelerare i suoi esperimenti, portando così a dei risultati posticci ed inefficaci…

T'Nia Miller e Paola Nuñez in una scena di The Fall of the House of Usher (2023) di Mike Flanagan, serie tv Netflix

…che hanno come risultato il mandare a gambe all’aria tutto il progetto, e, in aggiunta, perdendo la sua più importante componente, Alessandra, a cui era legata da un profondo affetto, del tutto guastato dalle sue ambizioni.

La sua ossessione è quella più straziante: vedendo ormai la sua vita che va a pezzi, cerca anche nei modi più grotteschi di salvare il salvabile, prima tentando di riportare in vita Al, poi iniziando i tanto desiderati esperimenti umani proprio su sé stessa…

Victorine Usher morte

Causa della morte

Sgozzamento


Tamerlane Usher è la secondogenita di Roderick, uno dei figli nati nel contesto dell’amorevole matrimonio con Annabel, di cui soffre tutte le conseguenze.

Nonostante cerchi di mostrarsi una donna decisa ed inscalfibile, Tamerlane è invece un personaggio estremamente fragile, tanto che non riesce neanche a vivere in prima persona la sua vita.

Nel suo distacco all’interno del rapporto – sentimentale e sessuale – con Matt, si riscontra la sua incapacità di vivere appieno, divorata di paura di non essere un’adeguata protagonista, e anzi di poter essere sostituita in un qualsiasi momento.

Samantha Sloyan in una scena di The Fall of the House of Usher (2023) di Mike Flanagan, serie tv Netflix

Proprio nella sua somiglianza con la madre, Tamerlane tratta con profondo odio Juno, la giovane moglie trofeo del padre, ereditando da lui – e nella forma peggiore – la venerazione verso Annabel, tanto adorata ed idealizzata.

Così il suo personaggio finisce per uccidersi da solo, cercando di distruggere il suo doppio nello specchio, per paura che prenda il suo posto a fianco del marito, che lei stessa aveva cercato di ridurre a figura usa-e-getta.

Frederick Usher morte

Causa della morte

Valanga


Frederick Usher è il primogenito della famiglia, ma è anche il suo membro più insignificante, che prende il peggio dal padre.

Quello che dovrebbe essere il prediletto di Roderick, in realtà rimane sullo sfondo per la maggior parte della serie, e diventa importante solamente alla fine, quando mostra la sua vera natura di marito violento e manipolatore.

Henry Thomas in una scena di The Fall of the House of Usher (2023) di Mike Flanagan, serie tv Netflix

Infatti Frederick è un uomo estremamente fragile, che per il solo sospetto di un tradimento di Morella, sceglie di tenerla strettamente sotto al suo controllo, paralizzandola a letto e pure torturandola.

Ma nel suo vaneggiamento, finisce ancora una volta vittima di sé stesso, inalando la stessa droga con cui controllava la moglie, vivendo una morte umiliante, mentre la casa – e la sua vita – gli crolla addosso, davanti al suo sguardo impotente…

Madeline Usher morte

Causa della morte

Avvelenamento e Valanga


Madeline Usher è per certi versi la vera protagonista della serie, o quantomeno il burattinaio dietro alle vicende.

Madeline è una mente matematica e fredda, che orchestra fin dall’inizio la caduta rovinosa del fratello, inducendolo a diventare un imprenditore spietato e senza scrupoli, interessato solo al guadagno ed al successo…

Willa Fitzgerald in una scena di The Fall of the House of Usher (2023) di Mike Flanagan, serie tv Netflix

…ed anche il personaggio che più di tutti spinge la sua famiglia nelle braccia di Verna, del tutto accecata dal desiderio di arricchirsi e di vivere una vita soddisfacente, e che, per salvare sé stessa, è disposta anche ad uccidere il fratello.

E quando effettivamente Roderick cerca di regalarle una morte dignitosa, quella di una regina, Madeline ritorna in vita e sfoga tutta la sua rabbia e frustrazione per una vita forse non così attraente come pensava, diventando lei stessa l’artefice della loro rovinosa dipartita.

Roderick Usher morte

Causa della morte

Strangolamento


Roderick Usher è colpevole del suo stesso tracollo.

Come la sorella, Roderick ha vissuto tutta la sua giovinezza nell’ombra del padre assente, un uomo ricco ed importante che non aveva fatto altro che usare come meglio credeva la madre, creando una discendenza di bastardi incattiviti.

Spinto dalla rampante intraprendenza di Madeline, Roderick riesce a penetrare l’azienda di famiglia, pur da figlio illegittimo, e così da entrare nelle grazie del capoccia di turno, la cui uccisione rappresenta una sorta di seconda morte della figura paterna tanto odiata.

Bruce Greenwood in una scena di The Fall of the House of Usher (2023) di Mike Flanagan, serie tv Netflix

Immediatamente successivo è il patto con Verna, che racconta tutta la superficialità del giovane Roderick, pronto ad intraprendere una vita di successo, del tutto protetto dalla giustizia terrena, cieco davanti alle vere prospettive di questa decisione.

La volontà di creare un mondo senza dolore – quindi risolvere a posteriori la morte della madre – e con dei figli bastardi ricoperti di attenzioni e di soldi, porta a risultati in realtà estremamente negativi.

Roderick Usher

Bruce Greenwood in una scena di The Fall of the House of Usher (2023) di Mike Flanagan, serie tv Netflix

Il mondo senza dolore fisico è in realtà una generazione di persone dipendenti da un farmaco, che ricadono nei peggiori scenari di dipendenza e di criminalità da strada, per una vita di dolore o di una morte umiliante.

Al contempo, la sua discendenza non trova in realtà alcuna felicità nel patrimonio del padre, tanto che lo stesso Roderick si dimostra quasi indifferente alla morte dei suoi figli, tanto incattiviti e distrutti dalla sua stessa eredità…

…con due importanti eccezioni.

Bruce Greenwood in una scena di The Fall of the House of Usher (2023) di Mike Flanagan, serie tv Netflix

Le uniche due morti per cui il protagonista mostra un po’ di pena è la terrificante dipartita di Victorine, e, soprattutto, la morte del tutto ingiusta di Lenore, che può essere felice solo dell’eredità che lei stessa ha lasciato nel mondo.

Alla fine della sua vita Roderick scopre di essere diventato nient’altro che la stessa figura paterna tanto odiata, con una vita vuota e piena di pentimenti, infine ucciso dalla sua stessa sorella…

Verna vera identità

Sic transit gloria mundi

Quanto è effimera la gloria terrena!

Verna non è il villain della serie.

Il suo personaggio non è altro che un mero esecutore della volontà di Roderick e di Madeline, che hanno scelto consapevolmente una vita votata al guadagno e al successo, indipendentemente dai sacrifici che ne conseguono.

Di fatto Verna permette semplicemente ai protagonisti umani di prendere la strada più facile per cambiare il mondo, obbiettivo che avrebbero in realtà potenzialmente potuto raggiungere senza il suo aiuto, ma magari qualche sforzo in più.

Carla Cugino in una scena di The Fall of the House of Usher (2023) di Mike Flanagan, serie tv Netflix

Di fatto Verna interviene nel momento in cui capisce che tipo di persone sono i due fratelli Usher: farebbero qualsiasi cosa pur di avere successo, persino proteggere un’azienda criminale, voltare le spalle ad una persona di fiducia e, infine, murare vivo un uomo.

Niente di tutto questo è opera di Verna.

Carla Cugino in una scena di The Fall of the House of Usher (2023) di Mike Flanagan, serie tv Netflix

Di fatto questo demone ha messo gli umani davanti ad una scelta di vita: se i due fratelli Usher hanno scelto la strada più semplice, ma anche più terribile, al contrario lo spietato avvocato Arthur Pym sceglie la via più dignitosa, nonostante lo porti alla prigione.

Così tutto il resto dei personaggi muore semplicemente per una colpa propria: Verna non uccide in realtà – ad eccezione di Lenore – veramente nessuno, ma mette la famiglia Usher davanti alle proprie paure e fragilità, e fai in modo che queste li distruggano.