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Joker: Folie à Deux – Ricomincio da Quinn 

Joker: Folie à Deux (2024) di Todd Phillips è il sequel dell’acclamato Joker (2019), con protagonisti Joaquin Phoenix e Lady Gaga.

A fronte di un budget decisamente più importante rispetto al precedente – 200 milioni di dollari – ha aperto con un primo weekend ben poco promettente: 144 milioni in tutto io mondo.

Di cosa parla Joker: Folie à Deux?

Dopo i suoi multipli omicidi, Arthur è segregato nel carcere di massima sicurezza di Arkham. Ma un incontro inaspettato gli cambierà la vita…

Vi lascio il trailer per farvi un’idea:

Vale la pena di vedere Joker: Folie à Deux?

Joaquin Phoenix in una scena nella prigione di Arkham in Joker: Folie à Deux (2024) di Todd Phillips

Magari no.

Che piaccia o meno, è purtroppo assolutamente evidente che Joker: Folie à Deux non fosse né previsto né voluto in prima battuta: lo dimostra anche solamente il fatto che l’incipit vanifichi completamente il finale della prima pellicola.

Quindi non stupisce di trovarsi davanti ad un film con qualche buona idea alla base, ma gestita in maniera del tutto insufficiente, con una povertà di scrittura allarmante e l’inserimento dell’elemento musical che sembra nient’altro che una passerella per Lady Gaga.

Però, sentitevi liberi di farvi la vostra idea.

Ma io non sarò complice della vostra visione. 

Annullamento

Joaquin Phoenix in una scena nella prigione di Arkham in Joker: Folie à Deux (2024) di Todd Phillips

Joker: Folie à Deux riesce ad essere incoerente fin dalla sua prima scena.

Dopo un corto animato che dovrebbe anticipare il tema della pellicola – ma che ci riesce molto limitatamente – ci immergiamo immediatamente nelle lugubri atmosfere di Arkham, con una costruzione scenica che vuole farci desiderare vedere l’apparizione di Arthur Fleck, in un’ottima occasione per distinguerlo dallo squallore degli altri detenuti…

…e invece, risultando in un momento finalizzato a caricare il più possibile la scena di un pietismo che personalmente ho trovato davvero insopportabile – già presente comunque nella prima pellicola, ma in quel caso in maniera ben più contestualizzata e interessante.

Joaquin Phoenix piange sotto la pioggia in Joker: Folie à Deux (2024) di Todd Phillips

Invece in questo primo frangente Arthur non sembra altro che un cane bastonato – non a caso, molti sono i riferimenti alla figura canina – dalle barzellette alla scena in cui viene legato ad un palo – andando così ad annullare l’importante punto di arrivo del precedente film.

Una scelta che, per quanto non mi convinca in principio, poteva essere salvata da un’adeguata contestualizzazione, che risulta invece del tutto mancante: sappiamo solo che Arthur si è spento e ha ripudiato il personaggio di Joker – e le gioie che gli aveva regalato.

Ma ci sono figure anche più fumose…

Identità

Lady Gaga si punta una pistola alla testa in Joker: Folie à Deux (2024) di Todd Phillips

Chi è Harley Quinn?

È veramente spiacevole notare come, scena dopo scena, il personaggio di Lady Gaga riveli sempre di più la sua inconsistenza, finendo per essere nient’altro che un intermezzo musicale del tutto scommesso, un motore della trama totalmente pretestuoso e forzato. 

Infatti, nonostante il film cerchi di giustificare il suo personaggio e le sue intenzioni, nulla è realmente spiegato: dovremmo credere che Lee si sia fatta internare apposta per conoscere Joker, così ossessionata dalla sua figura e dalla sua storia da volerne prendere parte…

Lady Gaga esce dal tribunale in Joker: Folie à Deux (2024) di Todd Phillips

…ma tutto ciò è raccontato solamente a parole, senza che le azioni in scena abbiano un minimo di credibilità che possa giustificare come il suo personaggio entri ed esca da Arkham a suo piacimento – stesso luogo, ricordiamolo, in cui vige il pugno di ferro.

In generale, Lee dovrebbe rappresentare la voce di quella folla che, alla fine di Joker, vedevamo acclamare il personaggio nel suo momento di massima follia – la stessa che, per il resto, è sostanzialmente assente dalla scena – ma senza inserire neanche un significativo disegno politico che la renda di qualche interesse.

Ma la sua inconsistenza ha radici ben più profonde…

Negazione

Joaquin Phoenix nell'auto della polizia in Joker: Folie à Deux (2024) di Todd Phillips

Joker: Folie à Deux è l’apoteosi della negazione del personaggio.

Volendo maliziosamente leggere fra le righe, il percorso del protagonista può essere letto come un racconto del malcelato sentimento del regista: dopo l’inaspettato successo della prima pellicola, Phillips è tornato alla regia evidentemente controvoglia e privo di idee.

Joaquin Phoenix vestito di bianco in una scena di Arkham in Joker: Folie à Deux (2024) di Todd Phillips

Così, come Joker è costantemente trascinato nel ruolo, come nei suoi sogni musicali appare nelle sue fattezze più classiche – e, per quanto mi riguarda, desiderabili – del personaggio fumettistico, infine entra in scena come un villain da operetta, rappresentando la massima esasperazione del personaggio.

Ovvero, un mero pagliaccio.

Joaquin Phoenix e Lady Gaga in tribunale in una scena di Joker: Folie à Deux (2024) di Todd Phillips

E in questo contesto è anche più doloroso vedere un personaggio del genere prendere parte a momenti musicali così mal integrati nella storia da sembrare degli inserimenti fatti solamente perché andavano fatti, mancanti di qualunque riflessione in merito.

Infatti sarebbe veramente bastato pochissimo, sarebbe bastato mostrare la dicotomia fra il sogno musicale e la realtà, sarebbe bastato mostrare la totale dissociazione mentale di Arthur – come, d’altronde, era stato fatto nel primo film – financo la ridicolaggine delle sue azioni.

Invece, tranne la breve ma quantomeno funzionante scena della fuga, il tutto si perde in una pochezza devastante…

Fuga

Joaquin Phoenix di Joker: Folie à Deux (2024) di Todd Phillips

Il Joker di Todd Phillips non ha un futuro.

E non vuole averlo.

Nel finale della pellicola Arthur è bruscamente riportato a quella realtà che l’aveva in prima battuta spento, subendo indicibili violenze da parte delle guardie che vogliono nuovamente rimetterlo al suo posto, preparandosi così per il patibolo.

Così il momento della difesa si trasforma il momento della confessione, della negazione del Joker – riuscendo in ultimo ad evitare l’angosciante opzione della personalità multipla – ancora più sottolineata dalla sua fuga da uno dei suoi tanti ammiratori che lo vogliono costringere ad un ruolo da cui vuole solo fuggire.

Joaquin Phoenix e Lady Gaga in Joker: Folie à Deux (2024) di Todd Phillips

E invece, negando ulteriormente lo splendido finale del primo film in cui Joker abbracciava questa malata connessione fra follia e amore, vedendo infrangere i sogni insieme alla sua (immaginaria?) Harley Quinn, Arthur torna nuovamente a spegnersi.

E allora forse la morte in scena è la morte che il Joker di Philips infligge a se stesso per mano di un altro – vero? – pagliaccio sadico, risultando incapace di soddisfare chiunque…

…prima di tutto sé stesso.

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2023 Dramma familiare Drammatico Film Giallo Legal drama Oscar 2024

Anatomia di una caduta – Dissezione

Anatomia di una caduta (2023) di Justine Triet è stato uno dei film più chiacchierati della Stagione dei Premi 2024, grazie alla vittoria della Palma d’Oro a Cannes.

A fronte di un budget molto ridotto – appena 6,2 milioni di dollari – complessivamente è stato un successo commerciale: 26 milioni di incasso in tutto il mondo.

Il cinema semplice road to oscar 2022 che si svolgeranno il 28 marzo 2022

Candidature Oscar 2024 per Anatomia di una caduta (2023)

in neretto le vittorie

Miglior film
Miglior regia
Migliore attrice protagonista a Sandra Hüller
Miglior sceneggiatura originale
Miglior montaggio

Di cosa parla Anatomia di una caduta?

Samuel muore per via di una misteriosa caduta. E tutto punta verso la moglie, Sandra…

Vi lascio il trailer per farvi un’idea:

Vale la pena di vedere Anatomia di una caduta?

Sandra Hüller e Swann Arlaud in una scena di Anatomia di una caduta (2023) di Justine Triet

Assolutamente sì.

Anatomia di una caduta è uno splendido legal drama che riesce dove molti film del genere di riferimento falliscono: essere una storia credibile, in cui molti spettatori possono potenzialmente riconoscersi.

Infatti, in qualche modo noi stessi diventiamo i giurati che assistono alla cinica e spietata dissezione della vita della protagonista e del suo rapporto col marito, tutto tranne che chiaro, anzi piuttosto fraintendibile…

Insomma, da non perdere.

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Biopic David Fincher Drammatico Film I miei comfort movie Legal drama

The Social Network – Unfriend?

The Social Network (2010) di David Fincher, nonostante non sia magari il suo film migliore, è in assoluto il mio preferito della sua produzione. Sarà per la regia impeccabile, l’eleganza della messinscena, la scrittura perfetta di Aaron Sorkin…comunque io lo rivedo sempre con estremo piacere.

A fronte di un budget non indifferente – 40 milioni di dollari – incassò piuttosto bene: quasi 225 milioni di dollari in tutto il mondo.

Di cosa parla The Social Network?

Dietro ogni grande uomo, c’è un grande dramma: il racconto della creazione del più importante (?) social media, Facebook, e della turbolenta storia di Mark Zuckerberg. Ovviamente, piuttosto romanzata.

Vi lascio il trailer per farvi un’idea:

Vale la pena di vedere The Social Network?

Jesse Eisenberg in una scena di The Social Network (2010) di David Fincher

Assolutamente sì.

Ovviamente sono molto di parte, ma è innegabile che The Social Network goda di una scrittura sublime e di una regia attenta e curata, con un approfondimento interessantissimo dei personaggi – pur nel suo voler romanzare moltissimo la vicenda.

Un casting praticamente perfetto, con attori che sembrano essere nati per il ruolo – in particolare Andrew Garfield in una delle sue migliori interpretazioni. Una vicenda appassionante, che non vive di divisioni nette, ma di un’interessantissima scala di grigi che, arrivati alla conclusione, lascia uno strano sapore amaro in bocca…

Una fredda cornice

Andrew Garfield in una scena di The Social Network (2010) di David Fincher

Uno degli elementi che apprezzo di più della pellicola è la scelta della cornice.

Apparentemente è la parte più fredda del film, in cui i protagonisti devono ripercorrere le loro vicende davanti a dei rigidi burocrati. Ed invece è proprio qui che si dà un maggiore spazio alla loro emotività più profonda.

Infatti, nei flashback per la maggior parte del tempo i personaggi, nonostante abbiano davanti agli occhi tutti i segni della distruzione imminente, continuano ad essere speranzosi e propositivi.

Sembra infatti esserci sempre lo spazio per tornare sui propri passi, per tenere in piedi un rapporto che si sta lentamente sgretolando…

Nel presente è tutto il contrario.

Jesse Eisenberg in una scena di The Social Network (2010) di David Fincher

Nel presente del processo ormai tutti i giochi sono fatti, tutte le carte sono state svelate: non c’è possibilità di risolvere nulla, ma piuttosto di sfogarsi, e fare in modo che questi sfoghi e questi torti trovino un riconoscimento legale.

E questa stessa emotività porta anche ad una fantastica costruzione della suspense, in particolare nelle battute finali: per gli ultimi momenti della testimonianza di Wardo si parla di trappola e di condanna a morte. Termini forti, che colpiscono al cuore, e che raccontano tutta la drammaticità della vicenda.

Emblematica in questo senso una delle ultime battute della giovane avvocatessa:

When there’s emotional testimony, I assume 85% of it is exaggeration.

In una testimonianza emotiva, do per scontato che l’85% delle dichiarazioni siano esagerate.

La spietatezza

Jesse Eisenberg in una scena di The Social Network (2010) di David Fincher

Nonostante, per le parole dello stesso film, Mark non sia una cattiva persona, è quasi inconsciamente spietato nel suo agire. Il futuro multimiliardario vuole portare avanti le proprie idee fondamentalmente mettendo al primo posto il successo, e solo dopo le persone.

E questo comportamento si trova fin dalle battute iniziali: dopo essere stato scaricato da Erica, Mark crea un sistema umiliante per catalogare le ragazze, andando fra l’altro ad usare le immagini senza il loro consenso.

Jesse Eisenberg in una scena di The Social Network (2010) di David Fincher

Quella che potrebbe essere un’azione da condannare diventa invece un successo, che lo mette in contatto con i fratelli Winklevoss, che gli forniscono l’idea primaria per la sua futura e proficua azienda.

Ma, quasi per pura antipatia, il protagonista li inganna e sviluppa il progetto alle loro spalle.

L’ultima e più importante vittima della sua spietatezza è Wardo: nonostante senza il suo sostegno non avrebbe potuto in alcun modo creare Facebook, Mark non ci mette poi tanto a scaricarlo a favore di Sean, quando questo si dimostra ben più intraprendente e calzante con il suo progetto.

E lo stesso Sean, quando si dimostra inaffidabile, viene escluso dal progetto.

Una persona difficile?

Jesse Eisenberg in una scena di The Social Network (2010) di David Fincher

Insomma, Mark è un personaggio problematico.

Una persona creativa e estremamente intelligente, ma fin troppo consapevole delle sue capacità e della sua superiorità rispetto agli altri, con un comportamento anche alimentato dalla stessa istituzione di cui fa parte: Harvard, considerata una delle università migliori degli Stati Uniti.

Tuttavia, Mark vorrebbe avere tutto: l’intelligenza e il successo anche in un contesto sociale che gli sembra precluso. E, soprattutto, vorrebbe essere attraente e desiderabile: vorrebbe, insomma, essere un po’ più simile a Wardo e ai Winklevoss.

Nel suo non riuscirci, si incattivisce e diventa sempre più chiuso in sé stesso e nella sua creazione, andando ad escludere appunto tutte quelle persone con un fascino desiderabile, ma è cui è indubitabilmente superiore dal punto di vista intellettivo.

Ma fanno tutti parte del problema.

Un mondo maschile

Il mondo di The Social Network è un mondo a predominanza maschile.

Se ci fate caso, tutte le persone coinvolte nel progetto di Facebook sono uomini, e i personaggi femminili sono sempre di contorno, oltre a ritrovarsi, molto spesso, esplicitamente esclusi dall’attività al centro della scena.

La scena più emblematica in questo senso è quando Sean scopre che Mark si è trasferito in California, e lo va a trovare con la ragazza di turno. Il protagonista quindi lancia a Parker e alla ragazza delle birre: Sean le afferra senza problemi, mentre la ragazza per due volte non riesce a prenderle e si dimostra piuttosto imbarazzata.

Poi, rimane in silenzio per il resto della scena.

Rooney Mara in una scena di The Social Network (2010) di David Fincher

Discorso diverso per Erica.

La scena di apertura del film è già di per sé rivelatoria: ci racconta immediatamente il protagonista nel suo egocentrismo e la sua presunta superiorità. Ma la stessa gli si rivolta contro, andando a negargli appunto quell’unica conferma sociale che una ragazza avrebbe potuto dargli.

La stessa ragazza che, anche se probabilmente involontariamente, umilia.

E, nonostante Mark ci provi in diverse occasioni, in nessuna di queste Erica gli permette di risolvere il danno che ha fatto – o, più che altro, non gli permette di ricucire il loro rapporto, la cui conclusione è stata per lui un vero smacco.

L’altro rapporto che racconta la sottile misoginia del protagonista è Marylin Delpy, la giovane avvocata con cui dialoga sul finale.

Più volte Mark si confronta con lei in brevi momenti durante il processo, e per la maggior parte del tempo la tratta con distacco e sufficienza, come se non meritasse la sua attenzione. Ma è alla fine la stessa che lo rimette al suo posto, facendogli capire qual è la cosa migliore.

Mettere da parte la sua arroganza e accettare la sconfitta.

E sempre Marylin gli nega la possibilità di intraprendere una nuova relazione, portando Mark a cercare di riconciliarsi ancora una volta – evidentemente inutilmente – con Erica, in maniera sconsolata e insistente…

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The girl from Plainville – La semplice apparenza

The girl from Plainville è una serie tv di produzione Hulu (la succursale adulta di Disney+) con protagonista Elle Fanning. Un prodotto che si propone di raccontare un caso di cronaca nera avvenuto fra il 2012 e il 2020: una giovane ragazza spinse il suo fidanzato, tramite messaggi, a suicidarsi.

Un racconto non poco grottesco, che riesce a centrare alcuni elementi, come l’ottimo casting della protagonista, ma pecca drammaticamente in altri. Ma, come altri prodotti di cui abbiamo parlato in tempi recenti, ci sono ottimi motivi per cui potrebbe piacervi, e anche molto.

Di cosa parla The girl from plainville?

Come anticipato The girl from plainville racconta la storia veramente accaduta di due giovani adolescenti che avevano un’assidua relazione tramite messaggio. La loro storia prese però una piega drammatica quando la ragazza cominciò a spingere il suo fidanzato, già di per sè depresso, a togliersi la vita…

Vi lascio il trailer per farvi un’idea:

Perchè guardare The girl from plainville

Elle Fanning in una scena di The girl from Plainville, serie tv Hulu in italia distribuita su Strarz Play

Complessivamente, The girl of plainville non è una serie che considero imperdibile, ma neanche che mi sentirei di sconsigliare in toto. A mio parere è una serie difettosa in molte parti, ma che non mi ha coinvolto anche perchè evidentemente non è una serie per me.

Gli episodi sono infatti principalmente concentrati sul raccontare il personaggio di Michelle e la sua storia con Conrad, quindi la parte mistery e legal drama è abbastanza ridotta. Tuttavia, ci sono due ottimi motivi per cui mi sento di consigliare questa serie.

Anzitutto, se vi piacciono le storie true crime, anche parecchio grottesche e sui generis come in questo caso, più di genere thriller psicologico che mistery, ovvero andando a scavare le motivazioni dietro a certi atti così incomprensibili.

In secondo luogo, ve la consiglio se eravate adolescenti fra il 2010 e il 2015, o se siete patiti per quel periodo: la serie lo racconta veramente bene, sopratutto tramite la protagonista, che è proprio la ragazza tumbrl per eccellenza.

E ho detto tutto.

Quando Elle Fanning non basta

Elle Fanning in una scena di The girl from Plainville, serie tv Hulu in italia distribuita su Strarz Play

Partiamo dalla cosa migliore della serie: Elle Fanning è un’attrice che apprezzo fin dai suoi esordi in Super 8 (2008), e in questa serie conferma tutte le sue ottime capacità recitative. La vediamo infatti destreggiarsi in un personaggio molto ambiguo, che passa dall’essere la spensierata ragazza di Tumblr appunto, a diventare minacciosa, quasi paurosa.

E Elle Fanning è riuscita a calarsi perfettamente nella parte, nonostante talvolta il suo personaggio sia molto banalizzato. E questo è uno dei problemi principali della serie: il racconto riguardo Michelle sembra molto tridimensionale all’inizio, ma poi si perde sui punti fondamentali.

Infatti, quando si arriva al momento focale in cui Michelle effettivamente spinge Conrad al suicidio, non mi è parso per nulla costruito adegutamente, anzi mi è sembrato abbastanza improvviso. E, più in generale, non adeguatamente esplorato come, secondo me, avrebbero dovuto fare.

L’impossibile racconto

Elle Fanning in una scena di The girl from Plainville, serie tv Hulu in italia distribuita su Strarz Play

L’ostacolo principale della pellicola era riuscire a raccontare la comunicazione fra i protagonisti, avvenuta quasi totalmente tramite messaggio. Per questo si è scelto, invece che mostrare le chat in continuazione, cosa che sarebbe in effetti stata alla lunga ridondante, di mettere in scena le conversazioni come se i protagonisti fossero nella stessa stanza.

Tuttavia questa scelta non è molto indovinata, anzi tende ad essere confondente: in più di un caso non riesce a rendere il come i due protagonisti fossero distanti e si stessero parlando per chat, realtà dove la comunicazione è totalmente diversa.

Insomma, un buon tentativo, ma non la scelta migliore.

Raccontare un’era

Elle Fanning in una scena di The girl from Plainville, serie tv Hulu in italia distribuita su Strarz Play

Uno degli elementi parzialmente vincenti della serie è la sua capacità di raccontare un’era del tutto particolare come è stata quella fra il 2010 e il 2015. E, incredibilmente, riesce a cogliere tutti gli elementi che la definivano: Glee, i libri di John Green (ad un certo punto Michelle sta guardando Colpa delle stelle) e questa cultura dell’apparire a tutti i costi.

Eravamo agli albori dei social network, quando tutto sembrava ancora nuovo e strano, e la voglia di essere presenti e notati era tanta. Non a caso mi sono piuttosto ritrovata nel personaggio di Michelle (escludendo le parti più grottesche e criminose, ovviamente), perchè rappresentava proprio la tipica adolescente del periodo, ossessionata dall’idea di avere tutte le attenzioni su di sè.

La verità dietro alla serie

Vi sorprenderà scoprire che la serie è veramente molto fedele ai fatti.

Michelle e Conrad effettivamente si incontrarono solamente poche volte nel corso dei due anni della loro relazione, scambiandosi migliaia di messaggi e dichiarandosi continuamente il loro amore.

Ed effettivamente Michelle incoraggiò ripetutamente Conrad a compiere il suicidio (si calcola circa quaranta volte nella sua ultima settimana di vita). Tuttavia, la situazione era anche più grave di quanto raccontata: il ragazzo nella realtà tentò il suicidio ben quattro volte dopo separazione dei suoi genitori nel 2011.

E Michelle cercò di dissuadere inizialmente Conrad dal togliersi la vita, incoraggiandolo anche a farsi curare (come lei si stava curando per il disordine alimentare). Tuttavia col tempo cominciò appunto a spingerlo a togliersi la vita, dandogli addirittura idee su come farlo.

Infine, sì, Michelle incoraggiò Conrad a tornare sul camioncino quando il ragazzo mostrò di volersi tirare indietro, anche se questa è un’idea più speculativa: non ci sono registrazioni della telefonata fra i due (che comunque avvenne).

Ma il messaggio incriminato che Michelle inviò alla sua amica (come nella serie) lascia pochi dubbi: