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La battaglia delle cinque armate – Il non finale

Lo Hobbit – La battaglia delle cinque armate (2014) di Peter Jackson è l’ultimo capitolo della trilogia prequel de Il Signore degli Anelli.

E anche, a sorpresa, il capitolo più debole.

Incassò bene, ma perdendo qualche centinaio di milioni lungo la strada: a fronte di un budget di circa 300 milioni di dollari, incassò 956 milioni di dollari in tutto il mondo.

E se consideriamo che il primo capitolo aveva incassato 1,1 miliardi…

Di cosa parla La battaglia delle cinque armate?

Ora che Smaug è stato risvegliato, Laketown teme per la sua salvezza. Ma non è l’unico nemico all’orizzonte…

Vi lascio il trailer per farvi un’idea:

Vale la pena di guardare La battaglia delle cinque armate?

Ian McAllen Luke Evans in una scena di Lo Hobbit - La battaglia delle cinque armate (2014) di Peter Jackson

Come dire, a questo punto sì.

Nel senso che vale la pena, arrivati a questo punto, concludere la trilogia e vederne il finale. E questo nonostante sia un finale veramente debole, che gioca tanto sul fanservice, in maniera che sul momento mi ha anche colpito.

Tuttavia, ripensandoci, non mi ha lasciato un buon sapore in bocca.

Tuttavia, è stato complessivamente un film abbastanza deludente, molto pasticciato per certi versi, e che mi ha abbastanza nauseato per l’uso poco attento della CGI

Maledetta CGI, ha rovinato la CGI

Benedict Cumberbatch in una scena di Lo Hobbit - La battaglia delle cinque armate (2014) di Peter Jackson

Quando ci troviamo davanti ad un prodotto ambientato in un contesto fantastico è assolutamente normale, sopratutto per le grosse produzioni, che gli ambienti siano totalmente in digitale.

Ma non tutte le CGI sono uguali.

Per esempio, per quanto per me non sia invecchiata perfettamente, il reparto tecnico di Avatar (2009) è ancora oggi molto credibile e, per la maggior parte, invecchiato molto bene alla prova del tempo. Invece la CGI di La battaglia delle cinque armate è talmente un disastro da essere quasi nauseante.

Già l’avevo notato per lo scorso film, ma in questo caso Laketown in fiamme è un vero incubo.

una scena di Lo Hobbit - La battaglia delle cinque armate (2014) di Peter Jackson

E non è neanche tutto il problema.

Al di là degli orchi con una character design poco convincente, i troll che si vedono in alcune scene sono davvero tremendi, da ogni punto di vista.

E sembra veramente la pietra tombale della carriera di Jackson, dal momento che è andato contro la stessa innovazione che aveva portato, basata molto principalmente sugli effetti speciali materiali che quelli digitali.

Ma per questa trilogia, e soprattutto questo capitolo, si è totalmente ubriacato di questa tecnica.

Il dramma di Thorin

Richard Armitage in una scena di Lo Hobbit - La battaglia delle cinque armate (2014) di Peter Jackson

Forse l’unica parte che mi ha veramente convinto di questa pellicola è stata la storyline di Thorin.

Nonostante una messinscena a volte leggermente delirante, ho trovato sia il suo dramma, sia l’interpretazione di Richard Armitage, davvero coinvolgente. La follia di Thorin è il culmine del suo rapporto con Bilbo, l’unico personaggio che riesce effettivamente a salvarlo.

Tuttavia, per quanto sia un elemento trattato in maniera molto interessante, è altrettanto dimenticato per la seconda parte del film, quando la storia del personaggio diventa molto più lineare e prevedibile.

E non è neanche l’unico elemento di chi ci si dimentica…

Liberarsi dei propri personaggi

Richard Armitage in una scena di Lo Hobbit - La battaglia delle cinque armate (2014) di Peter Jackson

Mi ha lasciato alquanto contraddetta la gestione delle morti dei personaggi.

Solitamente in un film, quando si uccidono dei personaggi abbastanza importanti – e soprattutto quando si vuole fare una buona scrittura – si lascia lo spazio per elaborare il lutto e dare in generale importanza alla tragedia avvenuta.

In La battaglia delle cinque armate, per quanto Thorin goda complessivamente di un momento abbastanza toccante, lo stesso non si può dire del resto dei suoi compagni, che sembrano morire come mosche, senza che agli sceneggiatori interessasse così tanto…

…oppure sono stati incapaci di raccontarcelo.

E ho trovato particolarmente grave che ci sia una scena come quella di Gandalf e Bilbo sulle macerie, che non trasmette un briciolo della tragicità che dovrebbe (o vorrebbe).

Ma la parte veramente grave arriva prima.

L’epopea dei cinque minuti

Evangeline Lilly in una scena di Lo Hobbit - La battaglia delle cinque armate (2014) di Peter Jackson

Per il precedente film ero rimasta, a sorpresa, abbastanza soddisfatta dal personaggio di Tauriel, meno disastroso di quanto mi ricordassi.

Poi è arrivata la fine de La battaglia delle cinque armate.

Non so se è stata più assurda la morte di Kíli, causata sopratutto dalla stupidità di Tauriel, o il confronto che la stessa ha con Thranduil alla fine della battaglia. È così evidente come volessero raccontare un’importante storia d’amore finita tragicamente.

Ma si sono dimenticati che la stessa si regge su basi debolissime, soprattutto proprio per una grave mancanza di spazio nel montaggio finale.

Si chiude un cerchio ne La battaglia delle cinque armate

La struttura narrativa di questo prodotto eredita un problema fondamentale dello scorso film: il cliffhanger finalizzato all’hype.

Probabilmente, visti i risultati al botteghino, è stata una mossa indovinata per mantenere gli incassi del precedente, che già erano calati rispetto al primo. Tuttavia, ho inevitabilmente sentito come l’inizio di questa pellicola non fosse altro che un epilogo del precedente.

E, fondamentalmente, il film avrebbe potuto cominciare mezz’ora più tardi.

una scena di Lo Hobbit - La battaglia delle cinque armate (2014) di Peter Jackson

Oltre a questo, personalmente mi ha deluso molto la poca varietà della trama, che è fondamentalmente focalizzata intorno ad un unico punto, a differenza dei precedenti.

L’unica scelta che mi ha relativamente convinto è il finale che non è altro che un inizio, perché riprende una delle scene iniziali proprio La compagnia dell’Anello. Tuttavia, vista la fretta e la poca cura, questa conclusione mi è sembrata molto improvvisata e mi ha lasciato un senso di vuoto.

Come se non ci fosse stato un effettivo finale…

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La desolazione di Smaug – Solo alla fine

Lo Hobbit – La desolazione di Smaug (2013) è il secondo capitolo della trilogia prequel de Il Signore degli Anelli, sempre diretta da Peter Jackson. Un sequel che aveva la grande attrattiva di un personaggio così monumentale come Smaug, solo marginalmente rivelato alla fine del primo film.

Ma d’altronde questa saga vive di hype.

La pellicola incassò piuttosto bene, anche se con un riscontro leggermente inferiore rispetto alla saga originale: 958 milioni di dollari a fronte di un budget di 180.

Di cosa parla La desolazione di Smaug?

Bilbo e la compagnia dei nani di Thorin continuano la loro avventura alla volta della Montagna Solitaria, dove si annida un nemico molto minaccioso…

Vi lascio il trailer per farvi un’idea:

Vale la pena di vedere La desolazione di Smaug?

Martin Freeman in una scena di Lo Hobbit - La desolazione di Smaug (2013) di Peter Jackson

Assolutamente sì.

Se avete visto lo scorso capitolo, non avete motivo per non continuare l’avvincente avventura di Bilbo, che viene ripresa proprio in medias res, ovvero dove era stata lasciata alla fine della scorsa pellicola.

Anzi, secondo me ci troviamo davanti ad un secondo capitolo anche migliore del precedente, con un terzo atto in particolare piuttosto avvincente, che mi ha colpito più di quanto mi aspettassi…

Una simpatica quest (ancora)

Martin Freeman in una scena di Lo Hobbit - La desolazione di Smaug (2013) di Peter Jackson

Questo film mi ha trasmesso le stesse sensazioni del precedente, ovvero di una simpatica quest in tono decisamente più scanzonato rispetto alla saga originale. E senza che questo debba per forza essere un aspetto negativo: semplicemente, una simpatica avventura con deviazioni e imprevisti che mi ha piacevolmente intrattenuto.

La maggior parte delle vicende hanno un sottofondo comico e quasi cartoonesco, ben raccontato con la regia sempre fresca e dinamica di Peter Jackson, in particolare durante l’avvincente scena a fuga dagli elfi.

Una costruzione che mi ha lasciato un buon sapore in bocca, nonostante la maggior parte della pellicola sia concentrata su vicende che c’entrano in maniera veramente marginale Smaug, che era stato invece pubblicizzato (comprensibilmente) come il centro della vicenda.

Non dico che fosse un bait, ma poco ci mancava.

La grande attrattiva di Smaug

Martin Freeman e Benedict Cumberbatch in una scena di Lo Hobbit - La desolazione di Smaug (2013) di Peter Jackson

Ma tutto viene perdonato per quanto è intrigante ed avvincente la parte dedicata a Smaug. E questo è dovuto sia al perfetto character design del personaggio, sia alla fantastica interpretazione di Benedict Cumberbatch.

Infatti, in un momento di follia, Jackson ha deciso di portare in scena questo personaggio coinvolgendo Cumberbatch in una pazzesca motion capture, in modo che non gli desse solo la voce, ma anche movenze:

E anche la caratterizzazione è impressionante: Smaug non solo è avido e profondamente malvagio, ma è anche troppo sicuro di sé stesso, raccontandosi come un’arma mortale e invincibile. E invece…

…manca la vittoria dei personaggi.

Tutto per l’hype

Benedict Cumberbatch in una scena di Lo Hobbit - La desolazione di Smaug (2013) di Peter Jackson

Molta della narrazione de Il Signore degli Anelli è basata sull’idea che una piccola e apparentemente innocua creatura come un hobbit sia capace di battere nemici potenti come Sauron. E solitamente infatti la narrazione si concentra su come il minuscolo protagonista, grazie al suo coraggio e alla sua astuzia, riesca a vincere.

In questa pellicola invece, sembra che ci sia una costruzione per cui Thorin riesce a mettere insieme un complesso piano per sconfiggere Smaug, battendolo con l’intelligenza, non essendo capace di sconfiggerlo con la forza.

E invece il suo piano fallisce.

Anche se non ho dubbi che nel prossimo film – che non ricordo minimamente – i nostri eroi riusciranno a fare la pelle anche ai nemici più imbattibili, ricordandoci come non serve essere forti per essere vincenti…per ora è tutto stato sacrificato per l’hype e un cliffhanger inaspettato.

CGI, che passione!

Mentre ammiravo il fantastico character design di Smaug – uno dei meglio riusciti della trilogia – mi sono resa conto di quanto fosse scricchiolante in certi punti la CGI.

E Smaug è il meno.

Per me la bellezza de Il Signore degli Anelli era anche l’evidente utilizzo, per la maggior parte delle scene, di spazi reali e di trucco prostetico, che rendevano molte scene e personaggi magari più caserecci, ma decisamente più d’impatto e credibili.

E se posso tutto sommato accettare gli orchi, che per la maggior parte hanno un design interessante, ho davvero mal sopportato la nauseante costruzione tutta in digitale di alcune location, particolarmente Laketown.

E davvero certe scene di questo film sono invecchiate di gran lunga peggio rispetto a quelle de Il Signore degli Anelli

Tauriel: che bello essere dei token!

Martin Freeman e Benedict Cumberbatch in una scena di Lo Hobbit - La desolazione di Smaug (2013) di Peter Jackson

Un grande problema, se così possiamo dire, è che la materia originale de Il Signore degli Anelli non si presta particolarmente ad un cast inclusivo, in praticamente nessuna direzione.

Assolutamente comprensibile per un romanzo scritto cinquanta e più anni fa, ma di fatto poco vendibile.

E negli anni hanno cercato di metterci più di una pezza.

Il cast femminile ne Il Signore degli Anelli era al limite del disastroso: passavamo da Arwen, il classico personaggio femminile che sospira e si emoziona drammaticamente in una relazione romantica impossibile, a Eowyn, una forzatura su gambee di cui ho già parlato abbastanza.

L’unico personaggio più interessante era di fatto Galadriel, che non a caso è diventata protagonista di Rings of Power, che però nella saga ha uno screentime molto più limitato di quanto ci si ricordi.

E poi c’è Tauriel.

Devo ammettere però che, per quanto Tauriel sia senza ombra di dubbio un token, me la ricordavo decisamente peggio. Almeno per La desolazione di Smaug, è un personaggio femminile abbastanza funzionante, che si ribella, ma non in maniera forzata e poco credibile, ma tutto sommato interessante.

E almeno non ho trovato la sua storia romantica non è terribilmente noiosa e inutilmente drammatica come quella di Aragorn e Arwen.

Parliamo di Thranduil in La Desolazione di Smaug

Uno dei miei personaggi preferiti in assoluto della trilogia è senza dubbio Thranduil.

Oltre al fatto che adoro il suo character design, sono semplicemente innamorata di Lee Pace come attore – che fra l’altro abbiamo visto recentemente in un ruolo analogamente fantastico nella serie tv Fondazione.

E personalmente ho un interesse abbastanza limitato di quanto questo personaggio sia fedele o meno al canone tolkieniano.

Perché non riesco ad immaginare un elfo più elfo di questo personaggio.

Con tutto che indubbiamente l’attore ha caricato leggermente la recitazione nella scena del confronto con Thorin…

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Un viaggio inaspettato – Una simpatica quest

Lo Hobbit – Un viaggio inaspettato (2012) è il primo capitolo della trilogia prequel del Signore degli Anelli, sempre diretta da Peter Jackson.

Un prodotto che ebbe una produzione molto più tormentata rispetto alla trilogia originale – che, ricordiamo, era stata girata tutta insieme nel giro di 8 mesi.

Un film che costò quasi il doppio rispetto ai film precedenti (180 milioni di dollari), e che però arrivò subito a superare il miliardo di incasso, con 1,1 miliardi di dollari in tutto il mondo.

Di cosa parla Lo Hobbit – Un viaggio inaspettato?

Mentre Bilbo sta concludendo le sue memorie e per festeggiare il suo 111esimo compleanno, ricorda l’inizio della sua inaspettata avventura…

Vi lascio il trailer per farvi un’idea.

Vale la pena di vedere Lo Hobbit – Un viaggio inaspettato?

Martin Freeman e Richard Armitage in una scena di Lo Hobbit - Un viaggio inaspettato (2012) di Peter Jackson

In generale, sì.

Ma ci sono dei grossi ma.

Il punto è che sta tutto come volete intraprendere la visione di questa pellicola e della trilogia in generale: se lo prendete a sé stante, è un film assolutamente godibile e complessivamente ben fatto.

Se invece siete profondamente legati alla trilogia originale, o se siete dei tolkieniani puristi (e pure un po’ incazzati), vi consiglio caldamente di passare ad altro.

Per il vostro bene.

Un eroe diverso

Martin Freeman in una scena di Lo Hobbit - Un viaggio inaspettato (2012) di Peter Jackson

Ho già ampiamente parlato del tipo di eroe che è Frodo: profondamente tragico, fallibile e vicino allo spettatore.

E si definisce anche più nettamente in confronto col tipo di personaggio che invece è Bilbo. Come punto di partenza hanno avuto la buona pensata di non caricare il personaggio con la stessa tragicità della sua controparte della trilogia originale.

Perché gli sarebbe stata stretta.

Bilbo è in tutto per tutto un eroe comico, che comincia un’avventura in tono molto minore e che ha una conclusione positiva. Oltre a questo, è un personaggio che rappresenta un pubblico molto più adulto rispetto a quello del primo, con tutti i problemi da adulto.

E forse è stata proprio quella l’idea: agganciare il pubblico dei fan ormai cresciuti, a dieci anni di distanza…

Una simpatica quest

Una scena di Lo Hobbit - Un viaggio inaspettato (2012) di Peter Jackson

Mentre guardavo la pellicola mi sono resa conto che aveva molto più il sapore di quest da GDR rispetto alla trilogia originale.

Infatti, rispetto a La compagnia dell’anello, l’obbiettivo molto più vicino e raggiungibile, il viaggio presenta una serie di deviazioni dal percorso, che comprendono anche il trovare la direzione effettiva per l’obbiettivo.

Purtroppo già qui si sente il voluto allungamento della trama, dovendo distribuire un libro di appena 400 pagine su tre capitoli. Tuttavia la più grossa deviazione del film, la trappola dei goblin, è anche quella che porta la scena migliore.

La sequenza di Gollum

Andy Serkis in una scena di Lo Hobbit - Un viaggio inaspettato (2012) di Peter Jackson

L’incontro di Gollum e Bilbo era uno dei momenti più importanti da raccontare: non solo definisce l’incontro con l’anello, ma anche la decisione più importante della vita del protagonista.

Non uccidere Gollum.

La sequenza a loro dedicata mi è particolarmente piaciuta perché è stata trattata con la giusta tragicità, e per tutto il tempo sentivo il pericolo di Gollum, che abbiamo già conosciuto come una creatura infida e bestiale.

Tuttavia, come Frodo dopo di lui, Bilbo prova una profonda pietà nei confronti di questo personaggio. In effetti Smeagol è in fondo una creatura di cui avere pietà: un hobbit che ha perso ogni elemento di umanità ed è diventato una figura bestiale, ma, soprattutto, miserabile.

La questione di Thorin

Thorin è una delle maggiori polemiche che hanno circondato questa saga.

In effetti, anche per come ci erano raccontati e come li avevamo visti in Il signore degli anelli e poi anche in Rings of power, i nani hanno dei tratti molto marcati e anche molto buffi.

Infatti Gimli era il comic relief della saga originale.

Tuttavia in questa saga avevano bisogno di un personaggio che fosse fondamentalmente la controparte di Aragorn. E non poteva avere un aspetto meno affascinante…

È un discorso incredibilmente triste da fare, ma è anche molto realistico: se Thorin non avesse avuto questo aspetto non sarebbe stato credibile nel suo personaggio.

Le aquile di Gandalf e altre amenità di un viaggio inaspettato

Fin dal Signore degli Anelli, impazza la cosiddetta polemica delle aquile di Gandalf. Molto banalmente, non pochi spettatori si sono lamentati per come le aquile arrivano sia alla fine de Il ritorno del re (2003), sia alla fine di Un viaggio inaspettato come deus ex machina.

Come al solito, mi sono informata.

E ho tre cose da dire.

Anzitutto, a livello strettamente letterario e di canone, no, le aquile non potevo arrivare prima e no, non potevano trasportare direttamente i protagonisti alla loro destinazione. Questo banalmente perché le aquile sono delle divinità, non degli animaletti da compagnia, e intervengono solamente quando lo ritengono necessario.

Ad un livello quasi metanarrativo, Gandalf non vuole rendere così semplice il viaggio né di Frodo né di Bilbo, perché lo stesso non è un semplice percorso, ma un viaggio che permette anche ai personaggi di crescere e maturare. Tanto più che lo stesso Gandalf è una creatura divina, quindi molto più in alto rispetto alle piccole vicende della Terra di Mezzo.

In ultimo, come ho già mostrato, non sono d’accordo con questa polemica, ma mi sento vicina ad un concetto piuttosto importante: se allo spettatore viene la domanda perché non è stato fatto prima? non è un buon segno. E se ne Il ritorno del re la questione per me non si pone, tutto il comportamento di Gandalf sul finale (aquile permettendo) è comunque discutibile e denota una sceneggiatura per certi tratti abbastanza traballante.

Come va considerato lo Hobbit

Ci tengo a dire due parole su questa questione.

Io capisco perfettamente quale sia stato il problema per molti fan della trilogia originale davanti a questo prodotto.

Banalmente, manca della stessa epicità.

Ma è indubbio che lo stesso taglio narrativo sarebbe stato tremendamente fuori posto davanti alla materia raccontata. Come detto, l’avventura di Bilbo è decisamente in tono minore rispetto a quella di Frodo. E di conseguenza è stata trattata.

E per me va bene così.

Con tutto che ci sono degli indubbi difetti soprattutto nella gestione della storia, ma che non vanno a mettere in discussione l’intera operazione.

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Il ritorno del re – Il peso dell’anello

Il Signore degli Anelli – Il ritorno del re (2003) è il terzo e ultimo capitolo della trilogia diretta da Peter Jackson tratta dall’opera di Tolkien.

Un ultimo episodio che doveva reggere sulle spalle una conclusione epica di un racconto complesso e pregno di significati. E ovviamente la conclusione dell’avventura è incredibile, anche se…

Davanti ad un budget di 94 milioni, raggiunse un risultato tanto epico quanto il film: 1,140 miliardi di dollari in tutto il mondo.

Di cosa parla Il ritorno del re?

Sam e Frodo vengono condotti in quello che sembra essere l‘unica via per raggiungere il Monte Fato, ma anche quella più ingannevole…

Nel frattempo, Aragorn e Gandalf devono gestire la complessa situazione politica e militare che ancora furoreggia.

Vi lascio il trailer per farvi un’idea:

Vale la pena di guardare Il ritorno del Re?

Ian McAllen in una scena di Il Signore degli Anelli - Il ritorno del re (2003) di Peter Jackson

Ovviamente sì.

Se state guardando, soprattutto se per la prima volta, la trilogia di Peter Jackson non potete perdervi l’epico (e lo è davvero!) finale della saga. Come sempre rimarrete probabilmente senza parole davanti alla bellezza degli effetti speciali, della regia dinamica, della profondità narrativa di questa pellicola.

Incredibile come un film basato su un’opera così complessa abbia creato una saga così incredibile, che non ha perso praticamente mai un colpo, ma ha proseguito di gran carriera verso un incredibile finale, fra l’altro con tempi anche piuttosto stretti.

Uno di quei prodotti che non si può mancare di vedere almeno una volta nella vita, insomma.

L’aspetto battagliero

Ian McAllen in una scena di Il Signore degli Anelli - Il ritorno del re (2003) di Peter Jackson

La parte militare è la parte che ho trovato personalmente meno interessante del film a livello intrattenitivo.

Per diversi motivi, fra cui il fatto che è in generale la parte che meno mi interessa dei film in toto, ma anche perché, diversamente dallo scorso capitolo, non vi è quasi nessuna costruzione narrativa oltre alla battaglia, ma è lo scontro il punto stesso del discorso.

Con tutto che le scene di battaglie sono dirette magistralmente, il lato tecnico è al limite della perfezione, e pieno di colpi di scena di grande interesse ed efficacia.

Ma c’è un grosso ma…

Lode all’odio (di nuovo) ne Il ritorno del re

Come avevo già raccontato per lo scorso capitolo, non riesco veramente a sopportare il personaggio di Eowyn.

E ne Il ritorno del Re ho trovato incredibilmente forzato darle tutta quella importanza nella storia, quando il suo ruolo era assolutamente accessorio. E, soprattutto, è assolutamente poco credibile che, in una società così profondamente medievale, una donna sia in primo luogo capace di combattere.

Perché Eowyn non mena colpi a casaccio, ma riesce anzi ad evitare le botte di un personaggio come Angmar e a sconfiggerlo con veramente troppa facilità. E con la battuta più agghiacciante dell’intero film.

Ma capisco le necessità produttive.

Fine delle cose che non mi piacciono di questa pellicola.

Il peso dell’anello

Direi che non mi aspettavo niente di meno dalla conclusione della storyline di Frodo.

Il nostro protagonista è ormai avvelenato dal potere dell’anello, e viene ancora di più deviato dalle maligne bugie di Gollum. Così, per gelosia dell’anello, si rivolta contro il suo amico. Ma questa ovviamente è la scelta peggiore: appena si lascia alle spalle Sam, viene subito punito dagli eventi.

A dimostrazione ancora una volta che questa avventura sarebbe stata impossibile per Frodo senza Sam al suo fianco…

Il ruolo di Sam

Elijah Wood e Sean Astin in una scena di Il Signore degli Anelli - Il ritorno del re (2003) di Peter Jackson

Pellicola dopo pellicola, sono rimasta sempre più colpita da quanto sia fondamentale la figura di Sam e di come, di fondo, quest’opera sia un grande inno all’amicizia. Davanti ad una situazione disperata come quella della scalata del Monte Fato, davanti a Frodo distrutto dal viaggio, Sam fa l’impensabile: lo prende sulle spalle e scala il Monte.

E la fa soprattutto perché vuole che Frodo si liberi di questo fardello, che è quantomai evidente che lo stia distruggendo…

E questo, fra l’altro, dopo averlo salvato da morte certa.

Il fallimento di Frodo

Elijah Wood in una scena di Il Signore degli Anelli - Il ritorno del re (2003) di Peter Jackson

Mi ha personalmente sorpreso il risvolto che ha avuto la storia di Frodo.

Per quanto fosse evidente come la corruzione dell’anello l’avesse conquistato, mi aspettavo in ultimo un momento di ripensamento e redenzione. Invece Frodo si lascia del tutto conquistare dall’anello, rifiutandosi di distruggerlo, con l’intenzione di tenerlo per sé, come avrebbe fatto se Gollum non glielo avesse strappato così violentemente.

E solo davanti alla scelta estrema, fra morire per cercare inutilmente di recuperare l’Anello come Gollum, e tornare fra le braccia dell’amico, solo allora sceglie effettivamente di tornare in sé. Ma senza quella redenzione netta che mi sarei aspettata da un eroe di questo tipo.

Tuttavia, questo elemento, oltre ad essere originale e interessante, è quantomai fondamentale per il finale…

Perché Frodo parte per Valinor?

Ammetto che sulle prime non avevo ben compreso il finale.

Tuttavia, dopo essermi adeguatamente informata anche tramite un caro amico tolkeniano (che ringrazio), tutto ha avuto senso.

I motivi per cui Frodo lascia la Contea sono differenti. Il motivo più pratico, che non viene esplicitato in maniera così netta nel film, è trovare la cura per la malattia e per il dolore dato dalla puntura di Shelob.

Ma, più profondamente, Frodo è stato per sempre segnato dall’esperienza che ha avuto con l’Anello, anche perché lui stesso è consapevole di essersi alla fine lasciato vincere dallo stesso.

E, dopo un’avventura del genere, non può più essere il Frodo della Contea…

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Le due torri – Una buona distrazione

Il Signore degli Anelli – Le due torri (2002) di Peter Jackson è il secondo capitolo della trilogia dedicata all’opera di Tolkien.

Il capitolo mediano di una trilogia è sempre quello più problematico: bisogna raccontare una storia interessante, ma senza arrivare alla fine del percorso. E il rischio è sempre quello di sembrare un filler di poco interesse.

E invece Le due torri riesce ad essere narrativamente quasi più vincente del primo capitolo.

Neanche a parlarne, un altro grande successo commerciale: davanti ad un budget di 94 milioni di dollari, ne incassò ben 936 in tutto il mondo.

Di cosa parla Le due torri?

Il capitolo centrale è l’intreccio di più storie: Sam e Frodo continuano il loro viaggio, non con qualche sorpresa. Aragorn e i suoi compagni, nel tentativo di salvare i due piccoli hobbit, si trovano coinvolti in una situazione politica ben più complessa…

Vi lascio il trailer per farvi un’idea:

Vale la pena di vedere Le due torri?

Bernard Hill in una scena de Il Signore degli Anelli - Le due torri (2002) di Peter Jackson

Assolutamente sì.

Come detto, un capitolo mediano che dà molte soddisfazioni.

A differenza della possibile pesantezza del primo capitolo, Le due torri risulta un capitolo molto più narrativamente coinvolgente, con una struttura più classica con un punto di arrivo più chiaro e che lo spettatore aspetta con grande attesa.

Personalmente l’ho apprezzato quasi di più del precedente, ed è uno di quei fantastici casi in cui il sequel è ottimo se non migliore, come era il caso di L’impero colpisce ancora (1980).

La tragedia di Gollum

Andy Serkis in una scena di Il Signore degli Anelli - Le due torri (2002) di Peter Jackson

Gollum è la grande novità della pellicola.

Brevemente introdotto (a parole) nel primo capitolo, in questo film diventa un personaggio fondamentale, con un’evoluzione inaspettata. Si lascia infatti brevemente conquistare dalle parole di Frodo, che nella sua infinita pietà cerca di salvarlo e farlo tornare alla sua forma più umana.

E il racconto della sua psicologia dilaniata (letteralmente) è uno dei momenti più iconici della saga, grazie anche all’ottima interpretazione di Andy Serkis, in uno dei momenti più alti della sua carriera, insieme a Il pianeta delle scimmie.

Fra l’altro con un CGI che farebbe ancora oggi impallidire tanti blockbuster

Un’ottima distrazione

Sarebbe stato troppo semplice se Sam e Frodo fossero già arrivati alla fine della propria avventura. E sarebbe stato altrettanto poco credibile se il loro viaggio si fosse prolungato per tre film, senza alcun intoppo.

Invece credibilmente i due hobbit arrivano da Sauron, ma non arrivano fino al Monte Fato. E l’allungamento del viaggio è credibile e l’intoppo che trovano è assolutamente funzionale.

Infatti, con la vicenda di Faramir, si inserisce sia un approfondimento della storia di Boromir, una di quelle classiche cosa che non sai che ti servivano, ma che alla fine si rivelano necessarie; sia si racconta meglio di come l’anello sia desiderato e di come Frodo si possa facilmente far corrompere dallo stesso.

E con questo intermezzo il popolo degli uomini sembra rinunciare definitivamente al desiderio dell’anello.

La storyline vincente

Viggo Mortensen, Orlando Bloom e Ian McKellen in una scena di Il Signore degli Anelli - Le due torri (2002) di Peter Jackson

Come la vicenda cardine è la distruzione dell’anello, è molto più funzionale porne una accanto, quella di Aragorn e del regno di Edoras, per ampliare e rendere più interessante la narrazione.

Questa linea narrativa è gestita in maniera praticamente perfetta, con una costruzione avvincente e ben strutturata. E soprattutto rende complessivamente più interessante l’intero film, perché pone un punto di arrivo chiaro e crea un’ottima tensione.

E poi il punto di arrivo è uno spettacolo.

La meraviglia della battaglia del Fosso di Helm

Non sono uno spettatore che si lascia facilmente impressionare dalle scene d’azione né di battaglia, anzi spesso è il contrario.

Ma non ho che potuto rimanere a bocca aperta davanti alla bellezza di questa battaglia.

Oltre ad essere uno spettacolo visivo, è anche ben costruita sia sulla tensione, raccontando uno scontro che sembra praticamente impossibile da vincere, variando molto la messa in scena e facendoci seguire chiaramente tutti i momenti della vicenda. E infine portando il colpo di scena finale, la salvezza che non si sperava più.

E, per rendere tutto davvero perfetto, non manca anche l’elemento comico di Gimli e Legolas, assolutamente ben contestualizzato e genuinamente divertente.

Una bromance mancata

Penso che un po’ tutti siano arrivati con le lacrime agli occhi al finale, quando un’altra volta Frodo e Sam confermano il loro meraviglioso rapporto di amicizia.

Perché, davvero, se Frodo non avesse avuto Sam al suo fianco non sarebbe riuscito ad arrivare alla fine della sua avventura. Infatti, Sam non è una semplice spalla, ma un elemento assolutamente fondamentale della narrazione.

E non posso fare a meno di pensare che se questi film fossero usciti una decina di anni più tardi saremmo stati sommersi dalle fanfiction dedicate.

Che forse lo siamo già stati, inconsapevolmente…

Lode all’odio per le Due torri

Mi prendo questo piccolo spazio conclusivo per ammettere una mia colpa (?): ho trovato estenuante e veramente poco interessante la relazione fra Aragorn e Arwen.

Mi rendo conto che si tratti di un blockbuster e che sia necessario inserire anche personaggi femminili di una qualche centralità e così delle relazioni romantiche. Tuttavia, se già questa storyline mi interessava poco nello scorso capitolo, mi ha definitivamente annoiato con questo triangolo amoroso insopportabile con Éowyn.

Fra l’altro Éowyn un personaggio che sembra vivere praticamente in funzione di questo elemento…

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La compagnia dell’anello – L’inizio di una grande avventura

Il Signore degli Anelli – La compagnia dell’anello (2001) di Peter Jackson è il primo capitolo della trilogia cult tratta dalle opere di Tolkien. Dopo la mia parziale delusione di Rings of Power, da buona casual fan di questa saga ho voluto riguardarla da capo, dopo tanti anni dalla prima visione.

E secondo me è quantomai evidente quanto la serie abbia provato ad imitare la grandezza di queste opere, che però si sono rivelate davvero inarrivabili.

Questo film fu anche un incredibile successo economico: a fronte di un budget di 93 milioni di dollari, ne incassò quasi 900.

Di cosa parla Il Signore degli Anelli – La compagnia dell’anello?

Dopo un ampio prologo dedicato alla creazione e alla perdita dell’Anello, veniamo catapultati nella Contea degli Hobbit, minuscole creature fantastiche che si troveranno al centro della storia. In particolare il nostro eroe, Frodo, si trova fra le mani questo oggetto preziosissimo, ma anche molto pericoloso, che deve essere distrutto.

Vi lascio il trailer per farvi un’idea:

Vale la pena di guardare Il Signore degli Anelli – La compagnia dell’anello?

Elijah Wood e Ian McKellen in una scena di Il Signore degli Anelli - La compagnia dell'anello (2001) di Peter Jackson

Ovviamente sì.

Molti si potrebbero sentire un po’ minacciati da quest’opera, soprattutto davanti alla durata piuttosto corposa, oltre al culto che la circonda. Tuttavia, vale assolutamente la pena di approcciarsi quantomeno al primo capitolo della saga, un caso abbastanza raro di un blockbuster che venne riconosciuto anche per il suo valore artistico.

E in effetti già questa prima opera, nonostante abbia dei tratti estetici tipici di un altro periodo, dimostra tutta la passione di questo autore nel portare sullo schermo l’opera di Tolkien, riuscendo a reggere magnificamente tre (e più) ore di film.

E a questo proposito…

Meglio la versione cinematografica o la versione estesa?

Una dura scelta.

Ma la scelta in realtà è più semplice da quello che sembri: se vi state approcciando per la prima volta a questo film, non vi consiglio di guardare la versione estesa. Non perché non ne valga la pena, ma perché le tre ore e venti di durata sicuramente si sentono, e potrebbe non dico guastare la visione, ma renderla più impegnativa del necessario.

Tuttavia, se state rivedendo i film e soprattutto se siete appassionati della saga, vale assolutamente la pena di approcciarsi alla versione estesa, che aggiunge scene magari non fondamentali, ma che sicuramente ampliano la narrazione.

Un eroe minuscolo

Elijah Wood in una scena di Il Signore degli Anelli - La compagnia dell'anello (2001) di Peter Jackson

Una delle caratteristiche più peculiari del film, e più in generale dell’opera di Tolkien, è la scelta dell’eroe. Frodo è un ragazzino, quasi un bambino, che non ha esperienza del mondo, e che anzi ha una statura minuscola, un personaggio che può essere schiacciato potenzialmente da chiunque.

E infatti è proprio il topos dell’eroe per caso, che porta sulle spalle l’importante peso di salvare il suo mondo, ma che al contempo è continuamente fallibile e impaurito. Ed è solo l’inizio di un grande percorso di crescita e di scoperta, che lo spettatore può seguire con grande affiatamento.

E infatti Jackson si è trovato per le mani un protagonista perfetto, che può essere quanto più possibile vicino allo spettatore, che si comporterebbe forse in maniera non tanto dissimile nella medesima situazione.

L’anello, il vero nemico

Always remember Frodo, the Ring is trying to get back to its master. It wants to be found.

Ricorda Frodo, l’Anello sta cercando di tornare dal suo creatore. Vuole essere trovato.

Un elemento di grande interesse della pellicola è come Sauron, il grande nemico, sia fondamentalmente assente. I personaggi vengono soprattutto a contatto con i suoi sottoposti, in particolare i terribili nazgol, nemici con un’estetica semplice, ma molto efficace.

Ma il vero nemico è l’anello.

L’anello è un nemico infido, che non si può effettivamente sconfiggere se non distruggendolo, con cui non si può dialogare, che è al contempo il nemico e l’oggetto del desiderio. Quindi il protagonista è minacciato da ogni parte: da chi vuole impossessarsene e dall’anello stesso che vuole essere posseduto.

E particolarmente interessante che l’anello non è desiderato per motivi di per sé negativi. Infatti, come dice Gandalf:

I would use this ring for a desire to do good.

Userei l’anello per il desiderio di fare qualcosa di buono.

E infatti anche Boromir alla fine se ne vuole impossessare perché attratto dal tipo di potere che quell’oggetto può dare. Teoricamente, quindi, per fare il bene del suo popolo.

Una regia dinamica

Elijah Wood, Sean Astin, Dominic Monaghan e Billy Boyd in una scena di Il Signore degli Anelli - La compagnia dell'anello (2001) di Peter Jackson

Un grande pregio della pellicola, come per la saga di Scream e come Dune (2021), è la regia.

All’interno sempre di un prodotto dalla durata importante e con concetti non sempre facilmente digeribili, la messinscena e soprattutto i movimenti di macchina donano una tridimensionalità e una dinamicità incredibilmente coinvolgente alle scene.

Non di meno la fotografia e le ambientazioni sono molto più cupe di quando mi ricordassi, in parte anche figlie degli Anni Novanta e di certe tendenze nascenti nel millennio che era appena cominciato. Elementi che potenzialmente potevano far scadere il prodotto in un’estetica di seconda categoria.

Ma è tutto il contrario.

Una narrazione a tappe

Viggo Mortensen in una scena di Il Signore degli Anelli - La compagnia dell'anello (2001) di Peter Jackson

La struttura narrativa di per sé non è problematica, ma indubbiamente può apparire non poco pesante e forse meno coinvolgente per il fatto che è evidentemente solo la prima parte di un viaggio.

E tanto più che è una narrazione a tappe, in cui ognuna è anche una tappa del viaggio stesso. Quindi non si vede di per sé un’evoluzione della vicenda, ma il tentativo di portare avanti un’avventura complessa e che, tutto sommato, risulta fallimentare nella sua prima fase.

Perché Il Signore degli Anelli – La compagnia dell’Anello mi è piaciuto Perché Rings of Power no

Questa è ovviamente la mia opinione personale, ma non riesco a considerare Rings of Power all’altezza della saga madre. Rivedendo infatti questo film mi sono resa conto di quanto al confronto la serie prequel mi sembra non più che una grande fanfiction ad alto budget.

Tanto per cominciare di Rings of Power, come avevo già raccontato nella recensione dedicata, non mi è piaciuta la regia e le ambientazioni. Mentre in La compagnia dell’anello ho visto delle ambientazioni credibili e molto più dark, nella serie ho trovato principalmente setting anche molto belli, ma eccessivamente patinati e luminosi, e di conseguenza per me molto finti.

Un’altra cosa molto fastidiosa della serie è stata la mia alienazione.

Molti elementi della trama vengono inseriti senza essere spiegati, quando bastava veramente una riga di sceneggiatura per rendere la storia più comprensibile. Invece ne La compagnia dell’Anello ci sono tutte le didascalie necessarie, e mai ingombranti.

Insomma, non voglio distruggere la serie, ma finalmente mi è chiaro perché ho sentito questa grande differenza di apprezzamento fra i due prodotti.

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Rings of power – Un piacevole prologo?

Rings of power è una serie tv Prime Video, racconto prequel de Il Signore degli Anelli.

La produzione seriale più costosa mai realizzata finora, con un budget di quasi 60 milioni di dollari a puntata: per fare un confronto, una puntata di House of the dragon costa circa 20 milioni ad episodio.

La narrazione è basata sui libri della trilogia classica ed una serie di appendici, scatenando le ire di molti puristi tolkieniani per la mancata fedeltà massima all’opera. Personalmente, non facendo parte di nessuno schieramento e considerandomi più una casual fan de Il Signore degli Anelli, ho potuto giudicare la serie a mente fredda.

E mi trovo in una posizione di mezzo.

Di cosa parla Rings of power?

La storia segue le vicende di diversi personaggi, generalmente tutte collegate all’avventura dell’elfa Galadriel, impegnata nella sua missione di vita di ritrovare Sauron e sconfiggerlo definitivamente…

Vi lascio il trailer per farvi un’idea:

Vale la pena di vedere Rings of power?

Un orco in una scena di Rings of Power, serie tv Amazon Prime Video prequel del Signore degli Anelli

Dipende.

In generale se siete dei tolkieniani duri e puri, e volete vedere una riproposizione dell’opera di riferimento, lasciate stare: non hanno i diritti per trasporre il materiale effettivo, è inutile accanirsi.

Se invece, come me, siete più dei casual fan della saga cinematografica, potrebbe essere un prodotto per i vostri gusti. Ma dipende anche da che tipo di serie state cercando: se vi piacciono le serie fantasy classiche (high-fantasy), con racconti corali, tantissimi personaggi e ritmi molto compassati, è assolutamente la serie per voi.

Se invece vi piace un fantasy più dark, con ritmi più incalzanti e che si basa più su intrighi politici che sull’elemento fantastico, avete sbagliato prodotto: è ora di cominciare House of the Dragon.

La gestione della storia

Markella Kavenagh nei panni della
pelopiede Nori in una scena di Rings of Power, serie tv Amazon Prime Video prequel del Signore degli Anelli

Per quanto non abbia personalmente apprezzato la gestione della trama, che ho trovato per i miei gusti troppo dispersiva, nel complesso può essere considerata un buon esempio di un prologo molto prolisso. La parte più attiva della vicenda è di fatto quella di Galadriel, ma in generale anche quella è solo la prima tappa di una storia ben più ampia.

Indubbiamente, la serie è stata un incontro di storie dal sapore molto diverso, così da riuscire a soddisfare i più diversi palati. E per me è stato decisamente rassicurante che, anche nella maniera più aspettata, tutte le storie si sono ritrovate collegate ad una più ampia linea narrativa.

Ad eccezione dei guizzi delle ultime puntate, la gestione della trama presenta ritmi davvero lenti e compassati, per nulla nelle mie corde. Tuttavia, è anche giusto che esista questo tipo di fantasy in linea con le tematiche e i ritmi tolkieniani.

Non possiamo tutti essere fan dei ritmi sfrenati di House of the dragons, insomma.

Galadriel è un personaggio problematico?

Morfydd Clark nei panni della
giovane Galadriel in una scena di Rings of Power, serie tv Amazon Prime Video prequel del Signore degli Anelli

Lasciando da parte le polemiche riguardanti la fedeltà del personaggio all’opera originale, il problema principale di Galadriel è la sua poca amabilità. E questo può essere una cosa positiva e negativa allo stesso tempo.

Negativa perché la sua caratterizzazione sembra scivolare in una tendenza piuttosto diffusa del panorama televisivo e cinematografico di non riuscire a raccontare personaggi femminili forti senza renderli al contempo anche sgradevoli. L’esempio principe è, ovviamente, Captain Marvel, personaggio proprio appiattito su questo concetto.

Tuttavia questo aspetto è anche positivo perché anche se la sua caratterizzazione non è particolarmente ampia, ma del tutto funzionale e organica al suo personaggio. Anzitutto perché è un’elfa, razza che, fuori e dentro le opere di Tolkien, è sempre caratterizzata da una certa alterigia.

In secondo luogo, è una donna testarda e tenace, che risulta in parte sgradevole agli stessi altri personaggi. Tuttavia, se non avesse questo carattere, non avrebbe mai convinto Númenor a salvare in parte le Southlands, non avrebbe scoperto Sauron e soprattutto avrebbe permesso allo stesso di impossessarsi degli Anelli del Potere.

La questione di Sauron

Sauron in una scena di Rings of Power, serie tv Amazon Prime Video prequel del Signore degli Anelli

Per quanto riguarda il personaggio di Sauron, gli autori hanno tentato un bell’azzardo, visto che in parte doveva inventare di sana pianta. Ovviamente consapevoli che sarebbe diventata la pietra dello scandalo, hanno giocato tantissimo su questo personaggio, disseminando indizi e false piste.

E io ho abboccato praticamente a tutto.

E va bene così.

Da un certo punto di vista ero molto convinta della scelta di rivelare che lo Straniero fosse Sauron, ma è anche vero che così si sarebbe entrati in un cortocircuito troppo complicato da gestire. D’altra parte, scegliere un attore con la faccia così pulita e amabile per questo ruolo e con un plot twist così potente, è stato molto azzeccato.

Aspetto i tolkieniani che vengano qui a spiegarmi perché è stata la scelta più sbagliata e inorganica mai presa, perché non ho dubbi che lo sia.

Ma, di nuovo, a me va bene così.

L’identità dello Straniero

Daniel Weyman nei panni dello Straniero una scena di Rings of Power, serie tv Amazon Prime Video prequel del Signore degli Anelli

Un importante mistero della serie era la vera identità dello Straniero. Per quanto la gestione della storyline dei Pelopiedi mi sia piaciuta a tratti, la sua conclusione è stata una delle mie preferite, perché getta le basi per una storyline che mi torna a far sognare il viaggio di Frodo e Sam.

E lasciatemi sognare.

Per il resto, come già detto, ho trovato molto credibile la rivelazione della sua identità. Per quanto ho visto molte persone arrovellarsi su diverse teorie, io credo che sia più scontato e digeribile per il pubblico di riferimento dire che si tratta o di Gandalf o di Saruman, indipendentemente da che questo sia coerente col canone o meno.

E, visto che Gandalf è uno dei personaggi più amati della saga (ed infatti è il mio preferito), ho idea che quella sia la direzione che prenderanno.

L’aspetto estetico

Morfydd Clark nei panni della
giovane Galadriel e Robert Aramayo nei panni di Elrond in una scena di Rings of Power, serie tv Amazon Prime Video prequel del Signore degli Anelli

L’aspetto estetico della serie è stato un po‘ il mio cruccio.

Non sempre, ma troppo spesso di sicuro, mi sono trovata a non credere a quello che vedevo in scena, nel senso che vedevo gli attori che recitavano in scena, e non i loro personaggi. Tanto più che anche quando questi dovrebbero essere più sporchi e naturali, come i Pelopiedi, li ho trovati invece molto finti.

Ma questo è un problema tutto mio, in quanto questa è l’estetica di Tolkien, tanto più pompata con un budget stellare. Perché sarebbe del tutto ingiusto dire che i costumi e gli oggetti di scena non siano stati al limite della perfezione, per quelli che erano gli intenti.

Andrò avanti a vedere Rings of power?

Per quanto abbia avuto un dubbio in certi momenti, soprattutto nella prima parte, questo finale mi ha davvero convinto a proseguire con la serie.

Con tutto che non mi ha entusiasmato, non mi sento ancora di gettare la spugna, perché come mi piace il Signore degli Anelli, spero che più nel lungo periodo anche Rings of power riesca effettivamente a convincermi.