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Better Man – La solitudine della vetta

Better Man (2024) di Michael Gracey è un biopic musicale dedicato all’icona del pop Robbie Williams.

A fronte di un budget abbastanza importante – 110 milioni di dollari – è stato un clamoroso insuccesso commerciale, non riuscendo neanche ad avvicinarsi ai costi di produzione…

Di cosa parla Better Man?

Nella sua volontà di mettersi a nudo, l’icona della musica pop Anni Novanta (e non solo) indossa vesti… particolari.

Vi lascio il trailer per farvi un’idea:

Vale la pena di vedere Better Man?

Assolutamente sì.

Nonostante, visto il risultato disastroso al box office sia un film sostanzialmente sconosciuto al pubblico, Better Man gode di una qualità che pochi altri biopic musicali possono vantare: la volontà di essere profondamente sincero, e non di raccontarsi in una luce migliore.

Infatti con la sua biografia Robbie Williams ci svela le sue più importanti paure, ci racconta la carriera scricchiolante, i suoi passi falsi, all’interno di una pellicola con reparto tecnico di prim’ordine, capace di raccontare oltre che con le parole, con le immagini stesse. 

Insomma, da riscoprire.

Gara

Il racconto di Robbie Williams non si apre con i migliori presupposti.

Mentre il regista avrebbe potuto imbastire un racconto classico di predestinazione, in cui il successo era semplicemente il punto di arrivo di una carriera già scritta, al contrario sceglie di raccontare l’ossessione per il successo stesso che definì la sua infanzia e il rapporto con il padre.

Infatti Williams viveva nell’ombra importante del genitore, che si era convinto di essere invece predestinato alla fama, lasciando un piccolo quanto fragile spazio al figlio nell’accompagnarlo nella sua avventura, ma togliendoglielo immediatamente al minimo passo falso – come interrompere la trasmissione sul più bello.

Un posizione talmente fragile da scegliere infine di abbandonare il nucleo familiare per essere più vicino agli dei, per proseguire la sua sconclusionata carriera senza il peso parentale, inducendo paradossalmente il figlio ancora di più ad inseguirlo nella sua mediocre esistenza di padre quanto di di cantante.

Ma l’inizio dell’ascesa di Williams non è tanto più felice…

Successo

Sempre all’interno di una racconto onesto prima di tutto verso sé stesso, Williams ci svela la verità del suo successo.

Nonostante l’industria capitalistica vorrebbe farci credere il contrario, gran parte del successo di un personaggio dello spettacolo dipende dal suo essere smaliziato, dalla parola giusta al momento giusto, e dall’avere alle spalle le giuste persone capaci di modellare una figura pubblica vincente.

In questo modo Williams svela la realtà della macchina dello show business: le capacità del singolo, persino di un’icona della musica come il protagonista, valgono poco, mentre è molto più importante avere un atteggiamento che mostri di meritarsi di essere scelto per quel ruolo.

Così Williams riesce effettivamente ad attirare l’attenzione di Nigel, e di essere inserito all’interno della classica pop band creata a tavolino, in cui i suoi membri sono più dei pezzi di carne dati prima in pasto al pubblico queer, e poi alle ragazzine affamate di trovare il loro prossimo idolo da divorare.

E infatti la via verso il successo è lastricata di continui fallimenti.

Limbo

Con i Take That Williams è intrappolato in un limbo.

Sempre più insofferente nel voler indossare una veste che non gli appartiene, sempre più inebriato di un successo in cui non si riconosce, il protagonista si lascia assorbire in una spirale autodistruttiva in cui sono i suoi demoni ad avere la meglio, e a renderlo un personaggio totalmente inadatto a rimanere all’interno del gruppo.

Anche in questo caso sarebbe stato tremendamente facile raccontarsi come la mosca bianca dell’industria, come il personaggio che non ha voluto lasciarsi domare dal sistema e abbia deciso di intraprendere una vita solitaria verso un successo più meritevole e duraturo, basato sulle proprie capacità artistiche.

Al contrario, Williams racconta del periodo più difficile della sua vita, definito dal rinchiudersi in un silenzio artistico insopportabile, diventando così terribilmente simile al padre nell’osservare il successo degli altri e denigrarlo, ma incapace di costruirsi il proprio, mettendo in crisi persino la relazione con Nicole.

Ma anche la rinascita è soffocante.

Migliore

Robbie può essere un uomo migliore?

Per quanto il suo aprirsi ad un ruolo che ben più lo rappresenta passi da una maggior consapevolezza e sincerità artistica, la stessa non porta ad una liberazione delle sue paranoie, che anzi diventano sempre più assillanti, portandolo ad essere la versione peggiore di sé stesso…

…ma quella migliore per gli occhi del padre, che cannibalizza costantemente la sua figura e vive di luce riflessa, del tutto indifferente davanti alle grida di aiuto del figlio, che si rifugia nell’abuso di sostanze e che vive la sua esistenza esclusivamente in funzione della realizzazione del successo, rappresentato dal concerto al Knebworth Festival.

Eppure, proprio qui troviamo la resa dei conti.

Non sapremo mai – almeno non in questa pellicola – se lo spettacolo sia stato grandioso o catastrofico, ma diventiamo piuttosto spettatori dello scontro tanto rimandato che Robbie ha con sé stesso e con le proprie paure, trascinandosi in un ultimo atto di angoscia e ripensamento, che lo porta infine a muovere l’unico, vero significativo passo per migliorare la sua esistenza.

Ovvero, risolvere il conflitto col sé stesso bambino, che infine vede concretizzarsi il suo più grande sogno:

cantare a fianco del padre.