Thunderbolts* (2025) di Jake Schreier è un cinecomic Marvel facente parte della Fase 5 della timeline MCU.
A fronte di un budget medio per un cinecomic – 180 milioni di dollari – ha aperto piuttosto bene al box office, auspicando un buon successo commerciale.
Di cosa parla Thunderbolts*?
Yelena Belova, Ghost, John Walker e un misterioso quarto personaggio si trovano coinvolti in una missione suicida. Ma l’obbiettivo non è quello che pensavano…
Vi lascio il trailer per farvi un’idea:
Vale la pena di vedere Thunderbolts*?

Assolutamente sì.
Dopo non pochi inciampi, la Marvel riesce a portare finalmente e nuovamente in scena un film solido, che, pur con qualche mancanza anche significativa lato scrittura, riesce complessivamente a funzionare molto bene e a gestire la dinamica di gruppo in maniera con grande lucidità e abilità.
Nondimeno, la pellicola contiene al suo interno uno dei migliori villain visti in tempi recenti in casa MCU, che non è – come spesso capita – un figura anonima e funzionale unicamente al mettere alla prova l’eroe, ma una minaccia profonda e significativa per l’evoluzione del gruppo.
Insomma, dategli un’occasione.

Scrupolo

Nonostante Thunderbolts* sia un film corale, Yelena è il fulcro della trama.
E per questo la sua introduzione è estremamente funzionale.
Il suo personaggio vorrebbe raccontarsi come un mercenario senza scrupoli e senza legami, che agisce meccanicamente per concludere la missione senza particolari remore, anzi apparendo – o volendo apparire, appunto – come quasi annoiata e disinteressata alla sua vita.
Nella realtà, un elemento della primissima missione è un indizio visivo cardine per la comprensione dei personaggi.

Consapevole di dover fare esplodere l’intero edificio, Yelena addocchia un porcellino d’india, probabilmente cavia per il laboratorio che sta distruggendo, e lo porta con sé salvandolo da morte certa per sua stessa mano, quasi una sorta di feticcio per rimarcare un salvataggio che non è riuscita a compiere in passato…
…ma soprattutto un elemento apparentemente fine a sé stesso ma che invece racconta perfettamente i personaggi in scena, che vogliono fare credere di essere del tutto privi di emozioni e di rimorsi, ma che in verità sono schiacciati dagli stessi, mantenendo e nascondendo quel briciolo di umanità che li ha sconfitti in primo luogo.
Ed è proprio questo che infine li unisce.
Introduzione

L’introduzione credibile di un gruppo di eroi è un’impresa estremamente complessa…
…e di antieroi ancora di più.
Di fatto la Marvel con questo film si trovava sul precipizio di un inciampo per nulla desiderabile: portare in scena un gruppo di cattivi rinsaviti incredibilmente piatti e fini a sé stessi, incapaci di creare un legame – emotivo e non – credibile e che ci facesse concretamente tifare per loro, senza dover arrivare ad uno status finale di gruppo senza che ci fosse stata nessuna effettiva costruzione.

In altre parole, Suicide Squad (2016).
Al contrario, i protagonisti di Thunderbolts* sono fin da subito raccontati come accomunati da un dramma comune: aver, per motivi diversi, vissuto esperienze traumatiche e tanto devastanti da renderli delle vittime inermi della crudeltà di Valentina della Fountain, di cui diventano personaggi assolutamente sacrificabili proprio per il loro essere irrimediabilmente soli.
E proprio qui troviamo un altro ostacolo significativo.
Thunderbolts villain

Con la gestione perigliosa degli ultimi anni, l’MCU si è trovato fra le mani un nutrito gruppo di personaggi dalle provenienze più disparate: film molto lontani nel tempo, alcuni veri e propri flop – e quindi poco conosciuti – o film molto meno memorabili – o, peggio di tutto, serie TV che si pretende che il pubblico conosca a menadito.
Invece, forse memori di quel pasticciaccio di The Marvels (2023), in cui i personaggi mancavano totalmente di un’introduzione estremamente necessaria, in Thunderbolts* riusciamo a conoscere nuovamente i protagonisti tramite poche ma significative battute che rimarcano alcuni eventi salienti delle loro esistenze.

E le stesse si inseriscono all’interno di un comicità piuttosto aspra, che però permette ai personaggi di raccontarsi fra loro cose che già sanno, ma di rendere delle battute pungenti che sono anche la matrice che li porta progressivamente ad unirsi in un gruppo, prima per la reciproca sopravvivenza, poi per salvare una vittima come loro.
Per questo Centry merita un discorso a parte.
Costruito

Bene o male la maggior parte dei film Marvel si basano su un racconto del supereroe piuttosto classico.
Il protagonista infatti solitamente scopre i suoi poteri e viene messo alla prova in un contesto del tutto positivo, in cui deve trovare il suo spazio all’interno di un contesto per molti versi ostile – e, proprio tramite il suo percorso di affermazione come eroe, diventa significativo per il pubblico e per la storia.
Ma The Boys, nel bene e nel male, ha cambiato tutto.

Se infatti ai tempi di Civil War (2016) poteva apparire quantomeno bizzarro vedere una sorta di burocratizzazione del supereroe con i Trattati di Sokovia, ormai la trama dell’eroe creato a tavolino è quasi scontata per i nuovi prodotti del genere, ma nondimeno risulta efficace anche nel contesto di Thunderbolts*.
Anzi, forse la parte introduttiva di Centry è la più indovinata.

Bob appare come un personaggio totalmente fuori posto, una figura che si è trovata sulle strade dei protagonisti per puro caso, senza mostrare la minima capacità speciale, anzi risultando quasi un peso all’interno di un gruppo che cerca in qualche modo di salvarsi, nonostante vengano comunque seminate le prime avvisaglie che ci sia qualcosa di più.
Da questo punto di vista la parte più debole è quella successiva, in cui Centry viene prima rivelato per la sua cera natura, poi preso al lazo dalla Contessa Serbelloni, che funge da villain politico della pellicola, e si lascia in poco tempo piegare alle nuove richieste con una velocità quasi allarmante.
Ma, nondimeno, l’ultimo atto è il poi significativo.
Depressione

Anche se non viene detto esplicitamente, il vero villain di Thunderbolts* è la depressione.
Anche se ci arrivano per vie diverse, a loro modo tutti i protagonisti vivono su un precipizio, ad un passo dall’essere risucchiati da un vuoto profondo e incolmabile, dove Centry li spinge ancora di più, facendomi rivivere le cause della loro condizione con realismo davvero angosciante.

Per questo è tanto più interessante la rappresentazione della depressione stessa, un’ombra che ci consuma e che ci definisce, portandoci totalmente ad annullarci e a diventare il fulcro di un vortice di distruzione e autodistruzione in cui coinvolgiamo anche tutto quello che ci circonda, in parabola inaspettata quanto genuinamente straziante.
Eppure, dentro di noi niente è cambiato.

Per questo Yelena sceglie consapevolmente di immergersi in questa tenebra, e li ritrova la vera natura di Bob, un giovane solo ed indifeso, che avrebbe solo voluto essere importante, utile per qualcuno, senza invece farsi soffocare da quel senso di impotenza e di inutilità che porta la sua depressione a definire tutta la sua personalità.
Un personaggio che avrebbe ancora molto da dire, ma chissà se gliene daranno lo spazio…