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Tre manifesti a Ebbing, Missouri – Una favola violenta

Tre manifesti a Ebbing, Missouri (2017) è uno dei titoli più apprezzati di Martin McDonagh, con cui conquistò l’Academy sia per la sua sempre ottima scrittura della storia e dei personaggi, sia per il suo incredibile cast.

Con un budget abbastanza contenuto – fra i 12 e i 15 milioni di dollari – incassò piuttosto bene: 160 milioni in tutto il mondo.

Di cosa parla Tre manifesti a Ebbing, Missouri?

Mildred è una donna indurita dalla vita, che ha appena perso la figlia, e che cerca ancora di farsi giustizia, a modo suo…

Vi lascio il trailer per farvi un’idea:

Vale la pena di vedere Tre manifesti a Ebbing, Missouri?

Frances McDormand e Woody Harrelson in una scena di Tre manifesti a Ebbing, Missouri (2017) di Martin McDonagh

Assolutamente sì.

Tre manifesti a Ebbing, Missouri è un film che riesce a colpirmi e a coinvolgermi ad ogni visione, proprio per la capacità di McDonagh nel bilanciare perfettamente – anzi, in questo caso anche in maniera pure più eleganteun profondo elemento drammatico con una comicità da bar.

Un film intenso, con attori straordinari che portano in scena personaggi assolutamente imperfetti, quasi negativi, ma che, proprio nella loro debolezza e cattiveria, risultano estremamente tridimensionali ed interessanti.

Mostrare i muscoli

Frances McDormand e Sam Rockwell in una scena di Tre manifesti a Ebbing, Missouri (2017) di Martin McDonagh

Fin da subito la pellicola racconta come Ebbing sia una cittadina violenza.

Infatti, i manifesti di Mildred, donna rigida e indomabile, sono la miccia che porta all’esplosione di una brutalità che in realtà era già presente nel corpo di polizia stesso, dominato dal razzismo e dalla violenza tipici dell’arida provincia statunitense.

Nonostante in un primo momento il diretto interessato – lo sceriffo Willoughby – cerchi di riportare la donna sui suoi passi, Mildred ribadisce la sua testardaggine, affermando sfacciatamente di aver anzi voluto sfruttare la situazione personale dell’uomo per i suoi fini.

Frances McDormand in una scena di Tre manifesti a Ebbing, Missouri (2017) di Martin McDonagh

In questo modo non si fa altro che creare una faida interna alla città, una sorta di lotta fra gang, in cui i diversi personaggi si schierano contro o a favore della decisione di Mildred, con esplosioni di violenza piuttosto esplicita, come il grottesco incontro col dentista.

Tuttavia, il punto di arrivo di questa situazione è la consapevolezza.

In principio la consapevolezza dello sceriffo, quando cerca di minacciare ed intimidire Mildred, ma finendo per rinsavire per colpa di un innocuo colpo di tosse, che gli ricorda che le sue ore sono contate e che è ora di concludere la sua esistenza in maniera dignitosa.

Le origini della rabbia

Parallelamente, scopriamo le origini del dramma di Mildred.

McDonagh sceglie consapevolmente di non raccontare un personaggio distintamente positivo, una madre addolorata che non riesce a venire a patti con la tragica scomparsa della figlia, ma, piuttosto, una donna che si sente in colpa per la morte della stessa.

Sottolineando come, purtroppo, ha anche ragione di esserlo.

Infatti, in poche, ottime inquadrature viene raccontata la difficile situazione familiare della protagonista, in costante antagonismo con Angela, al punto da arrivare sostanzialmente a spingerla – pur involontariamente – nelle braccia del suo assassino e stupratore.

Tuttavia, la rabbia di Mildred non è scaturita solo nel non riuscire a fare giustizia a sua figlia, neanche da morta, ma anche dal fatto di essere già da prima una donna inascoltata, proprio per la violenza domestica che ha subito, ma a cui nessuno ha creduto, nemmeno sua figlia.

Una situazione volutamente molto ambigua: la protagonista passa dall’essere sbattuta violentemente al muro dall’ex marito, al cercare un momentaneo conforto con lo stesso, per poi cacciarlo nuovamente di casa.

Allo stesso modo il figlio, fino a quel momento irrimediabilmente in disaccordo con la madre, non esita neanche un momento nel difenderla dalla violenza del padre.

L’eredità violenta

Woody Harrelson e Sam Rockwell in una scena di Tre manifesti a Ebbing, Missouri (2017) di Martin McDonagh

Con la sua morte, Bill Willoughby è il personaggio risolutore della vicenda.

Come anticipato, lo sceriffo raggiunge infine la consapevolezza della sua prossima dipartita, e capisce di avere la possibilità di risolvere questa lotta intestina, anzitutto offrendo il suo indiretto sostegno alla lotta di Mildred, pagando per un altro mese i tanto odiati manifesti.

Ma è soprattutto tramite le lettere che risolve la situazione.

Inizialmente sembra che la battaglia si sia solo inasprita, nella cieca rabbia di Dixon e di Mildred: se l’ex poliziotto prima aggredisce il povero Red, per poi dare fuoco ai manifesti, a sua volta la donna appicca un incendio nella stazione di polizia.

Sam Rockwell in una scena di Tre manifesti a Ebbing, Missouri (2017) di Martin McDonagh

Ma, proprio mentre è inconsapevolmente immerso dalle fiamme, Dixon raggiunge la sua consapevolezza grazie alla lettera del defunto amico.

Lo sceriffo infatti gli spiega come abbia tutte le qualità per essere un buon poliziotto, ma che non riesca ad esserlo perché manca di un elemento fondamentale: l’amore – o, meglio, l’effettivo coinvolgimento nei casi trattati, in particolare quello di Angela.

E allora Dixon fa l’inaspettato.

Affronta le fiamme e sceglie di rischiare la propria vita pur di salvare i documenti del caso della figlia di Mildred, che aveva pigramente lasciato a marcire sulla propria scrivania per tanto tempo.

E questo atto è anche il primo momento di consapevolezza di Mildred.

Qualcosa è cambiato

Il cambiamento di Mildred avviene grazie alla cena con James.

Ancora sicura della sua posizione, la donna accetta freddamente le derisioni infantili dell’ex-marito, e non sembra per nulla pentita per come tratta il suo compagno di cena. Finché è lo stesso James a sbottare e a metterla davanti alla realtà del suo insostenibile comportamento.

E questo cambia tutto.

Se la Mildred di un tempo avrebbe reagito violentemente al comportamento di Charlie, questa volta, pur avvicinandosi minacciosa al suo tavolo, sceglie invece di mettere definitivamente l’uomo al suo posto, accettando in un certo senso la sua nuova relazione.

Sam Rockwell in una scena di Tre manifesti a Ebbing, Missouri (2017) di Martin McDonagh

Parallelamente Dixon viene premiato per la sua scelta di prendere in mano il caso di Angela, trovando l’occasione per dimostrare il suo valore.

Se in passato l’ex-poliziotto avrebbe semplicemente ignorato le battute origliate al bar, questa volta sceglie invece di mettersi in prima linea, iniziando una rissa che sa già che perderà, pur di riuscire ad acquisire il DNA che potrebbe essere il punto di svolta per il caso.

In questo modo passa da essere nemico ad alleato di Mildred, che gli è riconoscente anche solamente per avergli dato un giorno di speranza.

Frances McDormand in una scena di Tre manifesti a Ebbing, Missouri (2017) di Martin McDonagh

E di nuovo vengono messi alla prova.

Dixon propone alla protagonista, in maniera neanche troppo sibillina, di utilizzare quell’uomo, quel sicuro stupratore, come capro espiatorio per la morte di Angela, portando avanti una giustizia privata in risposta all’incapacità della polizia di intervenire.

Tuttavia, finalmente questi due problematici personaggi si rendono conto di non voler più seguire quella strada, ma piuttosto di scegliere un percorso verso l’accettazione del lutto e del buono che, tutto sommato, lo stesso ha portato.

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In Bruges – Spogliare il genere

In Bruges (2008) è una delle prime opere di Martin McDonagh, e anche fra quelle più apprezzate della sua produzione.

Con un budget piuttosto risicato – appena 15 milioni di dollari – incassò abbastanza bene: circa 34 milioni in tutto il mondo.

Di cosa parla In Bruges?

Ray e Ken sono due mercenari che, dopo il loro omicidio, devono nascondersi nella città di Bruges, in Belgio…

Vi lascio il trailer per farvi un’idea:

Vale la pena di vedere In Bruges?

In generale, sì.

Per quanto apprezzi molto questo film, non mi sento di consigliarvelo spassionatamente: è un mix micidiale fra il dramma più sanguinoso e spinto, e una comicità nerissima.

Tuttavia se, come me, avete apprezzato Gli spiriti dell’isola (2022), sarete ancora una volta piacevolmente sorpresi dall’arguzia di questo regista nel sorprendere lo spettatore, ora con una risata angosciante, ora con una ripresa rivoltante.

Insomma, arrivateci preparati.

Un inizio sbagliato

Brendan Gleeson in una scena di In Bruges (2008) di Martin McDonagh

L’inizio di In Bruges per un attimo sembra l’incipit di un giallo hard boiled

…ma subito si rivela per quello che è.

Oltre all’introduzione della voce narrativa assolutamente fuori luogo, viene mostrata una situazione che, se non ci fossero di mezzo due killer ed un omicidio, sembrerebbe propria di una commedia enemy to lovers tipica di quegli anni.

Infatti, i due protagonisti sono totalmente contrapposti per carattere e atteggiamento, riuscendo a sostenere la presenza l’uno dell’altro solo per dovere, con un incalzare piuttosto insistente per portare in scena anche il terzo uomo, Harry.

L’introduzione del dramma

Colin Farell in una scena di In Bruges (2008) di Martin McDonagh

Dopo un primo atto quasi totalmente umoristico, l’introduzione del dramma è sconvolgente.

Sia la scoperta della dinamica del primo omicidio di Ray, con una vittima innocente di mezzo, sia l’ordine piuttosto veemente di Harry, penetrano la comicità della pellicola e la rendono improvvisamente molto più angosciante, con un’alternanza sconvolgente fra picchi più profondamente drammatici e momenti apertamente comici.

Brendan Gleeson in una scena di In Bruges (2008) di Martin McDonagh

Seguiamo Ken mentre, silenziosamente, accetta l’ordine di Harry, da cui scopriamo essere legato da un retroscena ben più importante della vita del suo compagno di delitti, fino ad avvicinarsi al momento dell’uccisione…

…improvvisamente interrotto da una scena quasi comica, in cui scopriamo che già di per sé Ray non riesce a continuare a vivere con il peso del suo delitto sulle palle.

E allora viene temporaneamente congedato di scena.

Picchi

Ralph Fiennes in una scena di In Bruges (2008) di Martin McDonagh

Il terzo atto viene scatenato dalla telefonata di Ken, che porta finalmente in scena Harry, fino a quel momento presenza invisibile della storia.

Anche con Harry si costruisce un importante contrasto: appartenente un killer spietato e legato ai concetti di onore e responsabilità, ma al contempo anche un family man che rassicura amorevolmente i suoi cari sul fatto che tornerà presto a casa.

Tutta la parte finale è definita sempre di più dal contrasto fra comico e drammatico: dal discorso struggente di Ken, al momento di commedia quasi slapstick di Harry che gli spara alla gamba, fino all’annientamento del protagonista quando cerca di fermare il suo capo dall’uccidere il suo giovane amico.

Brendan Gleeson in una scena di In Bruges (2008) di Martin McDonagh

A partire dalla morte di Ken, la regia gioca con il metanarrativo e il grottesco: una rapida inquadratura mostra il suo corpo distrutto mentre parla con l’amico, cercando inutilmente di salvarlo, ma le sue ultime parole rivelano come gli stessi personaggi siano consapevoli delle dinamiche della storia:

I’m gonna die now, I think.

Credo che ora morirò.

Allo stesso modo la situazione di stallo fra Ray e Harry, che dovrebbe essere estremamente drammatica e altisonante, in realtà si rivela un rocambolesco accordo fra le parti, con l’inevitabile morte del primo…

Brendan Gleeson in una scena di In Bruges (2008) di Martin McDonagh

…ma non è finita.

Dopo aver sparato altri colpi per finire il protagonista, involontariamente Harry colpisce anche Jimmy, che, così vestito, sembra un bambino.

E non servono a niente le parole di Ray per dissuaderlo dal suicidio, lasciando in bocca allo spettatore un piccolo sorriso per il paradosso drammatico e grottesco della scena…

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2022 Avventura Commedia nera Dramma storico Drammatico Film Humor Nero Martin McDonagh Nuove Uscite Film Oscar 2023 Surreale

Gli spiriti dell’isola – La piccola guerra

Gli spiriti dell’isola (2022) di Martin McDonagh – traduzione piuttosto maldestra del titolo originale The Banshees of Inisherin – è uno dei più importanti film candidati agli Oscar 2023, oltre ad essere una delle maggiori sorprese di quest’anno.

A fronte di un budget piuttosto risicato – appena 20 milioni di dollari – ha prevedibilmente incassato davvero poco: appena 33 milioni di dollari in tutto il mondo (finora).

Il cinema semplice road to oscar 2022 che si svolgeranno il 28 marzo 2022

Candidature Oscar 2023 per Gli spiriti dell’isola (2022)

(in nero i premi vinti)

Miglior film
Miglior regista
Miglior attore protagonista a Colin Farrell
Miglior attore non protagonista a Brendan Gleeson
Miglior attore non protagonista a Barry Keoghan
Miglior attrice non protagonista a Kerry Condon
Migliore colonna sonora
Miglior sceneggiatura originale
Miglior montaggio

Di cosa parla Gli spiriti dell’isola?

1923, Irlanda. L’amicizia fra Pádraic e Colm si interrompe improvvisamente, per volontà del secondo, che si rifiuta addirittura di parlargli. E la sua ottusità raggiunge livelli inaspettati…

Vi lascio il trailer per farvi un’idea:

Vale la pena di vedere Gli spiriti dell’isola?

Colin Farrell in una scena di Gli spiriti dell'isola (2022) di Martin McDonagh

Assolutamente sì.

Gli spiriti dell’isola è un film particolarissimo, e neanche facilmente digeribile – complice l’umorismo veramente nerissimo e la profonda angoscia che lascia a visione conclusa. Una di quelle pellicole incredibili in cui, da un momento all’altro, riesci a passare da una risata fragorosa ad un totale ammutolimento.

Ma, proprio per questo, un film assolutamente da recuperare.

Il titolo originale è The Banshees of Inisherin.

Inisherin è semplicemente il luogo dove è ambientata la vicenda, mentre per le banshee bisogna fare un discorso a parte.

Il film dà abbastanza per scontata la conoscenza di tale figura mitologica, ma in realtà è meno diffusa di quanto si potrebbe pensare. Per esempio, io non conoscevo la mitologia specifica, ma le reinterpretazioni della serie tv Teen wolf e del videogame The Witcher 3.

La banshee è una creatura leggendaria dei miti irlandesi e scozzesi, la quale, a seconda delle tradizioni, ha un’accezione positiva o negativa. In generale, si tratta di una figura mitologica legata alla morte.

È infatti invisibile agli occhi degli esseri umani, se non quando questi sono prossimi al decesso, mostrandosi avvolta in un pesante velo, piangendo o addirittura gridando davanti all’inevitabile trapasso.

Sotto la superficie

Colin Farrell e Brendan Gleeson in una scena di Gli spiriti dell'isola (2022) di Martin McDonagh

Apparentemente Gli spiriti dell’isola racconta la storia di un’amicizia finita, che prende delle vie sempre più surreali e grottesche per via dell’ottusità di Colm.

In realtà, la pellicola racconta molto di più.

L’indizio visivo principale viene mostrato quando, all’inizio del film, Pádraic vede una colonna di fumo che rappresenta i lontani disordini della Guerra Civile. E la stessa colonna di fumo la vede quando dà fuoco alla casa del suo amico.

E proprio in questo parallelismo si racchiude il vero significato del film.

Colin Farrell e Brendan Gleeson in una scena di Gli spiriti dell'isola (2022) di Martin McDonagh

Proprio parallelamente alla storia principale della pellicola, si svolgono gli avvenimenti della Guerra Civile Irlandese. La stessa scoppiò a seguito della Guerra d’Indipendenza Irlandese, che portò ad un trattato di pace con l’Impero Britannico.

Un trattato che, però, non venne accettato da tutti.

E, nonostante diversi tentativi di rappacificamento delle parti, scoppiò una guerra drammaticamente sanguinosa, dove si trovano a combattere l’uno contro l’altro amici e persino fratelli, tutto per l’ottusità, da entrambe le parti, di non voler arrivare ad un compromesso.

Il picco avvenne negli ultimi momenti del conflitto, quando ci furono il maggior numero di vittime e diversi incendi alle case dei nemici.

Vi suona familiare?

Gli spiriti dell’isola è sostanzialmente una Guerra Civile Irlandese in piccolo.

L’ottusità e le cinque dita

Colin Farrell e Brendan Gleeson in una scena di Gli spiriti dell'isola (2022) di Martin McDonagh

Il perpetuarsi del conflitto è quasi del tutto dettato dall’ottusità di Colm, che si rifiuta insistentemente di riallacciare i rapporti con il suo amico.

E proprio la sua ottusità viene ben rappresentata dalla minaccia – e realizzazione – dell’amputazione delle dita, che si presta a diverse interpretazioni. Andando infatti ad indagare le intenzioni del regista, la stessa può essere ricollegata ad una paura atavica dell’artista: perdere lo strumento della sua arte.

Tuttavia Colm concretizza questa realtà volontariamente, quasi a volersi togliere ogni possibilità di diventare veramente l’artista che sogna di essere, ricordato nei secoli, in una sorta di perversa spirale autodistruttiva.

Ma, più semplicemente, può essere letta come rappresentazione di quanto Colm creda nella distruzione del rapporto con Pádraic.

Umani

Brendan Gleeson in una scena di Gli spiriti dell'isola (2022) di Martin McDonagh

La forza de Gli spiriti dell’isola è di riuscire a raccontare, pur nella sua follia, una vicenda profondamente umana.

Colm e Pádraic hanno due caratteri totalmente opposti, ed è anche in qualche misura comprensibile che il più vecchio dei due non abbia voglia di perdere altro tempo con il più giovane e la sua insopportabile stupidità. Andandosi, fra l’altro, del tutto ad isolare in un contesto già molto isolato.

E le dinamiche con cui i due personaggi si relazionano appaiono vere e profonde, anche quando virano sul lato più surreale e grottesco.

La scena che mi ha più colpito è quella in cui Pádraic viene colpito dal poliziotto, e Colm lo raccoglie da terra e conduce il suo carro fino a casa. In quel momento di apparente calma e riconciliazione, Pádraic scoppia in un pianto sommesso ma profondamente sofferto, un pianto nostalgico per qualcosa di apparentemente irrisolvibile.

La morte

Barry Keoghan in una scena di Gli spiriti dell'isola (2022) di Martin McDonagh

Gli spiriti dell’isola parla non solo di amicizia e conflitto, ma anche e soprattutto di morte.

E il titolo ne è indizio fondamentale.

La banshee più facilmente identificabile è ovviamente Mrs. McCormick, che appare proprio come la vecchia megera, l’uccellaccio che prevede – e augura – la morte. In realtà, come abbiamo visto, queste figure mitologiche non sono altro che osservatrici e cassandre, quindi si limitano ad annunciare la morte imminente.

E il titolo non indica una sola banshee, ma diverse banshee.

Colin Farrell e Brendan Gleeson in una scena di Gli spiriti dell'isola (2022) di Martin McDonagh

In questo caso si aprono più interpretazioni: si potrebbe considerare come banshee tutti i membri della comunità dell’isola, che vedono chiaramente lo scoppio del conflitto con le sue nefaste conseguenze.

Oppure, più sottilmente, si potrebbero considerare banshee gli animali stessi, che sono parte dominante della scena in diverse occasioni, testimoni silenziosi del dramma in atto.

Da notare anche l’interessante foreshadowing sul destino nefasto di Dominic: fin dall’inizio il ragazzo tiene in mano uno strumento di morte, il bastone che serve per raccogliere i cadaveri caduti in acqua, dove infatti morirà.

E lo stesso bastone, dopo la sua morte, sarà in mano a Mrs. McCormick…