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Night & Day of the dead – L’inizio della fine

Night of the living dead (1968) e Day of the dead (1985) rappresentano rispettivamente l’inizio e la fine della trilogia originale degli zombie di George Romero, che ha come perno centrale il ben più famoso Dawn of the Dead (1978).

Rispetto al grande successo commerciale del capitolo mediano, gli altri due film ebbero un riscontro minore, ma comunque positivo: entrambi incassarono intorno ai 30 milioni di dollari, con un budget rispettivamente di 114 mila dollari e di 3,4 milioni.

Di cosa parlano Night & Day of the dead?

Come primo capitolo della saga, in Night of the living dead si racconta l’inizio dell’epidemia zombie e i primi tentativi di arginarla:

Al contrario, il capitolo conclusivo è ambientato negli Anni Ottanta e racconta i tentativi dei pochi sopravvissuti di ricostruire la società umana:

Vale la pena di vedere Night & Day of the dead?

Bub lo zombie in una scena di Day of the dead (1985) di George Romero

In generale, sì.

Partiamo col dire che si tratta di due film molto diversi, sia per taglio narrativo che per tematiche proposte: in Night of the living dead troviamo una poetica ancora acerba, per cui Romero riflette sulla società umana, ma senza aver un target specifico come per Dawn of the Dead.

Al contrario Day of the dead è il film più vicino al capitolo mediano, che rappresenta in maniera anche piuttosto diretta un periodo storico molto lontano per noi, ovvero quello della politica reaganiana, con tutte le conseguenze nella mentalità e nella società con la Guerra Fredda agli sgoccioli e dopo il disastro della Guerra del Vietnam.

Insomma, da vedere.

Night of the Living Dead

Il film è stato interpretato in diverse direzioni, nessuna delle quali secondo me definitiva.

In questa sede, per puro divertissement, ho scelto di abbracciare la lettura sulla Guerra Fredda.

Molto umani

John zombie in una scena di Night of the living dead (1968) di George Romero

Uno dei grandi meriti di Romero, soprattutto in Night of the living dead, è il riuscire a portare in scena gli zombie con poco.

I non-morti infatti sono definiti esteticamente giusto da pochi tocchi di trucco, mentre l’efficacia dei loro personaggi risiede nell’ottima presenza scenica degli attori, che risultano assolutamente credibili – sicuramente grazie alla direzione piuttosto abile e consapevole di Romero.

In questo senso si apre il primo spunto nei confronti del tema della Guerra Fredda: gli zombie non sono così tanto indistinguibili dagli umani, tanto che nella primissima scena John non riesce a comprendere il pericolo imminente del cimitero, anzi schernisce Barbra per il suo essere spaventata.

Harry in una scena di Night of the living dead (1968) di George Romero

In questo elemento si può leggere una rappresentazione dell’isteria collettiva che serpeggiava negli anni di una guerra non più materiale, ma principalmente psicologia e di propaganda, in cui per gli statunitensi era davvero semplice dubitare di chiunque e di additarlo come nemico.

Per questo, gli zombie rappresenterebbero appunto i sovietici.

Una storia di uomini

Harry in una scena di Night of the living dead (1968) di George Romero

Come sarà poi anche per Dawn of the dead, il centro della storia non sono gli zombie, ma i personaggi umani.

Di fatto i non-morti sono degli elementi sostanzialmente di contorno, una minaccia presente e pressante, ma che raramente è al centro della scena, ma che anzi è posta ai margini della stessa fino all’ultimo atto, quando l’home invasion ha finalmente la sua esecuzione.

Barbra in una scena di Night of the living dead (1968) di George Romero

Nei rapporti fra i personaggi dentro la casa si può leggere una rappresentazione dei diversi atteggiamenti nel contesto post-bellico: se infatti da una parte troviamo un Ben che sceglie di stare in prima linea, con lo sguardo puntato sulla minaccia esterna e pronto a combatterla…

…dall’altra Harry insiste nel rifugiarsi nella cantina, che può essere letta come una rappresentazione dei rifugi anti-atomici che non pochi statunitensi avevano dentro le porte di casa, il rifugio estremo all’interno dell’angoscia costante del periodo.

Ma infine nessuna tecnica è vincente.

Divorati dall’interno

Ben in una scena di Night of the living dead (1968) di George Romero

Le morti dei personaggi sono estremamente esplicative.

Anzitutto la dipartita di Barbra, ormai distrutta dalla nevrosi, che si butta fra le braccia del fratello perduto e tanto ricercato, incapace di accettare che lo stesso è ormai un nemico – ovvero, secondo questa lettura, una spia sovietica.

Altrettanto interessante è la morte di Harry, che cercava un rifugio estremo e sicuro nella cantina, del tutto cieco davanti al pericolo che lui stesso ha in casa – in un altro senso, ignaro di come dei simpatizzanti col nemico fossero proprio dentro le mura domestiche.

Harry in una scena di Night of the living dead (1968) di George Romero

Ma la morte più indicativa è quella di Ben, che sembra essere riuscito a scampare la morte grazie alla sua intelligenza e lucidità, ma che viene abbattuto dai suoi stessi compatrioti, che neanche si sprecano nel controllare che il personaggio sia effettivamente un loro nemico.

Per questa scena si possono prendere due strade interpretative, che in realtà si congiungono: Ben è ucciso da un gruppo di bianchi che utilizzano la situazione solamente come occasione per perpetuare il loro razzismo violento…

…e che al contempo continuano a ricercare il nemico all’esterno, mentre la vera ostilità è interna agli Stati Uniti stessi.

Day of the Dead

Per Day of the Dead la tematica sottostante è più chiara: una critica piuttosto aspra al modello economico e sociale di Ronald Reagan, che all’uscita del film era alla vigilia del suo secondo mandato.

Ricostruire e distruggere

Rodhes in una scena di Day of the dead (1985) di George Romero

Day of the dead si apre su un paesaggio desolante, in cui ormai gli zombie dominano il mondo e la civiltà umana è ridotta ad uno sparuto gruppo di personaggi.

Un barlume di speranza rimane nel laboratorio sotterraneo, dove si cerca di trovare una soluzione all’epidemia, ma è che è fin troppo sferzata da un Capitano Rhodes sempre più tirannico.

Nella visione di Romero, questo personaggio rappresenta il peggio della società reaganiana: una corsa alla soluzione facile e veloce, con uno stringente militarismo esaltato come eroico in una società americana appena uscita dalla Guerra in Vietnam e nel pieno della Guerra Fredda.

Il femminile anomalo

Sarah in una scena di Day of the dead (1985) di George Romero

Altrettanto indicativo del pensiero reaganiano è il trattamento del femminile.

La Dottoressa Sarah è costantemente osteggiata dalla maggior parte dei personaggi maschili, proprio in quanto donna indipendente e senza figli, condizione che la rende un perfetto bersaglio da umiliare ed insultare.

Il suo personaggio è infatti troppo lontano dall’ideale femminile materno e casalingo, esaltato dalla politica reaganiana, contro invece personaggi femminili fin troppo indipendenti raccontati come il motivo del fallimento del modello familiare.

Proprio per questo Sarah perde tutta la sua dignità davanti agli altri uomini, che la umiliano costantemente per avere una relazione extra-matrimoniale.

Isteria

Bub zombie in una scena di Day of the dead (1985) di George Romero

Nel trattamento dedicato agli zombie si può intravedere un racconto piuttosto crudele dell’attività politica reaganiana nei confronti dell’abuso di droghe.

Bub, lo zombie rieducato dal Dottor Logan, potrebbe in questo senso raccontare la figura del tossicodipendente che tenta una via di riabilitazione all’interno di un centro di cura, e così l’epidemia zombie può essere anche letta come un racconto del picco di dipendenza da sostanze che si registrò negli USA in quel periodo.

Rodhes in una scena di Day of the dead (1985) di George Romero

Così nell’atteggiamento totalmente ostile di Rhodes si può altresì leggere un racconto della semplificazione di Reagan nella sua lotta all’abuso di droghe, che sostanzialmente risultava nel dividere i cittadini fra buoni e cattivi.

In questo senso Bub agli occhi del Capitano è disgustoso ed irrecuperabile, al punto da sottovalutarlo e così da portare alla morte stessa del suo personaggio, aiutata in gran parte dal preciso colpo di pistola dello zombie, che non lo uccide, ma gli impedisce di fuggire…

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Dawn of the Dead – I veri mostri

Dawn of the Dead (1978) di George Romero – in Italia uscito con il titolo di Zombi, ma spesso noto con nome di L’alba dei morti viventi – è probabilmente lo zombie movie più famoso della storia del cinema.

Purtroppo con la traduzione italiana si perse il senso di progressione della trilogia di Romero, cominciata nel 1968 con The Night of the Dead e continuata nel 1985 con The Day of the Dead.

Un prodotto che ebbe numerosi sequel e remake – in particolare quello di Zack Snyder del 2004 col titolo omonimo – parodie – lo splendido Shaun of the Dead (2004) di Edward Wright – nonché numerose citazioni e omaggi – non ultima quella di South Park in Illogistico (9×22).

Di cosa parla Dawn of the dead?

Dopo lo scoppio di una misteriosa pandemia che fa rinascere i morti, uno sparuto gruppo di sopravvissuti si rifugia in un centro commerciale…

Vi lascio il trailer per farvi un’idea:

Vale la pena di vedere Dawn of the dead?

Assolutamente sì.

Dawn of the Dead non è solamente un classico del genere horror, ma soprattutto un unicum per gli zombie movie.

Infatti, sotto l’apparenza di survival movie, si cela una ben più aspra critica agli Stati Uniti degli Anni Settanta e, più in generale, al consumismo e al capitalismo occidentale imperante.

Oltre a questo, la pellicola si distingue per un apparato tecnico davvero superbo, in particolare per un’effettitistica che si può annoverare fra le migliori di quegli anni, insieme ad Alien (1979) ed a La Cosa (1982).

Insomma, un film imperdibile, che fa riflettere ancora oggi.

Un assaggio

Ken Foree in una scena di Dawn of the Dead (1978) di George Romero

Dawn of the dead, essendo un sequel, parte subito di corsa.

La pandemia è già iniziata, il pericolo è alle porte, e questo primo breve atto consente allo spettatore di avere un assaggio dell’orrore e della violenza così crudelmente materiale della pellicola, che non manca di mostrarci fiumi di sangue e membra strappate a morsi.

Questa mancanza di un’introduzione all’orrore è in realtà incredibilmente funzionale al messaggio del film, basato proprio sull’assenza di un’effettiva distinzione fra il prima e il dopo, fra gli zombie assetati di carne umana e gli umani stessi…

La fame

Se banalmente sembra che gli zombie vogliano, nella più classica delle tradizioni del genere, mangiare i cervelli e le carni dei sopravvissuti, in realtà lo scambio fra i protagonisti sul perché i non morti si dirigono in un centro commerciale è rivelatorio della loro vera fame:

They don’t know why, they just remember. Remember that they want to be in here.

Non sanno perché, ricordano solamente che vogliono essere qui.

Difatti il centro commerciale era una novità negli anni dell’uscita della pellicola…

…ed è il tipo di spazio che è definito come non-luogo: una realtà artificiosa, che mima le atmosfere di una piccola città – la piazza, i palazzi, i ristoranti – ma che in realtà è solo un meccanismo pensato per far alimentare la voracità consumistica dei suoi avventori.

Una scena di Dawn of the Dead (1978) di George Romero

Di fatto il cliente quando entra in questi luoghi non ha bisogno di uscirne, non vuole di fatto farlo, perché vi trova tutto quello di cui ha bisogno, bombardato costantemente da nuovi stimoli a spendere, ad acquisire nuovi oggetti senza che questi siano di fatto necessari…

Per questo è ancora più indicativa la definizione che viene data dei non morti:

These creatures are nothing but pure, motorized instinct.

Queste creature non sono altro che puro istinto motorizzato.

Quindi gli zombie non sono altro che gli statunitensi stessi, del tutto lobotomizzati e incapaci di pensare razionalmente, schiavi di un desiderio consumistico insaziabile, che, persino da morti, li porta ad invadere questo luogo…

I veri mostri

Ken Foree in una scena di Dawn of the Dead (1978) di George Romero

Se gli zombie sono dei personaggi quasi comici, financo grotteschi, per il loro modo di comportarsi e la musica che spesso accompagna le loro scene, il vero focus del film sono i protagonisti umani.

È come se, provocatoriamente, Romero ci chiedesse: i non morti e i sopravvissuti sono tanto diversi?

Anche se apparentemente sembra di sì, in realtà i protagonisti scelgono il centro commerciale come luogo in cui rifugiarsi non perché sia la scelta migliore in quel momento, ma perché irrazionalmente attratti dalla quantità di beni a disposizione, anche se questi non sono minimamente utili alla loro sopravvivenza.

Scott H. Reiniger in una scena di Dawn of the Dead (1978) di George Romero

E per questo si mettono costantemente in pericolo, divertendosi come dei bambini a scorrazzare per i corridoi e gli infiniti negozi del centro, al punto da ricreare in un certo senso i loro spazi quotidiani – una casa perfettamente arredata – ma che, proprio come il centro commerciale, sono del tutto fittizi e artificiosi.

Un ulteriore spunto riflessivo sulla contemporaneità è suggerito dal terrificante contrasto fra le scene gioiose, quasi comiche, dei protagonisti che uccidono gli zombie ed esplorano gli spazi, e la crudeltà delle uccisioni, sbudellamenti, abbuffate che portano la maggior parte dei personaggi alla morte.

Con questo contrasto Romero racconta degli Stati Uniti affogati nel sogno capitalista e consumista, che si nutre di questo ideale totalmente illusorio, beandosi di una realtà alternativa e dimenticandosi gli orrori di cui è circondata – nel film gli zombie, nella realtà la guerra, la criminalità, il degrado sociale…

L’ossessione del possesso

Ken Foree in una scena di Dawn of the Dead (1978) di George Romero

La drammaticità dell’ossessione per il possesso e il consumismo viene ancora più svelata nell’atto conclusivo.

I protagonisti vengono attaccati e devono difendersi, ma la lotta da nessuna delle due parti è per la sopravvivenza, ma piuttosto per, ancora una volta, una smania di possesso, che porta a delle scene veramente disturbanti…

…come i bikers che strappano gli anelli dalle mani degli zombie, l’ilarità quando si impossessano di soldi che ormai non hanno alcun valore e, soprattutto, la frase pronunciata da Stephen mentre punta il fucile contro gli intrusi:

It’s ours, we took it.

È nostro, lo abbiamo conquistato.

I protagonisti quindi sono incapaci di pensare lucidamente, del tutto dipendenti da questo mondo scintillante e pieno di false promesse, tanto che Peter dice esplicitamente di non volersene andare, e sceglie solo infine di seguire Fren, le cui parole riecheggiano dolorose per tutto il terzo atto:

What have we done to ourselves.

A che cosa ci siamo ridotti.