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Sorry to bother you – Un sogno allucinato

Sorry to bother you (2018) è una commedia nera e surreale, scritta e diretta da Boots Riley, rapper e produttore cinematografico al suo esordio alla regia. Un film che si propone di denunciare in maniera divertente e pungente la realtà statunitense odierna, dello sfruttamento del lavoro e del razzismo onnipresente.

Al tempo fu un piccolo successo al botteghino: 18 milioni di dollari di incasso contro un budget di poco più di 3 milioni. E col tempo è entrato nel cuore di molti, andando ad infoltire la proposta cinematografica di genere satirico, ancora poco presente nel cinema mainstream.

Ma andiamo con ordine.

Di cosa parla Sorry to bother you

Sorry to bother you racconta la storia di Cassius, uno dei tanti giovani afroamericani in difficoltà economica, che porta avanti la sua vita fra lavori estenuanti e degradanti. Trova lavoro presso una compagnia di televendite e, su consiglio di un suo collega, comincia ad utilizzare la sua white voice, ovvero quel tono di voce che imita la parlata stereotipica dei ricchi statunitensi, per diventare un venditore di successo.

Questo lo porterà infatti a scalare i vertici dell’azienda, rivelandone i più assurdi e orribili segreti.

Perché guardare Sorry to bother you

Tessa Thompson e Lakeith Stanfield in una scena del film di Sorry to Bother You (2018) di Boots Riley

Sorry to bother you è una commedia intelligente e graffiante, che fa riflettere su una problematica tutt’ora molto pressante (e non solo in USA): inseguire il sogno del successo tramite il duro e sfiancante lavoro, con l’idea che questo sia facilmente ottenibile. Così anche, dall’altra parte, lo sfruttamento disumano della classe lavoratrice, fino ad una disumanizzazione della stessa per ottenere il massimo del guadagno.

Una filosofia capitalista che quindi colpisce entrambe le parti: sia chi investe nel lavoro, totalmente accecato dal desiderio di guadagno e del produrre sempre di più e più velocemente, sia chi lavora, ossessionato dall’idea di far carriera ad ogni costo. Insomma, un film di quattro anni fa, ma con una tematica ancora molto attuale.

Sorry to bother you fa per me?

Lakeith Stanfield in una scena del film di Sorry to Bother You (2018) di Boots Riley

Sorry to bother you è una pellicola non esattamente per tutti i palati. Mi sentirei di accostarla ad altri due film molto divisivi: Don’t look up (2021) per la tematica e Scott Pilgrim vs The world (2010) per il taglio surreale. Se vi piacciono questi due prodotti, ma anche se siete vicini al cinema di Jordan Peele, in particolare Us (2018), potrebbe essere un film per voi.

Più in generale, se vi piacciono le commedie al limite del grottesco, con tematiche molto forti e attuali, guardatelo. Se rifuggite i film surreali come la peste, passate ad altro.

Use your white voice

Lakeith Stanfield in una scena del film di Sorry to Bother You (2018) di Boots Riley

La questione della white voice è una delle più interessanti della pellicola: non semplicemente la voce da bianco in senso stretto, ma la voce che i bianchi americani associano ad un tipo di persona di successo, il modello di self-made man a cui aspirano.

Tuttavia, il protagonista rimane comunque una persona diversa per la comunità in cui cerca di inserirsi. Emblematica in questo senso la scena della festa a casa di Steve Lift, il capo dell’azienda, quando gli chiedono di rappare, capacità steroetipicamente associata alla comunità nera. E lui canta nigga shit, conquistando il plauso del pubblico.

Ed è l’utilizzo della white voice, così divertente ma anche grottesco, tanto da ricordarmi L’occhio più azzurro (1970, Toni Morrison), che porta il protagonista al successo. E infatti, quando diventa un Power Seller, deve abbandonare quasi del tutto la sua vera voce, che lo identifica appartenente alla comunità nera, e diventare il più possibile simile allo stereotipo di una persona bianca.

Vendere, vendere, vendere

Lakeith Stanfield e Armie Hammer in una scena del film di Sorry to Bother You (2018) di Boots Riley

La WorryFree è una delle trovate più geniali del film, perfetta per rappresentare la totale alienazione del lavoratore, che non può permettersi di vivere, e, lavorando per questa azienda, non dovrà più preoccuparsene, non dovendo mai abbandonare le vesti da lavoro. Probabilmente un attacco sottile ad Amazon, ma non solo.

Il passo successivo sono gli Equisapiens, nient’altro che una riproposizione moderna del concetto di schiavismo: persone private di ogni dignità e umanità, letteralmente. Questa soluzione assolutamente disumana ottiene tuttavia il consenso popolare, indice appunto di una società annebbiata dall’idea del guadagno a tutti i costi.

Il sogno allucinato

Armie Hammer in una scena del film di Boots Riley

Il film infatti non è altro che un racconto del sogno allucinato del capitalismo: tutti possono avere successo, tutti possono diventare dei Power Caller. È lì a disposizione, è sopra i vostri occhi, a portata di mano. Tuttavia la possibilità di ottenere quella vittoria è solo apparente: come è detto esplicitamente all’interno del film, facendo il lavoro degradante della classe media, non sarà mai possibile arrivare, nonostante il racconto che se ne fa, a certi livelli di guadagno.

E anche se uno su mille riesce ad ottenere quel successo, è un successo che richiede entrare nella mentalità del capitalismo selvaggio e senza scrupoli. Quindi abbandonare a poco a poco ogni moralità, fare di tutto per arricchirsi e acquisire il successo.