Amarcord (1973) è uno dei film più particolari di questa ultima fase della carriera di Fellini, che ritorna al neorealismo ormai carico di una nuova consapevolezza surrealista e onirica.
A fronte di un budget sconosciuto, ha incassato 197 mila dollari in tutto il mondo.
Di cosa parla Amarcord?
Fra il sogno e il surreale, Fellini ripropone i suoi ricordi di infanzia durante il Ventennio, fra i primi calori e i segreti della famiglia borghese.
Vi lascio il trailer per farvi un’idea:
Vale la pena di vedere Amarcord?

In generale, sì.
Amarcord è un film forse meno complesso rispetto ad altre produzioni di questa fase – come Giulietta degli spiriti (1965) – ma comunque, nel suo bozzetto grottesco e surreale della provincia italiana del Ventennio, fra pettegolezzi e segreti inconfessabili, non è una visione semplice.
Infatti da una parte sembra un ritorno al neorealismo dei primi anni della sua carriera, ma rimane innegabile tutta l’esperienza surreale e onirica che ormai definì le sue pellicole da 8½ (1963), tanto da risultare un esperimento quantomeno straniante…
…eppure, nella sua particolarità, una visione la merita.

Ricordo

La storia di Amarcord si articola fra il ricordo e il sogno.
In questo senso Fellini sembra in qualche misura ritornare al neorealismo della sua prima produzione – specificatamente a I vitelloni (1953) – ma con un taglio totalmente differente, ormai definito dal suo più recente gusto per il surreale e il grottesco – che, anche in questo caso, non manca.

Per questo, la narrazione del nutrito gruppo di personaggi in scena assume dei contorni surreali, financo esasperati da un contesto provinciale le cui figure perdono la loro umanità e diventano esseri quasi mitologici, con le loro storie fra la verità e il pettegolezzo.
Ma, il tema di fondo è, di fatto, sempre lo stesso.
Borghese

Fin dagli albori della sua produzione, Fellini ha sempre avuto un certo interesse nel deridere e distruggere la famiglia borghese.
Ma se in prodotti come Lo sceicco bianco (1952) la stessa era immersa in un’ironia più leggera e sognante, nel caso di Amarcord il regista la fa esplodere dall’interno, mettendo in scena un drammatico panorama di ostilità costituito da improbabili personaggi e situazioni…

…e dal racconto di un tentativo di mantenere intatte le apparenze anche davanti ai più evidenti scandali e alle più innegabili vergogne – nello specifico lo zio con evidenti turbe psichiche che viene portato a fare una scampagnata come se si trattasse di una domenica in famiglia come tante.
E, invece, progressivamente, tutta la verità di quella polvere nascosta sotto al tappeto prende piede, rivelandosi alla luce del sole.
Così, nell’urlo disperato dello Zio Teo troviamo un altro protagonista fondamentale della pellicola.
La donna.
Desiderio

Uno dei lati più iconici della filmografia felliniana è il suo rapporto con le donne.
Anche per la sua complessa situazione matrimoniale, progressivamente le donne felliniane diventarono sempre più esagerate e caricate, sempre più figure tipizzate e con specifici ruoli – la donna di classe, la prostituta, l’amore impossibile – ma con un punto in comune.
Ovvero, essere oggetto di uno sfrenato desiderio maschile.

Infatti le principali figure protagoniste della scena – la gradisca, Volpina e, soprattutto, la tabaccaia – sono sempre presentate come in una passerella fatta su misura dello sguardo maschile, che le desidera ma non le può mai davvero ottenere, con l’apice della tragedia di Titta, che lo costringe delirante a letto.
Insomma Fellini, forse sentendosi anche più libero in un panorama cinematografico mutato, mette in scena una sessualità esplosiva e proibita, punto di arrivo (?) di un climax ascendente già proprio di film come La dolce vita (1960), in questo filtrata dalla ingenua visione dei primi calori adolescenziali.

Eppure infine tutto si ricompone, tutto viene assorbito in una festa di paese che celebra la ricomposizione della famiglia borghese e che si lascia alle spalle come un sogno di fantasmi dispersi nella nebbia…
…in una panorama così surreale da non riuscire, paradossalmente, a capire neanche di essere davanti alla propria casa.