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Il cigno nero – Lineare

Il cigno nero (2010) con protagonista Natalie Portman, è fra le opere più note della filmografia di Darren Aronofsky.

A fronte di un budget abbastanza contenuto – 13 milioni di dollari – fu un grande successo al botteghino, con 330 milioni di dollari di incasso.

Di cosa parla Il cigno nero?

Nina è una ballerina di grande talento, che però rischia di precludersi il successo per via della sua fragilità emotiva. Ma l’unico vero nemico è lei stessa…

Vi lascio il trailer per farvi un’idea:

Vale la pena di vedere Il cigno nero?

In generale, sì.

Non mi sento di sbilanciarmi nel consigliare questa pellicola, in quanto personalmente la trovo molto meno brillante rispetto al precedente Requiem for a dream (2000), dove il regista statunitense riusciva meglio a bilanciare l’aspetto più surreale e fantastico con un profondo contenuto riflessivo.

In questo caso invece Aronofsky, forse anche per adattarsi ai gusti di un pubblico più ampio, sceglie una regia più contenuta, meno sperimentale, e più invece vicina al taglio tipico dell’horror commerciale, con, in non pochi casi, l’abuso del taglio dark fantasy.

Uovo

Nina è ancora nell’uovo.

La protagonista è costantemente sferzata dalla madre per ottenere una tecnica perfetta, rimanendo però confinata in un guscio inscalfibile – la camera da letto – un ambiente in cui è costretta a rimanere ancorata ad un’identità infantile e illibata.

Per questo, nel ruolo del cigno bianco, questa figura eterea cristallizzata in una realtà senza tempo, è l’interprete perfetta – come gli conferma lo stesso Thomas – quasi come una ballerina giocattolo che non sbaglia mai un passo.

Ma non basta.

Istinto

La tecnica di Nina manca di carattere.

La protagonista si limita a seguire pedissequamente la parte, a portare una performance impeccabile, ma senza riuscire ad entrare nell’essenziale dualità del suo personaggio, motivo per cui inizialmente sembra perdere la parte.

In realtà, fin dall’inizio Nina è spinta da una forza contraria a quella della madre.

Infatti, Leroy la spinge ad un cambiamento caratteriale, senza mancare comunque di approfittarsi in qualche misura di questa innocente quanto manipolabile ragazza, che spinge soprattutto alla scoperta sessuale, così da farla evadere da questo perpetuo carattere virginale.

Anzitutto la mette alla prova mentendole sull’aver ottenuto la parte, portandola a mostrare un lato della sua natura che fino a quel momento gli aveva nascosto: quel morso sul labbro per sottrarsi dalla sua stretta è solo il primo degli indizi di un istinto sotterraneo…

…ma pronto ad emergere.

Alieno

Nina è alienata.

La protagonista è alla disperata ricerca di un nemico per giustificare la sua ossessione, il suo fallimento, cercandolo proprio in quelle figure che sente così lontane da sé, ma al contempo così desiderabili: le sue compagne, ma, soprattutto, Lily.

Infatti, in questa fascinosa ragazza Nina vede la sua peggiore contendente, la principale causa della sua ossessione, sempre pronta non solo a rubarle il ruolo, ma anche ad essere vincente dove la protagonista si sente una perdente.

Ovvero, nella seduzione.

In realtà, Nina è in lotta contro sé stessa.

Anche se la protagonista crede il contrario, la donna che ride sommessamente, la presenza nell’ombra che la perseguita, non è altro che la rappresentazione di un altro lato della sua interiorità, che lei cerca ora di combattere, ora di far emergere.

Questi sprazzi di verità emergono tutte le volte in cui Nina vede il suo volto sui corpi di quella che crede le sue nemiche, fino ad arrivare a confrontarsi ripetutamente con sé stessa allo specchio, quando ormai la trasformazione è in atto.

Pelle

La metamorfosi di Nina non può essere che violenta.

Costretta in una pelle che non riesce più a sopportare, fin dall’inizio la protagonista si continua a ferire, a graffiare, persino a strappare la pelle, come per permettere a quell’altra sé di, finalmente, emergere.

Una ferita che è anche una crepa su quell’aspetto così perfetto e, appunto virginale, su quell’uovo così intoccabile, che Nina ha il continuo istinto di distruggere, per liberarsi della vecchia pelle e diventare qualcos’altro.

La trasformazione definitiva è la parte che mi ha meno convinto.

Dopo aver ampiamente giocato con i più classici topos dell’horror di largo consumo, Aronofsky spinge fortemente l’acceleratore sull’elemento dark fantasy, andando a rendere visivamente una simbologia che sarebbe risultata molto più elegante se più contenuta.

In questo senso, Il cigno nero si salva, per così dire, insistendo in più momenti su come queste visioni orrorifiche siano completamente interne all’immaginazione di Nina, così da non sporcare una pellicola in cui l’elemento fantastico funziona fino ad un certo punto.

Realizzazione

La realizzazione finale è fondamentale per la definizione del personaggio.

Nina riscopre anzitutto il personaggio di Lily, che, per l’ennesima volta, si dimostra tutto tranne che una sua nemica – incoraggiandola anzi per la sua ottima performance – e, di conseguenza, comprende la sua vera natura.

Una natura che, tuttavia, non è veramente pronta ad accogliere, ma piuttosto a distruggere, per poi prenderne almeno temporaneamente il posto, entrando a tal punto nel personaggio da portare in scena l’esibizione perfetta, ma la sua tragica conclusione…

Il cigno nero sesso

Osservando le scene di sesso de Il cigno nero si potrebbe sostenere che in questo film la sessualità femminile venga demonizzata, o che comunque l’atto sessuale venga ricondotto a qualcosa di sporco, oscuro.

In realtà, credo che il film intenda imbastire un discorso più complesso.

Nonostante sicuramente il sesso sia rappresentato in maniera disturbante, questa scelta risulta funzionale ad offrire un commento, forse persino una critica, alla dualità sociale a cui spesso la donna è sottoposta.

Ovvero, santa o puttana.

In questo caso, cigno bianco e cigno nero.

L’intento potrebbe essere quello di raccontare la condizione di una donna – Nina – che si ritrova intrappolata fra un archetipo e l’altro: da una parte la società le dice devi lasciarti andare, sei frigida, dall’altra la ammonisce, accusandola di essere una puttana.

Secondo questa linea di pensiero, le scene di sesso vengono mostrate in maniera disturbante proprio perché è la protagonista stessa a sentirsi sporca, ma senza che il film intervenga esplicitamente per confermare la sua visione.

In questo è indicativo come la regia non esprima un giudizio sulla sessualità della rivale Lily, più libera e sicuramente più matura – da ogni punto di vista – rispetto invece a Nina.

Invece, secondo alcuni Nina viene punita per la sua sessualità.

In realtà, benché il film resti volutamente ambiguo al riguardo, mi sento comunque di dissentire: seguendo la storia de Il Lago dei Cigni, capiamo che la protagonista, come Odette, nella morte ritrova la libertà.

Di fatto in quel momento, riuscendo ad incarnare entrambi gli archetipi di cui sopra, può finalmente considerarsi perfetta per la società patriarcale: ha assolto al proprio compito, ora è libera dalle pressioni sociali.

Il cigno nero sesso

Tuttavia, in quello stesso momento muore perché si tratta di un obbiettivo fondamentalmente impossibile da raggiungere.

È letteralmente impossibile essere una donna.

In conclusione, secondo questa visione la società – rappresentata dal suo insegnante, Thomas – la spinge ad incarnare la sua versione illibata – il cigno bianco – ma la vuole anche nel ruolo di seduttrice il cigno nero.

Quindi finisce per ingabbiare la donna in uno o nell’altro stereotipo, anziché lasciarla libera di scegliere come approcciarsi alla sessualità, e, soprattutto impedendole di abbracciare anche una sana via di mezzo.

Ovvero, al di fuori di quel sistema rigido e binario.